Reggio Calabria. Come ogni anno, l’Università Mediterranea si pubblicizza puntando su slogan che fanno riferimento a una triste realtà: quella dell’emigrazione della popolazione studentesca presso altri atenei d’Italia. Il problema è molto diffuso e molto sentito e lo spot lo esprime efficacemente. Tuttavia, si tratta di uno slogan di cui possiamo apprezzare solo la forma. Come è avvenuto per il turismo, per il quale sono stati spesi oltre 2milioni di euro in spot, mentre a Capo Rizzuto e non solo i turisti scappano per il mare melmoso (depuratori rotti ecc.), anche in questo caso manca una coerenza sostanziale tra la facciata e il contenuto: la pubblicità non può essere autoreferenziale, non può promettere quello che non può e non sa mantenere. Altrimenti è ipocrita. Premettendo che quello che stiamo per raccontare non esaurisce le manchevolezze o i pregi della Mediterranea, l’esperienza di Oscar Mannarella, 24 anni, reggino, padre di un bambino piccolo, per la sua paradossalità aiuta a gettare luce sul senso che può avere un simile spot; fermo restando che Oscar non è l’unico studente laureatosi (Corso di laurea triennale) presso la Facoltà di Architettura, che si ritrova, dopo, a dover fronteggiare un grande enigma burocratico. Che è poi un ostacolo al futuro. Spieghiamo brevemente la contraddizione. Oscar dopo la laurea triennale in Costruzione e Gestione dell’Architettura conseguita presso la Mediterranea, non ha potuto iscriversi a un corso di laurea specialistica in quanto inesistente per il corso di laurea triennale frequentato (Classe 4). La facoltà si è cioè impigliata nel 3+2 realizzando, agli effetti, un 3 senza 2 – che rende, di fatto, inefficace il 3 e obbliga i laureati a proseguire gli studi presso altri atenei. Armatosi di pragmatismo, Oscar ha pensato di iscriversi al Corso di laurea quinquennale in Scienze dell’Architettura, in modo da proseguire comunque gli studi, per i quali manca un mirato Corso di laurea specialistica. L’accesso al corso quinquennale richiede il superamento di un test d‘ammissione, essendo questo a numero chiuso. Peccato che, pur superando il test, per imperscrutabili ragioni burocratiche lo avrebbero fatto re-iscrivere al primo anno; ergo: 3 anni di studio “buttati” + laurea, nella sostanza, annullata. Con tutta la perdita in termini di tempo e di denaro che ciò avrebbe comportato. Oscar decide dunque, dopo un articolato confronto e dopo annesse rassicurazioni dei responsabili della Macroarea dirigenziale dei servizi degli studenti, di iscriversi presso un altro ateneo d’Italia, nell’ottica di chiedere successivamente di potersi trasferire alla Mediterranea. “Non ci saranno problemi”, gli era stato detto. Paga tasse ad un altro ateneo, paga fior di quattrini in treni e aerei e alloggi, non può frequentare il corso presso l’altro ateneo perché lavora a Reggio e ha una famiglia (moglie e figlio di 2 anni) che risiede a Reggio. Dopo aver speso ulteriori capitali per lezioni private legate al corso che non può frequentare, per ovvie ragioni, nell’altra città d’Italia, supera l’esame con profitto e finalmente pensa di fare richiesta di trasferimento nella Mediterranea. Peccato che le stesse persone che allora gli garantirono l’accoglimento della domanda di trasferimento, si ritrovano – dopo progetti di vita fatti in base a quella garanzia, dopo cospicue spese sostenute solo nell’ottica di un rientro che si pensava sicuro nell’ateneo reggino – oggi a smentire. “Ci dispiace, non ci sono posti, la tua domanda non potrà essere accolta”. Nell’appena pubblicato Manifesto degli studi è in altre forme scritto in grassetto e sottolineato. Architettura è notoriamente una facoltà che richiede la frequenza. Ora Oscar non può studiare a Reggio, dove vive e lavora, dove il figlio va all’asilo, dove ha i genitori e tutto il resto. Deve allontanarsi per mesi dalla famiglia, scegliere tra lo studio in un’altra città d’Italia e il lavoro a Reggio, spendere un mucchio di soldi per continui viaggi, perché la Mediterranea lo ha abbandonato – per non dire “raggirato”. Alla luce di quest’esperienza, che accomuna molti studenti del Corso di laurea Triennale in Costruzione e Gestione dell’Architettura, e che nel caso di Oscar assume caratteri di disagio particolari poiché si tratta di un padre giovane studente; lo slogan della Mediterranea è uno schiaffo a chi in effetti vorrebbe essere “orgoglioso di restare” ma non può perché gli viene impedito, guarda caso, dalla stessa istituzione che nei cartelloni pubblicitari, diremmo ipocritamente, promuove il contrario. Per incapacità gestionali dell’Ateneo vantato la nostra vita dovrà subire enormi ripercussioni. Ecco perché questo slogan, di fronte ai problemi che ora dobbiamo affrontare, ci indigna. Oscar voleva solo studiare nella sua città. E “pretendeva” di farlo nonostante il lavoro che a Reggio viene e va e una famiglia da seguire. Ma Oscar è di fatto escluso dal famigerato diritto allo studio. Non ha santi in paradiso e dunque dovrà arrangiarsi – peccato che a farne le spese non è il solo, ma siamo in 3; anzi di più: chi manterrà uno studente fuori sede, padre di famiglia, che dovrà lasciare il lavoro se vorrà studiare, pena precludersi un futuro migliore? Presumibilmente, mamma e papà – il vero, unico, grande welfare di sempre in Italia; che si sobbarca e tampona i problemi che le istituzioni ignorano. Noi vorremmo essere orgogliosi di restare. Eppure, ogni giorno dobbiamo scontrarci con questa grande “fatalità” che è l’incapacità gestionale non solo dell’Università, ma di tutto un sistema che non sa funzionare. Perché da che mondo è mondo, il miglior modo per farsi pubblicità è funzionare davvero. Attirare, di fatto, con una gestione e organizzazione intelligenti, gli studenti. Non si può incoraggiare a restare nei cartelloni pubblicitari da un lato ed espellere gli studenti per i quali non si sa dare una risposta dall’altro. Siamo una famiglia giovane che ha sempre detestato l’idea di emigrare per portare il proprio “capitale umano” nelle città che lo sanno valorizzare, per cercare invece di offrirlo alla propria città nell’ottica di un cambiamento che può iniziare solo da questo. Tuttavia, a quanto pare la buona volontà non basta e il destino di ogni giovane che intenda metterla in pratica qui somiglia a quello di un Don Chisciotte. Stiamo pensando di emigrare. Eppure, diamine, la Mediterranea ci avrebbe guadagnato. Oscar avrebbe pagato le tasse. Avrebbe continuato a dare il suo contributo, come ha già fatto prima della laurea triennale, alla crescita culturale dell’università. Avrebbe in seguito vantato una laurea in questo Ateneo, rivendicandola, sì, con orgoglio. Peccato, questo non sarà possibile. E non per causa sua. Queste sono le politiche del territorio per ridurre il fenomeno emigratorio. Non possiamo esimerci a questo punto dal chiederci, e dal chiedere all’Università Mediterranea di Reggio Calabria: che senso ha di fronte a quanto raccontato l’espressione “diritto allo studio”?
Oscar Mannarella e famiglia