Reggio Calabria. Cittadini a metà con gli stessi doveri dei loro coetanei italiani, ma non con uguali diritti. E’ questa la condizione di 299.565 bambini e ragazzi con cittadinanza non italiana, ma nati nel nostro Paese censiti dal Ministero della Pubblica Istruzione nell’anno scolastico 2010/2011 e che rappresentano il 42,1% sul totale della popolazione scolastica. L’incidenza più alta si registra nelle scuole dell’infanzia, il 78,3%,mentre l’incidenza più bassa è riscontrabile nelle scuole secondarie di secondo grado. Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio italiano, la Calabria è sedicesima nella graduatoria delle regioni per presenza di alunni figli di stranieri nati in Italia. La percentuale è del 16,9%. E’ molto al di sotto della media nazionale, pari al 42,1%. Sono in tutto 1.765, così distribuiti: 918 nella scuola dell’infanzia; 585 nella scuola primaria;159 nella scuola media; 103 nella scuola superiore. Nella provincia di Reggio Calabria, dalla indagine della Prefettura di Reggio Calabria relativa al 2010, risultano di seconda generazione complessivamente 512. L’incidenza più alta si registra nella scuola dell’infanzia (183) e nella scuola primaria (220), valori minori nella scuola media: 64 e 45 nel superiore. La classifica top-down dei primi 3 Comuni calabresi su base regionale, come risulta da uno studio della Fondazione Leone Moressa che ha analizzato il numero dei nati stranieri sul totale dei nati italiani al 1 gennaio 2011, prendendo come oggetto di studio i Comuni italiani con più di 10mila abitanti,vede come primo Comune nella regione Cittanova con una incidenza del 15,2%. Al secondo posto Locri con il 10,0%; al terzo posto Melito Porto Salvo con il 9,7%. Si tratta, insomma, delle seconde generazioni, un segmento particolare della popolazione scolastica di origine straniera, con esigenze e bisogni educativi diversi da quelli degli allievi di recente immigrazione. Hanno in comune con i ragazzi italiani la stessa scolarizzazione, parlano quasi sempre la nostra lingua, hanno gusti e interessi uguali o simili ai coetanei italiani. Non presentano in genere criticità scolastiche particolari. Li rende diversi solo la pelle, la religione, l’origine. Con sempre maggiore consapevolezza e insistenza richiedono giustamente adeguati spazi di partecipazione, a partire dalla revisione della normativa in materia di cittadinanza. A oggi la legge italiana (legge 91 del 5 febbraio 1992) non riconosce automaticamente la cittadinanza a chi nasce e cresce in Italia con genitori migranti, a meno che i genitori (o anche il solo padre) non siano a loro volta diventati cittadini. Secondo la legge, questi giovani nati in Italia, qualora siano stati continuativamente residenti sul suolo italiano per i loro 18 anni di vita senza assenze di oltre sei mesi, possono ottenere la cittadinanza entro i 19 anni di età, purché ne facciano richiesta.. Ma dopo i 19 anni, se non sono state fatte valere le prerogative previste dalla legge, si perde la possibilità (incredibile dictu!) di ottenere il riconoscimento della cittadinanza e anche i ragazzi e le ragazze nati in Italia da famiglie migranti, cresciuti insieme ai ragazzi italiani, debbono affrontare lunghi percorsi burocratici, della durata di diversi anni, prima di vedersi riconosciuti i diritti del cittadino. E’ bene ricordare che i diciottenni che acquistano la cittadinanza italiana non perdono quella del paese d’origine, perché il nostro ordinamento consente la doppia cittadinanza. Mantengono quindi i loro diritti verso il Paese d’origine e potranno, se le norme di quel Paese lo consentono, trasmettere la cittadinanza ai propri figli. E’ sperabile che il Comune invii delle lettere agli interessati al compimento del loro diciottesimo anno di età. La sfida di una moderna democrazia è proprio quella di affrontare in modo nuovo rispetto al passato, il tema dell’integrazione e della cittadinanza. Naturalmente, le iniziative normative volte a disciplinare il settore non devono essere immaginate o interpretate come strumenti posti a protezione degli italiani dal rischio ‘stranieri’, ma come, invece, strumenti di programmazione e di regolazione di un fenomeno nuovo . Di questa rilevante evoluzione socio-culturale devono, quindi, ora acquisire una sempre maggiore consapevolezza le Istituzioni centrali e territoriali, le forze politiche e sociali, l’intera opinione pubblica del Paese, cominciando dai nostri Enti Locali che potrebbero pronunciarsi con ordini del giorni dei consessi sul tema dell’inclusione degli stranieri che rappresenta per un cristiano impegnato in politica uno dei “valori non negoziabili”. Vedremo allora chi vorrà coerentemente impegnarsi per accogliere e sostenere queste proposte.
Professor Guido Leone – Già Ispettore Tecnico Ufficio Scolastico Regionale