San Procopio (Reggio Calabria). Gentile Direttore,
mi consenta un piccolo sfogo che parte dal cuore, quel cuore distrutto da una tragedia che, ancora oggi, io e la mia famiglia non abbiamo superato e non credo supereremo MAI. Sono la Signora Antonia Anile, vedova dell’appuntato dei carabinieri Antonino Fava ucciso il 18 gennaio 1994 da mani spietate. Dopo tanti e vistosi titoli in grassetto, articoli e qualche approfondimento sui giornali sul pentimento dell’omicida, Consolato Villani, è doverosa da parte mia una risposta che vuole però essere mezzo di riflessione.
Utilizzo le sue colonne per far sentire al mondo intero, a chi lo avesse dimenticato o fa finta che non sia successo nulla, il dolore che provo e provano i miei figli. Dopo 18 anni di silenzio da parte mia e della mia famiglia, scelta fatta solo per assoluta dignità del nostro dolore, ora voglio urlare a tutti quanto mio marito fosse un uomo, compagno e un padre amorevole e affettuoso. Amava il suo lavoro e credeva in quella divisa che indossava con orgoglio. Ma non c’è più e nessuno mai ce lo restituirà.
Per questo voglio solo soffermarmi sul pentimento dell’omicida: Dio sa, e se è vero,cosa buona per la sua anima, a me però interessa davvero poco, anzi nulla e mi chiedo come mai questo pentimento è avvenuto solo dopo che il Procuratore di Reggio Calabria lo ha sbattuto in galera? Perché fino a qualche tempo fa, rispondeva dell’omicidio dei due carabinieri a piede libero e non ha mai accennato a questo ravvedimento? Mi sembra un atto “dovuto” più che voluto e, scusatemi se dubito ma penso, che i criminali siano criminali e non imbecilli: la tesi che sostiene il Villani, cioè che guidava a sedici anni l’autovettura rubata e con un carico d’armi, è un po’, consentitemi, da fessi e questo non lo penso. Infine, e non vado oltre, circa il perdono chiesto da Villani su tutti i quotidiani della Calabria ai familiari dei due Carabinieri, dico anche Dio nella sua Onnipotenza ed Infinita Misericordia perdona tutti i suoi figli, ma una volta pentiti e confessati rimane sempre la pena e va scontata per intero. Chi ha orecchie intenda.
Antonia Anile, Vedova Fava
Gent.ima Signora
condivido pienamente il suo punto di vista. Sulle colonne di Newz.it abbiamo più e più volte raccontato piccoli e grandi episodi che quotidianamente vedono capovolto l’assunto che “il crimine non paga”. Una legislazione figlia dell’eterna emergenza, con picchi altalenanti di innesti ora inflattivi e ora deflattivi, nei decenni ha prodotto un sistema giudiziario che fa acqua da tutte le parti. Ladri colti dalle forze dell’ordine con le mani nel sacco, dopo poche ore rimandati liberi dal giudice all’udienza di convalida, boss che scontano per ragioni di salute gli arresti domiciliari, beccati in flagranza di evasione e rispediti comodamente ai domiciliari. Questa è l’Italia della legge uguale per tutti ma ancora più eguale per i delinquenti, l’Italia del buonismo, dell’ipocrisia di chi si bea del perdono, ma dimentica sempre le vere vittime. In un Paese così malridotto come il nostro la figura di suo marito, un eroe a mille euro al mese, rappresenta un esempio di senso dell’onore e del dovere. Non tutti ne sono dotati. Basterebbe però, da parte di chi emana le leggi e di chi è chiamato a interpretarle, solo un po’ di buon senso, per tracciare una netta linea di demarcazione oltre la quale non sia consentito oltraggiare la memoria dei nostri Caduti.
Fabio Papalia