“Una scuola italiana”, a Rosarno la proiezione di un documentario su una scuola multiculturale

Rosarno (Reggio Calabria). Al Liceo scientifico Raffaele Piria, l’auditorium dell’istituto è gremito, sono presenti studenti, insegnanti, i responsabili del circolo del cinema Cesare Zavattini e Cecilia Bartoli, presidente dell’Asinitas, associazione romana che si occupa di educazione e intervento sociale rivolto a minori e adulti. Tutti presenti, per la proiezione del documentario “Una scuola italiana”, di Giulio Cederna e Angelo Loy e per il dibattito che ne è seguito. Il film parla di un fatto che ha destato una certa attenzione mediatica un paio di anni fa. Nel quartiere popolare di Roma di Torpignattara, la scuola elementare Carlo Pisacane è frequentata all’80% da bambini figli di stranieri. Ciò provoca la reazione di un gruppo di genitori che ritengono che si possa compromettere l’identità culturale italiana.
Allora prende il via un progetto, volto a promuovere il dialogo e l’integrazione, sostenuto dall’associazione Asinitas che prevede il coinvolgimento di insegnanti, bambini, genitori. Persone di tutte le età e di tutte le razze che dovranno mettere in scena “Il mago di Oz”. E la scelta dell’opera di Lyman Frank Baum non è certo casuale, trattandosi “Il mago di Oz” di un racconto di spaesamento, di perdita della propria identità domestica. Come Dorothy si ritrova in un altro mondo, sradicata dall’ambiente a lei caro, la casa dei suoi zii, i bambini della Pisacane si ritrovano in un paese molto distante culturalmente da quello di origine. Allo stesso tempo non è un caso che lo Zavattini abbia organizzato la proiezione proprio a Rosarno, dove il tema dell’immigrazione è sicuramente scottante, dati i fatti che hanno coinvolto il paese e i migranti di colore nel gennaio dello scorso anno. Ma quanto possono essere considerati stranieri questi bambini? Per la legge lo sono, perché pur essendo nati in Italia potranno acquisire la cittadinanza solo al compimento del diciottesimo anno d’età. Ma questi ragazzi, pur chiamandosi Yonut o Akib, sono italiani a tutti gli effetti, imparano la nostra lingua dalla nascita, parlano coi propri coetanei, figli di immigrati e non, in lingua italiana. E soprattutto frequentano una scuola italiana, il loro canale di socializzazione principale è questo, così, quasi paradossalmente, loro diventano spaesati, diventano degli “stranieri” quando ritornano tra le loro mura domestiche. Non conoscono la cultura rumena, indiana o del Bangladesh dei loro genitori, loro parlano con accento romano, tifano Roma o Lazio, guardano i cartoni animati sulle reti italiane, mangiano i biscotti del Mulino bianco.
Questa protesta ebbe come effetto un disegno di legge che prevedeva di abbassare la percentuale di alunni stranieri in ogni classe al 30%. Ma molti genitori della Pisacane si ribellarono. Il documentario è stato sicuramente piacevole da guardare e istruttivo, come il dibattito che ne è seguito, in cui gli studenti del liceo hanno parlato della loro esperienza in un contesto con un’alta densità di immigrazione come quello di Rosarno. Le immagini più belle, che possono rimanere a lungo nella mente e nella memoria di chi ha visto “Una scuola italiana”, sono quelle in cui un bambino italiano, uno di origina romena, uno cinese, e uno del Bangladesh, ridono, scherzano, in armonia, come è giusto che facciano i bambini, e siamo sicuri che a nessuno di loro sia passato per la mente, neanche lontanamente, che quello è bianco, mentre quell’altro è nero e quell’altro ancora è giallo.
I bambini, fortunatamente questi problemi non se li creano.

Raffaele Putortì

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