Reggio Calabria. Dieci anni fa si spegneva in terra il Prof. Giuseppe Polimeni, noto e attivo direttore dell’ASST di Reggio Calabria e successivamente dell’Apt, a suffragio del suo percorso universitario che si svolge a Napoli, dove consegue la Laurea in Economia e Commercio discutendo una tesi sperimentale dal titolo: “Il turismo nella provincia di Reggio Calabria. Aspetti geografici ed economici”. Tale lavoro accademico viene giudicato come “il primo esempio serio di pianificazione turistica”.
Infatti, è anche un apprezzato docente di Geografia al Liceo Linguistico “Nuova Europa” della città dello Stretto. Motore inesauribile di due importanti riviste pubblicate entro i confini regionali e conosciute a livello internazionale,“Calabria Turismo”, periodico nato per volontà del direttore dott. Amerigo Degli Atti, per il quale il Prof. Polimeni ha svolto la funzione di segretario di redazione, e “Calabria Sconosciuta”, la sua vera scommessa vinta, rivista di elevato spessore culturale e scientifico che ancora oggi, dopo dieci anni dalla scomparsa del suo fondatore, diffonde nel mondo la storia, le tradizioni popolari, l’arte e i costumi della terra bruzia. Grazie proprio ai suoi familiari, agli amici di sempre e ai nuovi collaboratori, si continua senza contributi pubblici a solcare il mare delle difficoltà con l’ausilio dei soli lettori sparsi in ogni angolo della terra.
La mia personale conoscenza con il Prof. Polimeni risale all’anno formativo 1991/1992, ad un corso per operatori turistici: docente di tradizioni popolari, ci “impregnò”- questo il termine esatto- di antropologia culturale, geografia delle popolazioni, storia ed arte; le sue lezioni sembrarono da subito un contenitore di sapere contaminato, un viaggio esplorativo che partiva da dietro i banchi dell’aula di una scuola dai muri sgretolati per finire sui pianori dell’Aspromonte o fra le rovine di un tempio greco; memorabili le passeggiate fatte in città e lungo le strade di Santa Lucia, dove conosceva come il palmo della sua mano tutti gli scavi archeologici e lo sguardo gli si rattristava con un velo sottile di malinconia quando riaffiorava alla memoria tutto ciò che era stato distrutto.
Proporlo come esempio mi sembra veramente cosa da poco e troppo riduttivo, una persona che ha sempre amato la nostra terra senza condizioni, perché cosciente delle sue potenzialità, ma soprattutto che le battaglie culturali sono lunghe ed estenuanti e possono durare per decenni.
Concludo, perché conoscendo questo straordinario studioso della nostra regione e della storia della nostra gente, non gli piacerebbe che mi dilungassi ancora: voglio ricordarlo sul portoncino del suo studio, a pochi metri dalla via M.O. Brancati che mi saluta mentre dal porto ritorno da Messina, così sereno col sorriso sornione di chi dissimula preoccupazioni e si compiace d’aver seminato amore per questa terra in lungo e largo.
Fabio Arichetta