Bova (Reggio Calabria). Nel borgo di Bova Superiore, il Paleariza 2011 ha ospitato nella piccola ma accogliente piazza il concerto del Maestro Eugenio Bennato che accompagnato dal suo complesso ha scatenato le sonorità tipiche del profondo Sud e del suo popolo accorso da ogni parte della provincia reggina. La gente ha cantato con il proprio paladino l’orgoglio di un Sud che non muore mai al ritmo delle sonorità più arcaiche. Una musica che vuole esorcizzare i fantasmi del passato non troppo remoto, un atto di devozione verso i popoli di un Sud che non esiste più, ma che scorre ancora nelle vene dei “meridionali”. I brani interpretati comprendono sonorità tratte dai canti popolari pugliesi a quelli dell’area partenopea, a quelli calabresi. Canti e musiche che sapientemente mescolate sembrano emergere dall’abisso più profondo della storia popolare, quella cancellata dalla storiografia ufficiale del potere dominante, infatti, molte delle canzoni scritte dal Maestro Eugenio Bennato sembrano impresse sullo spartito dalle anime di quanti hanno lasciato questo nostro mondo a causa della catena di ingiustizie che resta ininterrotta con l’Unità d’Italia. Una musica abitata da figure arcaiche che danzano intorno ai fuochi lungo i crinali dell’Appennino, i Briganti che si oppongono ai piemontesi dopo che Garibaldi e i Mille sono usati solo per sfruttare la popolarità dell’Eroe dei due mondi presso i ceti popolari, mentre le elite che si sono ingrassate grazie ai rapporti di produzione agrari iniqui, negoziano lo scambio di potere con la classe dirigente settentrionale interessata a impoverire con lo stupro e la rapina le risorse industriali e monetarie dell’intero Mezzogiorno ed a narcotizzare la futura classe dirigente con una politica assistenzialista, generando clientelismo e condensando da subito una subcultura di governo della cosa pubblica. Così la musica di Eugenio Bennato è un’esperienza totalizzante che riassume un radicato senso religioso che la pervade così profondamente da renderla un esperienza mistica, infatti va oltre il simbolismo di un canto di protesta, perché il ritmo pulsante ripetuto nel cuore di ognuno diviene una preghiera interiore che si fonde con quella che prorompe dal passato.
Fabio Arichetta