Un recente film ne ha ripercorso le gesta sportive (e non solo), a diciassette anni dalla scomparsa, da quel 1 maggio 1994 che chiuse il week end più nero che la Formula 1 avesse mai vissuto fino ad allora. Un week end sul circuito di Imola, l’Enzo e Dino Ferrari, che nel 1994 ebbe la stessa coincidenza di date di questo week end del 2011: il venerdì 29 aprile, durante il primo turno di prove, un giovanissimo Rubens Barrichello si schiantò con la sua Jordan alla variante bassa del circuito imolese, capottandosi e uscendo miracolosamente illeso; sabato 30 aprile, nel secondo turno di qualifica, la poco competitiva Simtek dell’austriaco Roland Ratzenberger andò dritta a impattare contro il muro della curva Villeneuve a 320km/h, a causa della perdita dell’ala anteriore; domenica 1 maggio 1994, al via del Gran Premio di San Marino, resta ferma in griglia la Benetton Ford del finlandese JJ Lehto, che viene centrata in pieno dalla Jordan di Pedro Lamy: una ruota e detriti volano in tribuna, diversi spettatori verranno feriti e trasportati in ospedale. Dopo sei giri di safety car, il via alla gara: Senna in testa, con il suo rivale per quella stagione subito a inseguirlo. Un copione insolito per quell’anno, che aveva visto Michael Schumacher arrivare a Imola a bottino pieno, con due successi nelle prime due gare; Senna, passato nel 1994 alla Williams dalla McLaren, invece, si trovò a lottare con una vettura nervosa, angusta e difficile persino da guidare, figurarsi da portare al limite. Nelle prime gare stagionali, due ritiri e tanta pressione addosso per i risultati che non arrivavano. Già c’era chi metteva in dubbio la velocità di quel campione che aveva cambiato squadra, vettura ed era reduce da due stagioni difficoltose con la poco competitiva McLaren del 1992 e 1993. E’ in questo scenario che, nel corso del settimo giro, al curvone del Tamburello – una semicurva da fare in pieno che fu teatro di drammatici incidenti negli anni precedenti quel 1994 (su tutti quello di Berger, ndr) – la Williams Renault del tre volte campione del mondo non risponde ai comandi del suo cavaliere, puntando dritta contro il muro all’esterno. Nell’impatto, causato dalla rottura del piantone dello sterzo della Williams (come accertato dal processo che seguì la morte di Senna, ndr) il puntone della sospensione anteriore destra trafisse il brasiliano, colpendolo nella parte esterna della visiera del casco. Soccorsi che si rivelarono inutili, con la morte che arrivò alle 18:40. Si chiude così la più tragica giornata dell’automobilismo moderno, il punto di non ritorno dal quale tutti si accorsero che si doveva iniziare a riflettere sulla sicurezza di uno sport intrinsecamente pericoloso, ma che fino ad allora aveva proseguito senza misure eclatanti dopo i morti che seminava sui circuiti. Da quel 1 maggio 1994, in Formula 1 non è più morto alcun pilota in pista.
I trionfi e le battaglie memorabili sono scolpite nella memoria degli appassionati, una vittoria di Senna aveva qualcosa di mistico, trascendeva il gesto tecnico. E’ questo che lo caratterizza tra tutti i più grandi dell’automobilismo, soprattutto nel confronto con l’altro assoluto campione che ne ha raccolto il testimone, quantomeno in termini prestazionali: Michael Schumacher. Due mostri sacri che hanno segnato i libri di storia della Formula 1, seppur agli antipodi per carattere, appeal, metodo. Scientifico, calcolatore, “antipatico” il tedesco; spettacolare, emozionale, mistico Senna. Ogni vittoria del brasiliano era una liberazione, una missione compiuta quasi a portarsi sulle spalle i problemi di una terra, il Brasile, che lo adorava come fosse un Dio pagano. Come quando, nel 1991, trionfò sul circuito di casa, a Interlagos, come mai gli era riuscito in carriera: scese dalla vettura stremato fisicamente, dopo aver guidato nell’ultima parte di gara con la sola sesta a disposizione; le scene del podio, con il trofeo issato al cielo davanti al suo popolo in una sofferenza fisica inumana, rappresentano al meglio la simbiosi tra sport-uomo-popolo che Senna seppe interpretare. Schumacher vinceva a modo suo, uno spettacolo della tecnica, scientifico, altrettanto importante ma senza scatenare i sentimenti umani che Senna sapeva esaltare. Capace come nessun altro di andare oltre il mezzo, oltre i limiti, stabilendone altri irraggiungibili per chiunque. Montecarlo 1984, Estoril 1985 e Donington 1993 sono le perle assolute dove Senna raggiunse la perfezione divina nella guida, sempre con vetture ampiamente inferiori a quelle degli avversari (Toleman, Lotus e McLaren rispettivamente, ndr). A distanza di 17 anni, la tragedia di Imola, rivista in una interpretazione più ampia del personaggio Senna, resta sì una fine tragica ma con i contorni del “sacrificio” dell’eroe. E fu proprio il suo rivale Schumacher, insieme agli amici di sempre come Gerhard Berger, a portare avanti da quel 1994 la battaglia per circuiti e vetture più sicure, riportando alla federazione le istanze e i bisogni dei piloti, punto sul quale Senna ebbe aspre lotte con il potere negli anni del suo dominio.
Fabiano Polimeni