Reggio Calabria. Dodici presunti esponenti della cosca Lo Giudice in manette quest’oggi, quando è scattata una duplice operazione di polizia giudiziaria che ha visto la Squadra Mobile impegnata ad eseguire 9 arresti e 3 fermi di indiziato. Alle prime ore di oggi, infatti, personale della Squadra Mobile di Reggio Calabria, diretta da Renato Cortese, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare (nr. 2478/07 RGNR DDA-nr. 2351/08 RGIP DDA-nr. 14/11 R.O.C.C.), emessa dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Dda, ha tratto in arresto nove presunti esponenti della cosca Lo Giudice:
1. Luciano Lo Giudice, di 37 anni, nato a Reggio Calabria e attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Lanciano;
2. Giuseppe Lo Giudice, di 23 anni, nato a Reggio Calabria e di fatto domiciliato alla Via Caserta Crocevia nr. 25/A;
3. Antonio Cortese, di 49 anni, nato a Bova Marina (RC) e attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Voghera (PV);
4. Pasquale Cortese, di 58 anni, nato a Reggio Calabria;
5. Paolo Sesto Cortese, di 46 anni, nato a Melito Porto Salvo;
6. Salvatore Pennestrì, di 21 anni, nato a Reggio Calabria;
7. Giuseppe Perricone, di 23 anni, nato a Reggio Calabria;
8. Vincenza Mogavero, di 35 anni, nata a Scilla e residente a Reggio Calabria;
9. Madalina Cristina Turcanu, di 25 anni, nata a Barlaad (Romania) e residente a Reggio Calabria
Tutti loro responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso – in quanto capi ed affiliati alla cosca di ‘ndrangheta “Lo Giudice” – rapine, intestazione fittizia di beni, illecita detenzione di armi anche da guerra ed esplosivi, acquisizione in modo diretto ed indiretto di attività economiche ed altro.
Contestualmente è stato eseguito il sequestro preventivo delle seguenti ditte ed immobili, per un valore complessivo di circa 3 milioni di euro:
1. Attività commerciale denominata “Smile”, unità locale nr. 1 sita in Reggio Calabria alla Via Missori nr. 29, ramo d’azienda esercitante attività di produzione gastronomica;
2. Attività commerciale denominata “Norfish s.r.l.”, unità locale nr. 1 sita in Reggio Calabria alla Via Missori nr. 27, ramo d’azienda esercitante attività di vendita di prodotti ittici;
3. Appartamento sito in Reggio Calabria alla Via Polistena nr. 22, riportato in catasto al foglio di mappa GNA/3 particella 940, sub 11
4. Appartamento sito in Reggio Calabria alla Via Cafari nr. 23 riportato in catasto al foglio di mappa 105, particella 883 (ex 460), sub 35
Nello specifico, alla Turcanu è contestato il concorso esterno in associazione mafiosa per avere assicurato contatti e scambi di informazioni tra esponenti della cosca detenuti ed altri in libertà, in particolare tra Luciano Lo Giudice di 37 anni e suo fratello Antonino di 52 anni, capo dell’omonima cosca, fornendo indirizzo e nominativo della propria madre quale recapito presso cui ricevere missive contenenti dettagliate informazioni e da cui spedire missive con precise disposizioni e anche interventi da attuare per incidere sulla posizione processuale di Luciano Lo Giudice; nonché per avere fornito la propria disponibilità a custodire, occultandole, armi appartenenti alla consorteria al fine di agevolare l’attività criminosa della stessa, reato commesso in concorso con Luciano Lo Giudice. Il tutto ricevendo in cambio di denaro per il proprio mantenimento e per le proprie esigenze personali.
Madalina Cristina Turcanu, dimorante in Spagna e localizzata a Barcellona al Calle Cape 141, è stata tratta in arresto in collaborazione con l’Interpol e i collaterali organismi spagnoli, in esecuzione di mandato di arresto europeo (nr. 25/2011 M.A.E.) emesso dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Dda.
