La Lettera Pastorale di Mons. Nunnari rivolta ai politici di ogni schieramento

La Lettera Pastorale di Mons. Salvatore Nunnari, Arcivescovo Metropolita di Cosenza – Bisignano, incisiva, immediata, meditata, rivolta agli uomini politici di ogni schieramento, credenti e non credenti, rappresenta una sintesi mirabile di cosa un cattolico debba o non debba essere, affinché la coerenza della sua Fede lo protegga dalla tentazione del potere fine a se stesso.
Nell’introduzione l’alto prelato parla di una politica percepita dalla gente comune come «teatrino, lotta di fazioni, guerra tra posizioni. Insomma mera gestione del potere e non slancio, sogno, progetto, immaginazione, capacità di anticipare i tempi, carità, amore per la propria terra e la propria gente, servizio». Nel fornire alcuni spunti di riflessione, cita il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano secondo cui «non c’è futuro per l’Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica», invitando i cattolici a riversare la propria ricchezza spirituale nell’agire quotidiano, perché «la politica, pur non essendo una scienza esatta, è la capacità di lanciare il cuore oltre la siepe».
La Lettera si apre con il I Capitolo «Cosa distingue un cattolico in politica»: Monsignor Nunnari scrive tutto d’un fiato e il solo suono della parola ha il potere di rimandarci ad immagini quasi diaboliche, perché coscienti della sete umana di dominio, denaro e successo, mettendo in evidenza che si può parlare di politica come valore solo e nella misura in cui è vissuta al servizio della persona; in caso contrario, cessa la sua funzione di missione verso il prossimo e diviene follia, noi aggiungiamo, delirio di onnipotenza. Invita, pertanto, i cristiani ad abitare nell’agone politico da cristiani e non da apolidi e lo fa cita l’Aquinate, di cui probabilmente abbiamo tutti smarrito la memoria: «La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece la legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso, però, cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza». Nel II Capitolo si affronta il tema della responsabilità politica in relazione al bene comune, ricordando che «la fede ci inchioda alle nostre responsabilità di uomini e ai nostri doveri verso la comunità». Invita all’etica della responsabilità dell’agire politico, opponendosi alla concezione politicistica propria della corruzione politica, rifuggendo dal costruire il senso della politica come arte amorale e priva di etica ma chiedendo ai cattolici, in particolare ai laici chiamati ad agire nelle strutture pubbliche, uno sforzo maggiore « in coerenza con la fede e la morale cristiana». In tal senso rammenta la Caritas in Veritate «si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per il bene comun». Il III Capitolo, dal titolo «Politica e Mezzogiorno» mette in evidenza l’assenza di una vera strategia di sviluppo per il Sud Italia a causa dell’egoismo delle classi dirigenti succedutesi nel secolo scorso Mettendo in risalto i tanti inganni perpetrati contro la gente del Sud. Cita, in particolare, la Cassa per il Mezzogiorno e l’opera Sila che hanno creato solo potentati e dipendenza da questi, denuncia l’errore del modello regionale del 1970 che preferì l’industria pesante che non sarebbe mai stata avviata e lo sperpero di denaro pubblico. Rammenta ai politici che il vero cambiamento nasce da una trasformazione del modo di pensare e di vivere della politica. Invitando tutti a pensare ad un sano federalismo fondato sul principio di sussidiarietà una proposta per il futuro per consentire al paese di viaggiare a due velocità. Il IV Capitolo, conclude la Lettera con un esortazione ad educare alla politica in un momento in cui l’antipolitica è all’apice della sua virulenza, invitando i cristiani a costruire la città degli uomini a curare l’educazione civica e politica. Invitando le comunità parrocchiali a riconoscere e accompagnare i laici che vivono l’esperienza della responsabilità della cosa pubblica sottolineando che il cristiano è sempre amico della verità: «egli sa sopportare tutto per amore della verità senza cedere alle lusinghe».

Fabio Arichetta

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