Paola (Cosenza). Monsignor Mondello, Arcivescovo di Reggio Calabria-Bova e presidente della Conferenza Episcopale Calabra, nell’omelia – tenuta ieri a Paola – per la celebrazione del cinquantesimo dalla proclamazione di San Francesco di Paola a Patrono della Calabria, traccia del Santo calabrese alcuni tratti che ancora oggi sono attuali e capaci di segnare profondamente la vita della comunità calabrese. In particolare si sofferma sui temi della sobrietà, della lealtà, dell’ attenzione e vicinanza agli ultimi, che sono capaci di ridare senso e speranza ai pellegrini di questo tempo, alle comunità disorientate, alle famiglie smarrite, ai giovani privati dei sogni, in una terra di tante parole ridondanti e di tante maschere viventi. Davvero l’Arcivescovo Mondello – con questa omelia, di cui si riporta il testo integrale – fa ai figli della Calabria il dono di una profonda riflessione.
Carissimi Confratelli Vescovi, Sacerdoti, ed anche Religiosi e Religiose, qui convenuti per l’annuale raduno, distinte Autorità, e voi tutti carissimi fratelli e sorelle della Calabria intera! Siamo qui radunati nel cinquantesimo anniversario della proclamazione a Patrono della Calabria di San Francesco da Paola. E’ davvero bello rileggere a 50 anni da quel giorno le meravigliose parole di Papa Giovanni XXIII, vergate sulla Bolla Pontificia del 2 Giugno del 1962, lì dove si parla di San Francesco come “luce della Calabria odierna” e si constata che egli “per la straordinaria santità della sua vita e per gli innumerevoli favori celesti ottenuti per sua intercessione, é venerato dagli abitanti di quella regione, con continui e speciali atti di culto”. Ed é perfino commovente rileggere Papa Giovanni li dove scrive che, “con il beneplacito dei Padri del Concilio Provinciale Calabro, il nostro venerabile fratello Giovanni Ferro, Arcivescovo di Reggio, ci ha presentato una supplica alla quale aderiamo ben volentieri”. E’ carico di suggestione il fatto che a chiedere ufficialmente la proclamazione di San Francesco quale Patrono principale della Calabria sia stato quell’Arcivescovo calabrese, di cui é in corso la Causa di Beatificazione. I Santi si incontrano, le loro vite si intrecciano, il loro messaggio ci indica sempre la strada di Dio. E che tutto questo si viva dalle Chiese di Calabria proprio oggi, é pieno di fascino sacro. Oggi celebriamo, infatti, la Solennità della Santissima Trinità. Fratelli carissimi, il desiderio dell’uomo di ogni tempo é stato sempre, é, e sarà quello di conoscere Dio: di percepire in qualche modo la sua esistenza, di capire se ci si può accostare a Lui, di “toccare” insomma il Suo mistero… Lungo il tempo, i più grandi pensatori si sono cimentati in questo supremo tentativo. E il vertice del cammino della ragione umana sta, probabilmente, senza escluderne nessun altro, in quella formidabile intuizione del pensatore greco: “Dio é nòesis noéseos, il pensiero del pensiero”. Straordinario, ma insieme fragile! Perché, se Dio é il “pensiero del pensiero”, sta lì, supremo, inattaccabile, totalmente Altro, ma irraggiungibile, chiuso dentro se stesso, nel suo mistero. La ragione umana non sarebbe andata oltre, più in là. A venirle incontro é stato – in un singolare intreccio della storia e della fede – il Verbo stesso di Dio, fatto carne, Gesù Cristo: la sua rivelazione divina é diventata lo sconvolgente annuncio del Cristianesimo: Theòs Agape éstin, Dio é amore! Il grande S. Agostino, prima, durante e dopo il cammino della sua conversione, riuscì – nella maniera più alta – a supportare con la ragione la grandezza del dato rivelato. Non esiste l’amore – concluse – senza l’amante e l’amato. Il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre, lo Spirito Santo é l’Amore del Padre e del Figlio. Se Dio é Amore, Dio é dall’eternità l’Amante, l’Amato, l’Amore. Tre Persone e una sola Natura. Una ousìa e tre ipostasi, uguali e distinte, dentro quell’unica ousìa. La ragione non può comprendere la pienezza del Mistero, ma ne certifica la “non assurdità”. Sarebbe assurdo se la nostra fede annunciasse che in Dio c’é una Persona, più un’altra, più un’altra ancora. Perché 1+1+1 fa 3. Ma la nostra fede annuncia che le Persone divine – nell’unità di una sola Natura – esistono l’una per l’altra. Non sono 1+1+1, ma lxlxl: che fa sempre 