Ancora, Luciano Lo Giudice, in concorso con i fratelli Antonio e Pasquale Cortese, è stato colpito dal medesimo provvedimento per avere illegalmente detenuto presso gli immobili siti in Via Sbarre Centrali nr. 239 ed in Via Polistena nr. 22, quest’ultimo oggetto di contestuale sequestro preventivo, un vero e proprio arsenale, costituito di armi anche da guerra, il tutto con il contributo consapevole di Pasquale Cortese che ne aveva dichiarato la detenzione presso questi immobili, con l’aggravante di avere commesso il fatto al fine di agevolare l’attività della cosca Lo Giudice, armi che venivano, invece, sequestrate presso l’armeria “Top Gun” di Consolato Romolo, quest’ultima già raggiunta da provvedimento di sequestro contestualmente all’arresto del Romolo. Analoga condotta sarebbe stata consumata anche da Paolo Sesto Cortese, fratello di Antonio e Pasquale, il quale prima avrebbe fornito la propria disponibilità ad intestarsi diverse armi nella disponibilità della cosca ricevendole da Fortunato Pennestrì e poi ne avrebbe falsamente denunciato il furto, armi che, successivamente, in parte sono state sequestrate presso l’armeria “Caminiti” di via Santa Caterina, già sequestrata e il cui titolare è stato pure tratto in arresto, e in parte sono state rinvenute e sequestrate presso un magazzino nella disponibilità di Demetrio Giuseppe Gangemi, di 42 anni, anche quest’ultimo tratto in arresto dalla Squadra Mobile il 24 febbraio scorso.
Giuseppe Lo Giudice, di 23 anni, invece, è stato raggiunto dalla misura custodiale per illecita detenzione di armi e munizioni, nonché per avere, in concorso con Salvatore Pennestrì e Giuseppe Perricone, tentato di commettere una rapina non riuscendovi perché la persona offesa ha investito lo scooter utilizzato e, nello specifico, Giuseppe Perricone per avere falsamente denunciato il furto dello stesso scooter, di sua proprietà, impiegato nell’episodio delittuoso.
Vincenza Mogavero, infine, risulta destinataria della stessa misura per il reato di intestazione fittizia degli immobili siti in Via Cafari nr. 23 ed in Via Polistena nr. 22, nonché dei locali delle attività commerciali “Norfish” e “Smile”, colpiti da contestuale sequestro preventivo, oltre che dell’esercizio commerciale denominato “Peccati di gola”, quest’ultimo già oggetto di precedente sequestro preventivo.
Contestualmente all’esecuzione dell’ordinanza, personale della Squadra Mobile della V Sezione diretta dal vice questore aggiunto Francesco Giordano,ha eseguito, inoltre, il fermo di indiziato di delitto (nr. 2478/07 RGNR DDA mod. 21) emesso dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia presso il Tribunale di Reggio Calabria, a carico di:
10. Giuseppe Reliquato, di 40 anni, nato a Reggio Calabria;
11. Bruno Stilo, di 49 anni, nato a Reggio Calabria;
12. Fortunato Pennestrì, di 36 anni, nato a Reggio Calabria
Costoro sono indagati per il delitto di cui all’art. 416 bis, commi I-II-III-IV-V-VI, per avere preso parte, tra gli altri, con Giuseppe Lo Giudice di 72 anni, Antonino Lo Giudice di 52 anni, Domenico Lo Giudice di 43 anni, Giovanni Lo Giudice di 40 anni, Luciano Lo Giudice di 37 anni, Antonio Cortese di 49 anni, Consolato Romolo di 53 anni, e con altre persone ancora non individuate, all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, nello specifico alla cosca Lo Giudice di Reggio Calabria, costituendo nell’ambito della consorteria un punto di riferimento dei vertici della stessa e fornendo un costante contributo per la vita dell’associazione.
