Reggio Calabria. La Corte di Appello di Reggio Calabria, in accoglimento dell’istanza presentata dal difensore di fiducia avv. Marco Tullio Martino, ha disposto la scarcerazione di Mario Surace, imputato di estorsione aggravata dal metodo mafioso ex art. 7, l. 203/91, disponendone l’immediata rimessione in libertà. Lo stesso era stato accusato di avere – con l’ausilio di un congiunto poi condannato per il delitto di associazione mafiosa e latitante nel periodo dei fatti – cercato di estorcere del danaro ad un soggetto che secondo lo stesso imputato gli avrebbe nel tempo sottratto merce all’interno del proprio negozio per oltre centomila euro. Dopo due anni di richieste di restituzione del danaro, la vittima si era decisa a denunciare l’accaduto ai carabinieri, facendo scattare l’arresto del Surace per i reati di estorsione aggravata e consumata, sequestro di persona e lesioni. La Corte di Appello, con questo provvedimento, che ha dato atto degli “articolati rilievi e delle argomentazioni tecnico-giuridiche allegate all’istanza”, ha confermato un importante orientamento giurisprudenziale, invocato appunto nell’istanza dall’avv. Martino, secondo il quale, anche per i soggetti imputati del delitto di cui all’art. 416 bis o di reati aggravati dall’art. 7, è possibile applicare misure cautelari più gradate rispetto a quella del carcere, obbligatoria solo nella fase iniziale, genetica, della applicazione della misura coercitiva, e non nelle fasi successive. Nel caso del Surace, il tempo trascorso, la vita anteatta dell’imputato e le restanti argomentazioni espletate nella istanza hanno dato atto di una sicura attenuazione delle esigenze cautelari, così da comportare la sostituzione della misura cautelare del carcere con quella dell’obbligo di dimora nel comune di residenza. Nel merito la parola fine sarà data dalla Suprema corte di cassazione chiamata, fra qualche mese, a pronunziarsi sul ricorso presentato dagli avvocati Giuseppe Mazzetti e Marco Tullio Martino.