1. E’ l’Amore il senso e, per dir così, la ‘matematica stessa’ di Dio! Dentro questo divino mistero noi ci troviamo, noi ci muoviamo, noi esistiamo. “In Ipso enim vivimus, et movemur, et sumus” (Atti 17,28). Nessuno può abbracciare la totalità di questo Mistero, che é il principale della nostra fede. Ma qualcosa possiamo fare per vivere nella quotidianità questo, che é il Fatto fondamentale della vita di Dio, della vita nostra e dell’universo intero. L’Oriente e l’Occidente si distinguono nel suggerirci cosa fare; e lo fanno in maniera stupenda, arricchendosi reciprocamente. Per la sapienza orientale, noi ci troviamo di fronte a questo Mistero come ci si trova di fronte a un Oceano immenso: non puoi abbracciarlo, ma puoi tuffarti dentro. Non possediamo la Trinità, ma possiamo immergerci dentro di essa. E come ci si immerge dentro? In una maniera semplicissima: amando. Più ami, più sei dentro il Mistero! Per la riflessione occidentale, ancor prima di questo, accade – in una maniera misteriosa – l’inverso. Quando, cioè, amiamo, non siamo noi che entriamo per primi nella Trinità, ma é la Trinità che entra per prima in noi. “Se uno mi ama … noi verremo a lui e faremo dentro di lui la nostra dimora” (Gv. 14,23). Questa, carissimi, é la più grande possibilità della nostra vita: avere Dio dentro di noi, ed entrare con la nostra vita dentro la Sua. Da figli. C’é chi fa di tutto nella vita – sia dentro la società, sia dentro la Chiesa – per riuscire, per avere visibilità, successo, per essere stimato, per raggiungere una posizione di rilievo, per diventare questo o quest’altro, per arricchirsi, o per varcare traguardi di assoluto prestigio: diventare insomma agli occhi degli altri “qualcuno”. Ma, nessuno può assolutamente conquistare qualcosa di più grande di ciò che raggiunge colui che ama. Chi ama diventa – altro che presidente o vescovo o capo! – diventa “figlio di Dio!”. Un tutt’uno con Dio! E’ il Mistero, ma non c’è niente di più grande. Francesco da Paola lo aveva capito. Lo ha vissuto. Ne è uno straordinario testimone. Tutto egli ha fatto, sempre ha vissuto, come figlio del Padre, amico del Figlio, testimone dello Spirito Santo. Entriamo, in un rapido volo, dentro lo scenario della sua vita. Mi fermerò, ovviamente, solo a qualche rapido cenno. Tutti voi conoscete, magari meglio di me, l’intera sua vita. Vi dirò solo che in certi scenari – e non mi riferisco ai suoi incontri con alcuni dei grandi della terra – egli visse il suo essere figlio del Padre nella sua vita di orante, amico del Figlio nella sua vita di penitenza estrema e di suprema carità, testimone dello Spirito nella sua vita di ascolto sapiente e di straordinario discernimento. Dopo che visitò con amore i luoghi del Santo di Assisi, tornato dal viaggio, all’età di quattordici anni, Francesco decise di vivere in solitudine e si ritirò a fare vita da eremita nel bosco di Paola, verso la montagna. Si rifugiò in una grotta solitaria e fredda: per letto aveva la nuda terra e per guanciale un sasso. Trascorreva, da figlio del Padre, molto tempo nell’intensità della preghiera; per cibo mangiava le radici degli alberi. E, quale amico del Figlio, anche Lui esperto di deserto e di solitudine, rimase nell’esperienza della vita eremitica per ben cinque anni, lontano da tutti, fino a quando un giorno i cani di alcuni cacciatori lo scoprirono. Allora uscì dalla solitudine e si costruì una celletta, dove riceveva tante persone che andavano a visitarlo, a farsi ascoltare, a ricevere consiglio, aiuto o prodigi. Quel luogo, che viene indicato come Antico Oratorio, fu il luogo della sua testimonianza allo Spirito, nella sapienza dell’ascolto e del discernimento. Proprio per questo, altri eremiti seguirono il suo esempio e divennero gli “Eremiti di fra’ Francesco: indossavano una tonaca di lana, con ai fianchi per cintura un pezzo di fune; e i piedi scalzi. Usavano un cappuccio, che secondo la tradizione gli era stato consegnato dall’Arcangelo Gabriele, che gli raccomandò di fare indossare anche ai suoi frati. 