In particolare, Giuseppe Reliquato e Bruno Stilo, entrambi cognati del capo cosca Antonino Lo Giudice di 52 anni, rispettivamente il primo con il grado del Vangelo – al pari del Villani e del capo cosca Antonino – ed il secondo con la dote della Santa – al pari di Luciano Lo Giudice, adempiendo all’incarico dell’affiliazione di nuovi partecipi e del conferimento di gradi ai soggetti già intranei alla cosca Lo Giudice, affiliazioni che avvenivano in un appartamento nella disponibilità dei Lo Giudice;
rappresentando la medesima consorteria dinanzi alle altre cosche della ‘ndrangheta, gestendo gli affari criminali ed i rapporti tra le consorterie, come nella circostanza in cui alla richiesta del vertice della cosca Fontana-Saraceno, cioè di Giovanni Fontana, di dare una “lezione” al direttore della “Leonia”, i vertici della cosca Lo Giudice (il capo cosca Antonino, unitamente a Giuseppe Reliquato e a Bruno Stilo) decisero di non dare alcun seguito all’interessamento preteso oppure nella circostanza in cui Bruno Stilo si rivolse personalmente a Domenico Condello detto il “mastino” per risolvere un problema inerente a un’agenzia assicurativa che il capo cosca Antonino gestiva unitamente alla propria moglie;
partecipando alle riunioni tra gli esponenti della cosca Lo Giudice durante le quali venivano pianificate le condotte criminose della consorteria e prese le decisioni fondamentali per il mantenimento ed il rafforzamento della stessa, occupandosi anche del trasporto, spostamento ed occultamento di armi ed esplosivi della cosca, da impiegare per l’esecuzione di attentati nei confronti di obiettivi individuati dal capo cosca Antonino Lo Giudice di 52 anni.
Fortunato Pennestrì, nipote di Antonino Lo Giudice di 52 anni, con il grado di Sgarrista, partecipando ai colloqui in carcere assicurava contatti e scambi di informazioni tra esponenti della cosca detenuti e quelli in libertà, fornendo disponibilità a custodire, occultandole, armi appartenenti alla consorteria e , più in generale, mettendosi a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo mafioso, il tutto sotto le direttive degli esponenti di vertice detenuti, occupandosi specialmente del settore delle estorsioni e dell’usura fino all’accaparramento delle attività commerciali stritolate con le predette attività illecite.
Dalle indagini è emerso come i fratelli Pennestrì, Salvatore e Fortunato, entrambi tratti in arresto, siano da sempre legatissimi agli zii, soprattutto al capo cosca Antonino Lo Giudice, più che al proprio padre Francesco Pennestrì. In particolare, il giovane Fortunato Pennestrì, collaborato dal fratello Salvatore, grazie alla potenza del clan ed al suo legame viscerale con lo zio capo cosca, nonostante gli arresti che a più riprese hanno colpito la cosca Lo Giudice, è riuscito non solo a conservare il predominio della propria attività commerciale nella zone di tradizionale incidenza ma addirittura è arrivato ad una discussione violenta con un noto esponente della cosca Rosmini, titolare di un’analoga attività commerciale operante nel medesimo settore del Pennestrì ed a conclusione di tale scontro il prestigioso rappresentante del clan Rosmini si è perfino ritirato in buon ordine di fronte alla sfrontatezza ed arroganza di Pennestrì.
L’attività investigativa condotta ha ricevuto un valido apporto e conferma dalle dichiarazione di diversi pentiti, nell’ordine Maurizio Lo Giudice, Umberto Munaò, Paolo Iannò, Consolato Villani, Antonino Lo Giudice e Roberto Moio, vicendevolmente corroborandosi e trovando perfetto riscontro nelle indagini eseguite dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria che, nel corso delle stesse, ha acquisito formidabili riscontri alla disamina incrociata degli stessi collaboratori oltre che dall’esito delle attività di intercettazioni ambientali e telefoniche, come dall’analisi di varia e molteplice documentazione acquisita.