Reggio Calabria. Si è tanto parlato e pubblicizzato, in questi giorni, dell’apertura al pubblico dell’area archeologica di Piazza Italia. A questa notizia il mio primo pensiero è stato: “Finalmente! A dieci anni dall’inizio dei lavori si è giunti alla fine!” ma, essendo cittadino e consapevole della realtà in cui vivo da disabile, il tarlo del dubbio ha da subito cominciato a ronzarmi nelle orecchie: “sarà una struttura adeguata secondo le norme vigenti per l’accessibilità? Avranno rispettato le leggi sull’assenza delle barriere architettoniche? Sarà accessibile a tutti?”, dandomi anche dello stupido mi sono risposto che dopo anni di lavori, imprese con esperienze pluriennali che hanno preso parte alla costruzione delle strutture, e poi, siamo nel 2012, qualcuno avrà vigilato sullo stato dell’arte. Sicuramente sarà tutto a posto. Lascio passare una settimana per evitare la folla delle grandi occasioni e, avvicinandomi all’ingresso noto gli sguardi imbarazzati del vigile urbano in servizio presso l’ingresso e della signora addetta, credo, a regolarne gli ingressi (non più di venti per volta, come premurosamente scritto su un volantino affisso prima dell’entrata agli scavi). Il dubbio torna a ronzarmi in testa e, come volevasi dimostrare, per accedere agli scavi sono presenti due (credo almeno due, non ho potuto rischiare ad avvicinarmi troppo) rampe di scale che, per i normodotati, sono la soluzione migliore ma per chi ha qualche problema di deambulazione, non solo per chi come me è costretto su una carrozzina, rappresentano un ostacolo insormontabile. La domanda sorge spontanea: chi ha eseguito i lavori? Chi doveva vigilare sulla buona realizzazione degli stessi e sul rispetto delle normative, di tutte le normative? Mi si potrebbe ribattere che per motivi di sicurezza dei manufatti non si sono potute effettuare opere di adeguamento all’accessibilità ma, perché questi problemi risultano irrisolvibili solo a queste latitudini? A Valencia (Spagna) un analogo parco archeologico sotterraneo è stato a me totalmente accessibile e fruibile attraverso un ascensore, piccolo ma a norma, e delle passerelle abbastanza larghe (90 cm circa) da permettermi di godere a pieno dei reperti. Ho studiato per anni e, non senza difficoltà e sacrifici, mi sono laureato in urbanistica. Mi chiedo adesso e chiedo anche ai colleghi che hanno effettuato i lavori: si è trattata di ignoranza delle leggi, di un mancato aggiornamento normativo negli ultimi vent’anni o, semplicemente, di una deliberata e consapevole azione in deroga alle norme vigenti, di mancanza di cultura o addirittura di discriminazione? Le norme esistono, esiste anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con Disabilità (resa esecutiva con L 18/2009), le soluzioni tecniche anche, perché non applicarle? Non mi si venga a parlare di mancanza di fondi, in dieci anni ne sono stati spesi anche troppi e poi, gli interventi di adeguamento all’accessibilità quali potrebbero essere un ascensore montacarichi o un più semplice montascale non avrebbero di certo spostato i bilanci di spesa del progetto e/o dell’impresa appaltatrice. Perché in questa città bisogna sempre combattere ed amareggiarsi per poterne goderne a pieno le sue bellezze o semplicemente per fruire dei servizi essenziali che una città, ancor più se “metropolitana”, dovrebbe offrire a tutti? Perché i centri di governo non lo sono? Palazzo San Giorgio, sede del Comune, come la sede prefettizia di Reggio, come la sede dell’albo degli architetti, come molti altri uffici pubblici non sono a norma ed a me, e chi con simili difficoltà, non accessibili, come anche i marciapiedi privi di rampe o, quelle che ci sono, fatte male? di chi sono le responsabilità? chi dovrebbe pagare per i suoi errori? Chi pagherà mai?
Aldo Labate