Reggio Calabria. “Il convincimento dei Lo Giudice – scrive il Gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per gli attentati alla magistratura reggina – è maturato verosimilmente in base a mal interpretati rapporti, mantenuti anche per interposta persona, con appartenenti all’ordine giudiziario ed alla polizia giudiziaria, di dover godere di una sorta di impunità”. Dopo essere stato arrestato, infatti, Luciano si sarebbe aspettato un intervento da parte di soggetti istituzionali, al fine di ottenere un miglioramento della sua posizione cautelare, anche attraverso la concessione della misura degli arresti domiciliari. Invece, man mano che passano i giorni, matura il convincimento di essere destinatari di una “manovra giudiziaria” volta a colpire soggetti ritenuti vicini a un certo gruppo di magistrati reggini, piuttosto che ad un altro.
Il collaboratore Consolato Villani racconta che proprio Antonino Lo Giudice gli aveva promesso che “avrebbe fatto succedere un macello in città” ed era arrivato a proporre, ad esempio, di rapire la figlia di Giacomo Latella, cercando di far ricadere la colpa su altre famiglie del posto e fare scoppiare una vera e propria guerra. Dopo l’attentato alla Procura Generale, sempre secondo il racconto di Villani, Antonino si sarebbe mostrato soddisfatto, sia pure senza ammettere proprie responsabilità, e aveva detto “lascia che arrestano tutti”.
Secondo la ricostruzione offerta da Antonino Lo Giudice, il fratello Luciano, anche tramite interposta persona e in particolare Antonino Spanò, manteneva rapporti con un pubblico ministero, denominato nel corso dei colloqui captati in ambientale “zio Ciccio”, in servizio per un lungo periodo presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, trasferito dal 9-12-2009 alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, ossia il magistrato Francesco Mollace, nonché con un altro magistrato, denominato nelle intercettazioni “l’avvocato di Roma”, in servizio presso la Procura nazionale antimafia, ossia il magistrato Alberto Cisterna.
“Sul tipo di rapporti con i due esponenti dell’ordine giudiziario – osserva il Gip – Lo Giudice è apparso però volutamente reticente, affermando di non conoscere i particolari, ma dicendosi sicuro del fatto che si fosse trattato di rapporti leciti”.
Il ruolo di intermediari che l’esponente Lo Giudice avrebbe voluto assegnare rispetto alle richieste da avanzare ai due magistrati, a cui Luciano Lo Giudice riteneva di essere così legato da poter chiedere loro un pesante interessamento nelle sue vicende cautelati, erano due avvocati: l’avv. Giovanni Pellicanò del foro di Reggio Calabria, indagato per il delitto di riciclaggio aggravato, nonché un noto e apprezzato penalista del foro di Reggio Calabria.
Proprio l’avv. Pellicano, secondo quanto riferito da Antonino Lo Giudice, avrebbe fatto presente che Luciano Lo Giudice “pagava” la sua amicizia con i due magistrati che, nell’ambito della Procura reggina, sarebbero stati in contrasto con il procuratore Pignatone ed altri suoi sostituti.
Anche Antonio Spanò, che gestiva una nota attività di rimessaggio barche in città, sempre secondo le dichiarazioni rese da Lo Giudice, sarebbe stato contattato affinché intervenisse presso il magistrato all’epoca in servizio presso la Procura Generale. Questi era conosciuto da Spanò per il fatto che la sua imbarcazione era custodita presso il rimessaggio di cui Spanò era gestore. ed anche Spanò a dire di Lo Giudice, gli confermò la situazione di contrasto interna alla Procura reggina.
Stante la situazione di stallo, Luciano ordina al fratello Antonino di “fare bordello”:
“incomincia a fare bordello, fai che tremino in qualche maniera, che vogliono, che mi porti al punto che me la canto?”
Sollecitazione che gli inquirenti leggono come l’ordine di compiere azioni eclatanti, così come risulteranno eclatanti gli attentati ai danni dei magistrati reggini.
Ancora, nei colloqui coi suoi familiari, Luciano era convinto di godere di appoggi autorevoli, e incitava i congiunti affinché facessero presente, a chi di dovere, la sua situazione che altrimenti lo avrebbero portato a rendere dichiarazioni e allora sarebbero finite in carcere cento persone: novantanove della Questura “e qualche magistrato pure“.
Nel corso dell’attività di riscontro, durante una perquisizione dell’ufficio di Luciano Lo Giudice, in via Missori, la Squadra Mobile ha trovato tra alcuni appunti, il cognome (senza nome di battesimo) uguale a quello del magistrato Mollace. In realtà si tratta di alcuni registri “Buffetti” in cui Luciano, oltre alle annotazioni di carattere squisitamente lavorativo, annotava anche alcuni appunti personali. Ed è in uno di questi registri che c’è la frase vergata a mano da Luciano con le seguenti parole “pastiera grande 1 bottiglia non è stato possibile” accanto al cognome uguale a quello del magistrato. Un altro riferimento al magistrato è emerso durante un colloquio intercettato in carcere con l’avv. Pellicanò, in cui Luciano manifesta l’intenzione di mandare qualcuno a parlare col magistrato, e l’avvocato dà la sua disponibilità: “… andiamo e acchiappiamo a quello per le corna”. Salvo che il magistrato nemmeno risponde al telefono. Così come ha il telefono chiuso pure “l’avvocato di Roma”, ossia il magistrato Cisterna, al quale Luciano invia dal carcere un telegramma e una lettera con la richiesta di un incontro. Questo il testo del telegramma: “Mi hanno trasferito a Tolmezzo vorrei vedervi al più presto nell’attesa vi mando un abbraccio Luciano”. Nella lettera, invece, il detenuto dopo aver proclamato la sua innocenza chiedeva al pm della Dna un incontro per sapere come comportarsi.
Sia il telegramma che la lettera sono stati recapitati al magistrato Cisterna, che li ha consegnati al Procuratore nazionale antimafia, chiedendo altresì di mandare all’incontro con il detenuto un altro pm. “Ha trovato le porte chiuse”, ha sintetizzato questa mattina il procuratore di Catanzaro Vincenzo Lombardo, spiegando come i tentativi di condizionare la magistratura siano caduti nel vuoto. Un dato confermato, infatti, dall’esecuzione di ben tre atti intimidatori. Non ve ne sarebbe stata la necessità se i Lo Giudice avessero trovato una sponda cui aggrappare le proprie speranze.
Fabio Papalia