Rossano (Cosenza). Nell’ambito dei percorsi formativi di educazione alla legalità, è stato programmato per
il 16 novembre prossimo, un incontro finalizzato ad aprire un tavolo di confronto dopo la proiezione del film “Tutta colpa di Giuda”, alla presenza di studenti delle scuole superiori del circondario, di rappresentanti della società e delle Istituzioni da tenersi nella sala polivalente della casa di reclusione di Rossano.
L’avvenimento nasce da un idea dell’assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Cosenza Mimmo Bevacqua, che ha promosso l’iniziativa facendosi carico dell’onere relativo al finanziamento e inserendolo nell’ambito del proprio Progetto di Rieducazione Detenuti finalizzato al reinserimento sociale degli stessi. L’assessore, dopo una riunione a Cosenza, ha ottenuto l’approvazione da parte del dirigente dell’Istituto di reclusione di Rossano per l’organizzazione dell’evento.
Infatti, il dirigente Giuseppe Carrà è riuscito a coinvolgere al film-dibattito, in qualità di relatori, il prof. Fulvio Librandi, docente di Criminologia dell’Università di Cosenza, e l’avv. Domenico Rocco Ceravolo, sindaco di Laureana di Borrello e le seguenti scuole: ITIS, Liceo Classico “S. Nilo” e Liceo Psico-pedagogico di Rossano, Liceo Scientifico “G. Galilei” di Trebisacce e Istituto per Geometri “Falcone e Borsellino” di Corigliano che parteciperanno inviando una rappresentanza di studenti e docenti.
Gli studenti coinvolti saranno preparati a esprimere le proprie valutazioni in tema di legalità e di cittadinanza, attraverso un percorso di riflessione e approfondimento al termine del quale, con l’ausilio dei loro docenti, degli esponenti della società civile presenti all’incontro e degli illustri relatori, avranno l’occasione di mettere a confronto le proprie opinioni in merito alle delicate tematiche affrontate dal film.
Inoltre, trattandosi di un avvenimento teso alla revisione del passato di vita delinquenziale e sul “tempo della pena”, parteciperanno alla manifestazione i detenuti appartenenti al circuito “alta sicurezza” frequentanti la scuola ITIS dell’Istituto di reclusione e il Laboratorio Teatrale. In questa occasione i ristretti avranno un confronto diretto con gli altri studenti al fine di potere percepire l’esistenza di modelli di vita alternativi per la
realizzazione di un processo di vero cambiamento interiore.
«L’idea che mi spinge a promuovere iniziative di discussione collegate a un evento mediatico – ha spiegato Domenico Carrà – è quella del carcere come luogo di sperimentazione sociale per far conoscere quello che accade in un penitenziario e trasformarlo dal, troppo spesso, luogo del “non fare” in quello del “fare” .
Si tratta di due mondi diversi, quello degli studenti e quello dei detenuti – a volte solo qualche anno più anziani dei primi – eppure questi due mondi da tre anni si incontrano e dialogano con l’obiettivo della educazione alla legalità ma – ancor più – la prevenzione dalla illegalità. Peraltro, questo tipo di attività, oltre che a cercare di dare concretezza al mandato costituzionale del fine rieducativo della pena, è in linea con il concetto di un nuovo modello di Istituzione penitenziaria che, a partire dagli anni 90, va affermandosi sempre più ed è quello
che vede il carcere non come una discarica sociale ma come laboratorio di una continua sinergia di esperienze e collaborazione interprofessionale in cui le diverse figure di operatori penitenziari, dalla Polizia Penitenziaria, agli educatori ai medici e psicologi effettuano l’osservazione delle personalità dei detenuti, il trattamento individualizzato, il dialogo con il mondo “esterno”, un’osmosi continua tra il dentro ed il fuori per una sincera accoglienza e umanizzazione della pena.
Per concludere, voglio precisare che non si tratta di falso buonismo ma della profonda convinzione che, per cercare di evitare che queste persone tornino a commettere nuovi e più gravi reati, lo ritengo – probabilmente – l’unico modo per evitare con certezza che i detenuti, una volta immessi in libertà, non si portino dietro un “carico” di odio senza pari e vogliano ancora una volta scaricare sulla società il trattamento ricevuto commettendo nuovi e (forse) più efferati delitti».
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