Reggio Calabria. La Corte d’assise ieri ha condannato all’ergastolo Pietro Angelo Aloisio e Mingu Bledi, ritenuti rispettivamente mandante ed esecutore materiale dell’omicidio di Francesco Pace. “Cold case”, l’avevano chiamato i Carabinieri del Comando provinciale, che il 3 marzo dello scorso anno avevano risolto un “caso freddo”, appunto, l’omicidio di Pace, avvenuto cinque anni prima, il 24 ottobre 2005 a Pellaro, quartiere alla periferia sud della città. Un movente passionale, un intreccio intricato che solo dopo cinque anni di tenaci e laboriose indagini hanno consentito ai Carabinieri della Compagnia diretta dal capitano Nicola De Tullio di sciogliere la matassa.
La vittima, Francesco Pace, ucciso all’età di 45 anni, era conosciuto per un passato sportivo da motociclista semi-professionista. L’uomo nel 1993 conosce una donna per lui “fatale”, Maria Maddalena Pagliano, sua coetanea ed ex modella bresciana, la quale è in vacanza a Scilla col marito. I due si amano, tanto che la donna decide di divorziare dal marito, un ricco uomo d’affari residente a Lambrate nel milanese, e di trasferirsi a Reggio Calabria. Senonché nel 2001 Francesco Pace, impiegato Afor con l’hobby della pesca d’altura, viene arrestato nell’ambito dell’operazione Cattedrale per reati in materia di stupefacenti. Nel luglio di 3 anni dopo, siamo adesso nel 2004, Pace termina il periodo di detenzione e riallaccia subito i rapporti con la Pagliano, che si erano interrotti negli anni di galera. Nel frattempo la donna ha instaurato un legame profondo con Pietro Angelo Aloisio, oggi 78enne pensionato e allora facoltoso dirigente di un’industria chimica. Aloisio aveva conosciuto la Pagliano molto prima, nel 1997, quando la donna era già fidanzata con Francesco Pace, ed aveva instaurato con entrambi un solido rapporto di amicizia. Il dirigente d’industria di origini reggine trascorreva la vita tra Reggio Calabria e Milano, dove era spostato con Giuseppina Romeo, avvocato, dalla quale si separò nel 1999. La donna, infatti, lascia il marito e col figlio si trasferisce a Firenze: qui verrà uccisa il 12 febbraio 2004 da un killer rimasto ignoto. Aloisio fu rinviato a giudizio con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio dell’ex moglie, commissionato a soggetti ritenuti vicini alla cosca Alvaro di Sinopoli: accuse dalle quali fu assolto insieme a tutti gli indagati.
Mentre Pace è in carcere, Aloisio non risparmia regali per la Pagliano, oggetti di valore e un’automobile, e la chiede in sposa. Aloisio e la Pagliano comprano insieme un terreno a Pellaro, pagato a metà e intestato in toto alla donna, lei lavora come sarta in un atelier in città. Tutto rose e fiori ma quando Pace esce dal carcere i rapporti tra lui e Aloisio cominciano a incrinarsi. Il 24 ottobre del 2005 alle 21.30 l’uomo viene ucciso in località Occhio di Pellaro, a pochi metri dal mare e dalla sua abitazione, mentre con la sua bicicletta stava portando a spasso i cani. Dopo l’omicidio anche i rapporti tra la Pagliano e Aloisio si deteriorano, tanto da spingerli a reciproche querele. Ma dal Natale 2007 i due si riavvicinano e decidono di sposarsi. Nel 2009 scelgono di edificare il nido d’amore sul terreno precedentemente acquistato a Pellaro. Fu proprio il riavvicinamento del 2007, di cui sono venuti a conoscenza i Carabinieri, a far comprendere ai militari che non dovevano demordere dalla pista passionale per far luce sul delitto.
La Corte d’assise ha confermato l’impianto accusatorio, sostenuto in aula dal pm Francesco Tripodi. Dopo l’avvocato Giuseppe Naim per la parte civile, sono intervenuti nella discussione gli avvocati Nino Aloi e Valeria Iaria anche per delega dell’avvocato Giuseppe Putortì, rispettivamente in difesa di Pietro Angelo Aloisio e Mingu Bledi. Quest’ultimo, 35enne cittadino albanese, è stato riconosciuto dalla Corte d’assise quale esecutore materiale. Questi è il fratello di una donna sposata con il factotum di Aloisio, un ex dipendente della ditta dove Aloisio era dirigente, il quale aveva l’incombenza della cura degli affari di Aloisio a Reggio Calabria quando il dirigente si trovava a Milano. E’ così che Aloisio avrebbe conosciuto Mingu Bledi, il quale subito dopo l’omicidio aveva fatto precipitoso ritorno in Albania. Dopo l’arresto, a causa dell’età, ad Aloisio erano stati concessi i domiciliari, recentemente tramutati nella misura più lieve dell’obbligo di dimora di notte in casa. Ieri la condanna in primo grado, che ha mantenuto l’obbligo di dimora senza applicare al momento ulteriori misure cautelari in attesa del passato in giudicato. La legge italiana, se la sua presunta colpevolezza ottenesse valore di giudicato, gli consentirà eventualmente di scontare anche l’ergastolo al fianco della moglie, nel nido d’amore costruito a Pellaro, macchiato dal sangue di un omicidio?
Fabio Papalia