Processo Virus alla cosca Alvaro di Sinopoli. In Appello tutti condannati, lievi sconti di pena per alcuni imputati

Reggio Calabria. Processo Virus. Dopo una camera di consiglio lunga 6 ore, la Corte d’Appello reggina, Natina Pratticò presidente, Crucitti e Cappuccio a latere, ha condannato a 4 anni di carcere Carmine Alvaro, 7 anni sono stati inflitti a Paolo Alvaro, 4 anni e 6 mesi a Stefano Alvaro, 3 anni a Francesco Borruto, 6 anni e 8 mesi di reclusione a Antonio Dalmato e a Rocco Salerno; per Felice Antonio Romeo è stata confermata la condanna a 4 anni e 8 mesi ( per lui e Stefano Alvaro però è stata revocata l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’interdizione legale per la durata della pena, ed è stata inflitta invece l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni); sospensione condizionale della pena invece, per Domenico Alvaro che in primo grado era stato condannato a 2 anni di reclusione. Contro la cosca di Sinopoli quindi regge l’impianto accusatorio del sostituto procuratore generale Adriana Fimiani. La Corte d’Appello reggino inoltre, ha confermato la condanna inflitta in primo grado, dal gup Melidona, per gli altri imputati ossia: otto anni di reclusione a Giuseppe Alvaro; 4 anni a Rocco Caruso; Francesco Dalmato è stato condannato a tre anni e sei mesi di reclusione; Maurizio Grillone a tre anni di reclusione. Le accuse mosse nei loro confronti sono, a vario titolo, associazione per delinquere di stampo mafioso, riciclaggio, traffico e detenzione di armi e materiale esplodente nonché di procurata inosservanza di pena aggravata dall’art. 7 dl. 152/91 per aver agevolato la latitanza di Carmine Alvaro.
Le indagini, di Polizia di Stato e Carabinieri, infatti nacquero in seguito alla cattura del presunto boss Carmine Alvaro avvenuta il 18 luglio del 2005, già condannato dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria alla pena di 12 anni di reclusione per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso con l’aggravante di essere il promotore e l’organizzatore del sodalizio. L’attività d’indagine, contestualmente all’attività finalizzata alla cattura di Carmine Alvaro (cl. 53) e all’individuazione dei suoi principali favoreggiatori ha documentato ulteriormente come la cosca di Sinopoli abbia ceduto micidiali armi da guerra ad esponenti della cosca Tegano, operante a Reggio Calabria ed avesse, inoltre, pianificato, nei minimi particolari, una complessa e ingegnosa attività di riciclaggio internazionale di valuta estera.
Gli inquirenti hanno accertato, a conferma del rapporto federativo tra gli Alvaro ed il clan Tegano, un episodio di cessione di una pistola e di micidiali bombe a mano tra Giuseppe Alvaro e Rocco Caruso a favore di Francesco Borruto e Paolo Schimizzi, quest’ultimo elemento di spicco della potente famiglia di ‘ndrangheta dei Tegano (essendo nipote diretto del boss Giovanni Tegano e del fratello Pasquale, poiché figlio della loro sorella Eleonora Tegano), ed attualmente scomparso, verosimilmente in conseguenza di un atto di “lupara bianca”. Dall’indagine non sarebbero emersi, però, elementi utili per chiarire le circostante della scomparsa di Schimizzi.

Angela Panzera

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