0011 numero di visitatori e di seguaci aumentava; l’oratorio era troppo piccolo e fu necessario, perciò, costruire una chiesa. Durante la costruzione della chiesa e del convento di Paola, cominciò ad operare i primi dei suoi numerosi e grandi miracoli. Fu immerso, insomma, Francesco, per tutto il suo cammino terreno nella presenza e nell’amore della Santissima Trinità; e la presenza della Divina Trinità traspariva dalla sua vita. Per questo, soprattutto per questo – a cinquantanni dal giorno in cui é stato proclamato Patrono principale della Calabria – San Francesco da Paola ha ancora da dire qualcosa di semplice e di grande alla gente di questa meravigliosa regione. Già Giovanni XXIII scriveva – nella citata Bolla – che San Francesco da Paola come dice il Papa Leone X nostro predecessore, nell’ascriverlo nell ‘albo dei Santi, “col divino aiuto in tanti modi illustrò con i suoi meriti ed i suoi esempi la Chiesa santa e rischiarò le tenebre del nostro secolo con lo splendore della sua luce ” (Boll. Rom., Ili, pag. 476). Oggi, nella delicata stagione che attraversa il mondo, dentro le sfide sempre più difficili e acute che toccano la vita dei credenti e dentro la crisi che dappertutto – e in maniera intensa qui in Calabria – attraversa la vita della gente comune, penso che San Francesco abbia tanto di insegnare. La sua azione di Maestro, offerta con la vita, é quanto mai attuale. Su tre frontiere soprattutto. Quella, anzitutto, della sobrietà. San Francesco insegna la sobrietà. Uno stile di sobrietà, non sopportato come una condanna, ma vissuto come una scelta. Il consumismo estremo ha fatto perdere nei decenni scorsi il senso della vita come “cammino verso una meta”. E’ quanto mai urgente che si riscopra il valore della sobrietà come frontiera, dentro cui vivere da pellegrini verso l’eterno. S. Francesco da Paola insegna, poi, la lealtà. Quella lealtà assoluta – figlia dell’amore alla Verità – che egli visse coi piccoli e coi grandi della terra. Se c’è una fuga oggi, quanto mai urgente, che ciascuno deve compiere, in ogni contesto di vita, é la fuga dalle maschere. Non ci si può rivestire di maschere – non solo dentro la vita della Chiesa, nei rapporti fra credenti, tra presbiteri e anche fra vescovi – ma nella vita quotidiana della gente, nei rapporti tra familiari, tra parenti, tra amici, tra conoscenti, fra colleghi di lavoro. Non si può vivere con maschere ogni giorno diverse dentro i rapporti della politica e della pubblica amministrazione. Ognuno ha l’obbligo di riscoprire insieme il coraggio delle proprie idee e l’umiltà che fa riconoscere i propri errori. Senza verità non crescerà mai la polis. Si proporranno chiacchiere altisonanti e tentativi di carpire il voto soprattutto della povera gente ignara, ma non si farà mai crescere la Calabria e il suo bene comune. San Francesco, infine, straordinario Maestro di carità, insegna, in maniera unica, l’attenzione e la vicinanza agli ultimi. Gli ultimi, carissimi fratelli miei, si sentono oggi più che mai abbandonati, sono senza voce, senza sostegno: non sanno a chi rivolgersi, dove bussare, come implorare, in che maniera vivere. E se non ci fossero le tante opere di carità delle nostre chiese, il dramma degli ultimi assumerebbe proporzioni gigantesche. La Calabria deve riscoprire – a livello pubblico, politico e delle dinamiche sociali – il valore della vicinanza agli ultimi come impegno primario. Il sostegno della famiglia in quanto tale e l’attenzione alle famiglie più povere deve diventare l’obiettivo più alto della politica calabrese: se si vuole la crescita dell’intera regione, il luogo dai cui partire sono obbligatoriamente i bisogni degli ultimi e l’aiuto a chi li sostiene. Il resto – tra cui primeggia l’offerta del lavoro ai giovani perché non siano ancora una volta costretti ad emigrare per vivere ed avere un futuro – é legato di conseguenza alla scelta di sostenere gli ultimi. Perché gli stessi giovani, primi nei sogni, sono spesso ultimi nelle possibilità concrete. Ecco, fratelli miei, ho concluso. A San Francesco di Paola – che continueremo a venerare quale Patrono principale di questa nostra amata terra – chiediamo di sostenere le nostre Chiese in cammino verso l’Anno della Fede, perché sempre più rispondano alle attese di Dio per saziare le attese del mondo. E la Madre della vita e della Speranza, Madre del Fiat e della Consolazione, ci sostenga con la sua tenerezza e ci continui a donare – dal grembo della sua fede – il volto del Figlio, che amiamo e che é il senso stesso della nostra vita e del nostro cammino. Amen.