Operazione San Giorgio bis. Oltre a un poliziotto arrestati Pepè e Antonino Caridi: tutti i dettagli

Reggio Calabria. Nel pomeriggio di sabato, 25 febbraio, personale della Squadra Mobile, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere (nr.458/11 RGNR DDA mod.21 – nr-4879/11 R.G. GIP DDA – nr.15/2012 R.O.C.C.) emessa dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Procura della Repubblica-Direzione Distrettuale Antimafia, a conclusione di mirata attività di indagine condotta dalla V sezione diretta dal commissario capo Francesco Giordano con il coordinamento del primo dirigente Gennaro Semeraro, ha tratto in arresto:

  1. Giuseppe Caridi (alias Pepè), nato a Condofuri in data 07.03.1943 e residente in Reggio Calabria alla Via Boschicello;
  2. Antonino Caridi, nato a Reggio Calabria in data 15.01.60, in atto detenuto presso la Casa Circondariale di Viterbo;
  3. Bruno Doldo, nato a Cardeto in data 28.12.1963, residente in Reggio Calabria, assistente capo della Polizia di Stato in servizio presso l’Ufficio Scorte della Questura di Reggio Calabria

Giuseppe Caridi e Antonino Caridi

in quanto responsabili, con ruolo di promotori ed organizzatori, del reato di cui agli art.416 bis, commi 1°, 2°, 3°, 4° e 5°, c.p., per aver fatto parte di un’associazione a delinquere di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta ed in particolare del sodalizio Borghetto–Caridi–Zindato, operante nell’ambito della più ampia cosca Libri, finalizzata al controllo dei quartieri di Modena, Ciccarello e S.Giorgio extra di Reggio Calabria, previa spartizione tra gruppi criminali, sulla base di deliberati mafiosi, del territorio d’influenza e delle attività criminali da perpetrare sullo stesso;

Ciò, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva:
– per commettere delitti come omicidi, estorsioni, danneggiamenti, detenzione e porto illegale di armi, anche da guerra ed esplosivi;
– per acquisire in modo diretto o indiretto il controllo e la gestione di attività economiche, di concessioni di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici e comunque per realizzare per sé e per altri profitti e vantaggi ingiusti.
– impedire o ostacolare il libero esercizio del voto e/o procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

Con l’aggravante della disponibilità e dell’uso delle armi.

Bruno Doldo

in quanto responsabile dei reati di cui agli art. 326, comma 2, ed artt.81 comma1 e 378 comma 2 c.p., perché in quanto pubblico ufficiale, quale Assistente Capo della Polizia di Stato, in servizio presso l’Ufficio Scorte della Questura di Reggio Calabria, violando i doveri inerenti alla sua funzione e comunque abusando della sua qualità, si avvaleva illegittimamente di notizie di ufficio a beneficio di CONDEMI Domenico al fine di procurare al predetto un ingiusto profitto non patrimoniale e perché rivelava al CONDEMI la presenza di microspie all’interno della sua autovettura Fiat Panda tg BM 804 LN al fine di aiutare il predetto ad eludere le investigazioni in atto nei suoi confronti da parte della Squadra Mobile di Reggio Calabria, in relazione al reato di cui all’art.416bis c.p.

Le indagini

Anche questo provvedimento cautelare è il compendio degli esiti delle risultanze investigative, nello specifico di intercettazioni ambientali e telefoniche, raccolte nel corso delle indagini e confluite nell’ambito dell’operazione denominata “San Giorgio bis”.

In particolare, per quanto concerne il boss Antonino Caridi, da tempo detenuto presso la Casa Circondariale di Viterbo, dalle attività tecniche si è registrata ennesima conferma che lo stato di detenzione non ha scalfito il ruolo apicale dal medesimo ricoperto in seno all’omonima cosca né ha impedito allo stesso di continuare ad impartire direttive, sfruttando i colloqui con i più stretti congiunti, al fine di gestire le lucrose attività illecite della consorteria.
Analogamente, per quanto concerne l’anziano patriarca del sodalizio criminale, Giuseppe Caridi alias Pepè, sempre le intercettazioni ambientali e telefoniche, unitamente alle propalazioni dei collaboratori di giustizia -Roberto Moio, Consolato Villani e Antonino Lo Giudice – che dalle prime hanno ricevuto inoppugnabile riscontro investigativo, hanno messo in luce come l’anziano boss, nonostante rimesso in libertà per gravi patologie fisiche, continuasse non solo a costituire il vertice indiscusso dell’omonima consorteria ma addirittura ad esplicare un ruolo decisionale negli affari della cosca Caridi.
A tale conclusione si è pervenuti non solo dalle intercettazioni telefoniche condotte in capo ai diversi sodali del clan ma anche e soprattutto dalle attività tecniche esplicate nei confronti del boss detenuto captandone i colloqui in carcere, unitamente a quelle condotte all’interno del circolo “Caccia sviluppo e territorio” ed alle risultanze emerse da un ambientale installata all’interno dell’autovettura in uso a Domenico Condemi, già tratto in arresto nell’operazione “Alta Tensione 2”, il quale era stato designato proprio dal boss detenuto Antonino Caridi a gestire il delicato compito del controllo del territorio di influenza della cosca Caridi.
In particolare, gli esiti delle attività tecniche hanno evidenziato che in tutte le decisioni relative alle estorsioni già perpetrate ed anche per quelle programmate vi era sempre la indiscussa gestione delle stesse ad opera dei massimi esponenti della cosca Caridi ed, inoltre, l’anziano Pepè veniva chiaramente indicato anche come il punto di riferimento della consorteria quale collettore delle tangenti imposte, a cui spettava anche il compito di ridistribuire i proventi agli altri associati.

Infine gli investigatori sottolineano che la particolare pericolosità del sodalizio è apparsa ulteriormente confermata dalla possibilità di permeare la segretezza delle indagini attraverso la compiacenza di un appartenente alle forze dell’ordine, in particolare un poliziotto in servizio all’Ufficio Scorte ed in passato alla Digos della Questura di Reggio Calabria, l’Assistente Capo Bruno Doldo, cognato del consigliere comunale Giuseppe Plutino, nonché cugino acquisito di Domenico Condemi. Infatti, le sue “confidenze” sull’esistenza di indagini in corso sono state apprese dalla Squadra Mobile per effetto della captazione di un dialogo, intercorso tra il Condemi e Giuseppe Pasquale Esposito e captato all’interno del circolo di caccia, nel corso del quale dalle parole dei due sodali si è appreso anche che in conseguenza delle rivelazioni del poliziotto infedele il Condemi, divenuto molto più accorto e sospettoso, aveva rinvenuto una microspia all’interno della sua autovettura.

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