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Home Reggio Calabria Cronaca

Processo Nuovo Potere. Il pm De Bernardo chiede oltre 300 anni di carcere per le cosche di Roccaforte e Roghudi

by newz
28 Aprile 2011
in Cronaca, Primo Piano
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Reggio Calabria. Processo Nuovo Potere, alla sbarra le cosche che volevano impadronirsi di Roccaforte del Greco e Roghudi. Pesanti le pene richieste dal sostituto procuratore distrettuale antimafia, Antonio De Bernardo, per gli imputati nel procedimento che si sta svolgendo, con la formula del rito abbreviato, dinnanzi al gup reggino, Antonino Laganà. Il pm ha chiesto al gup le seguenti condanne (tranne in due casi in cui l’accusa ha chiesto l’assoluzione):

  1. Domenico Attinà, 8 anni di reclusione e 20 mila euro di multa
  2. Mario Attinà, 4 anni di reclusione
  3. Paolo Attinà, 4 anni e 8 mesi di reclusione e 20 mila euro di multa
  4. Agostino Cento, 6 anni e 8 mesi di reclusione
  5. Francesco Ferraro, 8 anni di reclusione
  6. Massimo Antonio Gabello, 3 anni di reclusione
  7. Andrea Gelsoni, 4 anni e 8 mesi di reclusione e 20 mila euro di multa
  8. Antonino Gullì, 8 anni di reclusione e 20 mila euro di multa
  9. Vincenzo Gullì, 12 anni di reclusione
  10. Annunziato Iaria, 8 anni e 6 mesi di reclusione e 20 mila euro di multa
  11. Antonio Iaria, 4 anni e 8 mesi di reclusione e 20 mila euro di multa
  12. Carmelo Rocco Iaria, 14 anni di reclusione
  13. Domenico Carmelo Iaria, 18 anni di reclusione
  14. Ugo Iaria, 6 anni e 10 mesi di reclusione
  15. Massimo Idà, 8 anni di reclusione e 20 mila euro di multa
  16. Leone Luigi Iofrida, 8 anni di reclusione
  17. Andrea Pasquale Mesiano, 6 anni e 10 mesi di reclusione
  18. Carlo Mesiano, 2 anni di reclusione e 12 mila euro di multa
  19. Agostino Palamara, 6 anni e 8 mesi di reclusione
  20. Antonino Pangallo, assoluzione per non aver commesso il fatto
  21. Carmelo Pangallo, assoluzione per non aver commesso il fatto
  22. Domenico Pangallo, 9 anni e 4 mesi di reclusione e 30 mila euro di multa
  23. Francesco Pangallo (classe 1974), 6 anni e 10 mesi di reclusione
  24. Francesco Pangallo (classe 1975), 18 anni di reclusione e 8 mila euro di multa
  25. Giovanni Pangallo, 14 anni di reclusione
  26. Antonino Pannuti, 6 anni di reclusione e 1200 euro di multa
  27. Bruno Pizzi, 9 anni e 4 mesi di reclusione e 30 mila euro di multa
  28. Arnaldo Proscenio, 6 anni e 8 mesi di reclusione
  29. Domenico Proscenio, 8 anni di reclusione e 12 mila euro di multa
  30. Francesco Romeo, 8 anni di reclusione
  31. Girolamo Romeo, 8 anni di reclusione
  32. Vincenzo Pasquale Ivan Romeo, 14 anni di reclusione
  33. Annunziato Spanò, 8 anni di reclusione
  34. Teodoro Spanò, 9 anni e un mese di reclusione
  35. Filippo Stelitano, 9 anni e 6 mesi di reclusione e 6 mila euro di multa
  36. Andrea Trapani, 8 anni di reclusione
  37. Natale Tripodi, 6 anni e 8 mesi di reclusione
  38. Pietro Verno, 14 anni di reclusione
  39. Vittorio Verno, 14 anni di reclusione

Gli interventi degli avvocati difensori si registreranno il prossimo 5 maggio. Il 19 maggio invece, compariranno dinnanzi al Tribunale reggino gli imputati che hanno scelto di essere processati con la formula del rito ordinario; tra questi c’è Santo Maesano, la cui posizione è stata stralciata lo scorso febbraio poiché erano sorti dei problemi relativi ad altri reati contestati all’imputato nell’ambito di altri procedimenti. Il 29 settembre in aula ci andranno invece tutti gli altri imputati che rispondono a piede libero.
L’indagine “Nuovo Potere” coordinata dalla Procura della Repubblica reggina, e condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria contro le principali ‘ndrine del basso jonio reggino, fra cui quelle operanti a Roghudi e Roccaforte del Greco, ha sgominato una presunta organizzazione criminale dedita al fenomeno delle estorsioni, alla gestione di ingenti traffici di droga e di armi, ma anche interessata agli appalti pubblici. Nel gennaio 2010 infatti, accogliendo la richiesta dei magistrati della Dda, il gip Kate Tassone aveva emesso il provvedimento di custodia cautelare che aveva portato in carcere diciannove persone mentre 2 soggetti, invece, erano finiti ai domiciliari. Questa operazione aveva portato alla ribalta uno spaccato di affari illeciti ad ampio spettro. Secondo l’accusa, l’organizzazione, partorita dall’accordo raggiunto dalle “famiglie”, un tempo acerrime nemiche e coinvolte nella nota “faida di Roghudi”, si era impadronita dei territori di Roccaforte del Greco e Roghudi. Una pax dettata non solo dalle presunti leggi mafiose, ma dovuta per permettere a tutti di fare affari; nuovi affari attraverso un nuovo spirito collaborativo, un nuovo potere appunto. Il pentolone scoperchiato da inquirenti e investigatori ha messo in luce la forza rigeneratrice delle nuove leve delle varie ‘ndrine; non più vecchi rancori, ma attuali sodalizi e nuovi obbiettivi, principalmente gli appalti pubblici. Tutto ebbe inizio l’otto aprile del 2004 quando due sicari, a bordo di una moto, tentarono di uccidere Teodoro Spanò, 52 anni, personaggio ritenuto legato alla vecchia cosca Pangallo-Maesano-Favasuli operante sia a Roghudi che a Roccaforte del Greco (RC). Nella circostanza, Spanò è scampato fortunosamente alla morte perché, in quello stesso luogo, transitava una pattuglia dei Carabinieri della Stazione di Bagaladi (RC) che si è portata all’inseguimento dei due, distogliendoli dal loro proposito criminale. Mesi più tardi, nel settembre del 2005, a Roccaforte del Greco, è stato ucciso Antonino Pangallo, 34 anni, detto “U chiumbinu”, personaggio di accentuato spessore criminale referente per la cosca Pangallo-Maesano-Favasuli.
Sui due episodi è stata avviava un’attività info-investigativa finalizzata ad individuarne i responsabili e preordinata a delineare il nuovo assetto mafioso in cui veniva a trovarsi il vasto territorio sul quale due pericolosi sodalizi (Zavettieri, da un lato e Pangallo-Maesano-Favasuli, dall’altro) avevano imposto la loro influenza criminale. I precedenti fatti di sangue, comunque, non hanno determinato la riapertura tra i gruppi criminali della faida che aveva mietuto oltre 50 vittime; guerra mafiosa cessata nel 1998 “grazie” alla mediazione del potente boss Giuseppe Morabito di Africo alias “u Tiradrittu” e “grazie” ai presunti interessi economico-mafiosi.

Angela Panzera

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