Ieri mattina, alle ore 7.00 sono partito da Villa San Giovanni con il Frecciagento Trenitalia n. 9372, diretto a Roma, con arrivo previsto per le ore 11,55. Nella scelta di questa soluzione di viaggio ha pesato particolarmente la presenza della mia bambina, alla quale volevo far provare il piacere di andare in treno (io adoro viaggiare in treno per le opportunità che mi da di lavorare, leggere, incontrare persone) ma in condizioni di comfort e con una durata del viaggio accettabile per una bambina di 5 anni.
Arrivati dopo Napoli, a meno di un’ora di viaggio da Roma, quando eravamo già sulla famigerata linea ad alta velocità potentemente voluta da tutti i governi degli ultimi 10 anni, ecco che il treno comincia a rallentare, per spirare definitivamente sotto una sorta di breve tunnel che non copriva neanche interamente il convoglio. Erano circa le 11 e 20, e da quel momento è iniziato una sorta di tragicomico calvario durato fino alle 15,30.
Il primo annuncio del capotreno riportava un problema al “materiale rotabile” che sarebbe stato risolto in 10 minuti. Intanto il treno spirato, ha smesso di mandare aria dai collettori, condizione che coniugata all’ermeticità degli ambienti dell’Eurostar (compreso porte bloccate), in poco tempo ha reso gli ambienti soffocanti. Dopo dieci minuti il nuovo annuncio del capotreno aveva un tono ben più preoccupato. Parlava di guasto al locomotore, e pertanto si aspettava l’arrivo di un mezzo di emergenza. La considerazione tuttavia di essere vicinissimi alla stazione di Napoli (circa 20 km) ci aveva sul momento portato a considerare la vicenda più un fastidio (arriverò in ritardo) che un problema (arriverò?).
La temperatura e l’afa intanto continuavano a salire, soprattutto negli scompartimenti dei vagoni rimasti fuori dal tunnel, e come tali sotto il sole di un mezzogiorno di luglio. Con la temperatura cresceva visibilmente la tensione tra i passeggeri, soprattutto quando, passati oltre 20 minuti, il servizio bar continuava a far pagare l’acqua, con il barman che si giustificava dicendo che non aveva avuto alcuna diversa disposizione e i passeggeri che a muso duro lo minacciavano.
Dopo circa mezz’ora la situazione era ormai insostenibile; sono cominciate così forti pressioni al capotreno per aprire le porte, volevamo scendere, l’aria era irrespirabile e il disagio fortissimo soprattutto per i bambini (molti dei quali erano stati liberati dai vestiti e stavano negli ambienti soltanto con i pannolini). I bagni erano ormai inagibili, niente acqua e fuori uso i sistemi di espulsione dei wc, con odori nauseabondi. Così il capotreno ha aperto le porte del treno e i 350 passeggeri si sono riversati sotto il tunnel vicino ai binari, tra la cacca di piccione e qualche carcassa di cane morto che stava ai margini dei binari.
Era quasi mezzogiorno, e lì, in quel tunnel e in quelle condizioni ci siamo rimasti fino a oltre le 15, senza avere alcuna informazione, senza assistenza, senza una bottiglia d’acqua, senza nessuno che si curasse minimamente di noi. Il capotreno continuava a restare attaccato al telefono chiedendo assistenza e ricevendo la solita promessa: sta per arrivare un locomotore che porterà il treno nella stazione più vicina (Gricignano), a 10 minuti da noi.
Verso le 14.00, il capotreno ha cominciato ad invitare tutti a risalire a bordo. Molti lo hanno fatto, convinti che si fosse sbloccata la situazione, ma i testimoni dell’ultima telefonata del capotreno hanno capito che non si trattava della fine dei nostri problemi. Il motivo dell’invito a risalire era semplicemente che qualcuno “dall’alto” aveva richiamato il capotreno per la scelta di aprire arbitrariamente le porte del treno, minacciando provvedimenti contro lo stesso. In realtà la situazione di pericolo era tangibile. I treni ad alta velocità che in quelle ore hanno attraversato quella tratta ci sfrecciavano accanto senza rallentare minimamente, provocando anche spostamenti d’aria considerevoli che facevano muovere visibilmente il treno.
Anche dopo aver preso coscienza che eravamo ai bordi dei binari, la situazione non è mutata. L’unico treno che ha rallentato, procedendo a velocità estremamente contenuta è stato (sic), paradossalmente, il competitors di Trenitalia, Italo, e la cosa ha dell’incredibile. Mentre stavo lì ogni tanto guardavo i numerosi turisti saliti a Napoli e diretti a Roma. Cosa staranno pensando? Che idea si saranno fatta di noi italiani? Cosa diranno ritornando a casa e racconteranno questa avventura italiana?
Verso le 15.00 è arrivato un nuovo locomotore, che agganciato il treno lo ha trascinato alla stazione di Gricignano. Venti minuti di incubo, con il treno che andava a velocità estremamente limitata, con i passeggeri grondanti di sudore e l’aria irrespirabile. Arrivati alla stazione di Gricignano, un altro treno ci portava a Roma, dove siamo arrivati oltre le 16,30, un arrivo anonimo, non segnalato dai tabelloni della stazione (mio suocero, che ci aspettava a Roma dalle 12.00, non ha avuto contezza del nostro arrivo se non da una mia telefonata), una sorta di treno fantasma che si è tentato di coprire per nascondere la vergogna.
Sul treno della speranza partito da Gricignano (speranza che finalmente ci portasse a Roma), qualcuno ha cominciato a raccogliere adesioni per una class action contro Trenitalia, contro una gestione dell’emergenza disastrosa (un tempo si sarebbe detto tutta italiana). Il passeggero che si è macchiato di lesa maestà, è stato scortato mentre passava per gli scompartimenti a raccogliere adesioni all’azione legale da un nuovo capotreno, che ha preteso più volte l’esibizione dei documenti di viaggio del tipo, con aria minacciosa, mentre omini in arancione, con la scritta “protezione aziendale” (mah) continuavano a passare bottigliette d’acqua e biscottini farciti al cioccolato. Alla fine, un mio vicino di posto, parlando al telefono comunicava gli esiti della vicenda dicendo: “adesso ci portano a Roma gratis con un altro treno”.
Quando si dice l’indistruttibile bisogno del Calabrese di guardare il bicchiere mezzo pieno. Grazie Moretti, grazie Trenitalia, grazie Italia per la meravigliosa esperienza che hai voluto regalare ad una bambina di 5 anni e ad altri 350 suoi compagni di viaggio.
Maurizio Malaspina
(foto di repertorio)