Catanzaro. Alcuni giorni fa, una caduta mi ha costretto a ricorrere alle cure di un noto nosocomio cittadino. Mentre l’ambulanza mi trasportava in ospedale, ancora non immaginavo che sarebbe iniziato un viaggio in un mondo che fino ai miei 45 anni, avevo avuto la fortuna di non conoscere: la sanità catanzarese. Il personale del “118” con autentica professionalità gestiva la mia emergenza -una grave frattura alla gamba- sebbene richiamavo l’autista ad una guida coerente, ma la coerenza non riguardava la guida, ma la strada e le buche da golf che l’amministrazione comunale sta collaudando per l’istituzione di un futuro “green Catanzaro”, ma questa è un’altra storia. Effettuata l’accettazione al Pronto soccorso, spero in una rapida consulenza, anche a ragione del fatto che non ci sono molte persone e che la mia situazione è in effetti rilevante. Grande illusione. Il primo esame radiografico lo faccio dopo 1 ora e 10, bhè meglio non lamentarsi, forse agli altri in attesa è andata peggio. All’esito degli accertamenti, si rende necessario il ricovero per ripristinare la frattura a mezzo di intervento chirurgico. La mia stanza, la “degenza 1”, la divido con un compagno di sventure, le cui condizioni sono ben peggiori delle mie. É un giovane ragazzo, paziente del reparto di chirurgia, in appoggio in questo reparto di ortopedia; lo stesso evidenzia varie fratture, escoriazioni su tutto il corpo ed un ferita viva dovuta ad un’ablazione. Probabilmente una sua assenza, non mi avrebbe indotto a vedere e percepire le effettive condizioni di quella stanza. Si tratta di una piccola stanza stretta e lunga; la porta di entrata in legno leggero, è dotata di due vetri opachi tenuti fermi da nastro isolante per imballaggi. La necessaria areazione della camera richiede la finestra, anche almeno in parte, sempre aperta; questo causa , al momento di entrata dalla porta in corrispondenza, l’entrata di una “benefica” arietta per i pazienti. A questo punto gli operatori sanitari si trasformano in veri e propri piloti di barelle, eh si , perchè nell’angusto spazio in cui si ritrovano ad operare, sono costretti a fare acrobazie per portare a destinazione il paziente affidatogli: “sposta questo letto…tira… fermati…attento che cade….”. Sono salvo nel mio letto, almeno credo. Con gli occhi rivolti al soffitto, non posso non notare una chiazza di acqua all’angolo della camera, retaggio delle ultime piogge o di qualche tubo rotto; mi manca solo lo sgocciolamento notturno sulla testa. Ripreso coscienza dall’incidente e dall’impatto ospedaliero, mi accorgo che l’umido intravisto è il male minore. In effetti, alla disponibilità del personale infermieristico (della maggior parte di essi) contrastano le condizioni della struttura ospedaliera: il pavimento con le piastrelle 10×10 ha un colore indefinito; vorrei credere si tratti di usura dello stesso, ma mi contraddice la mamma del mio “paziente” compagno di stanza, adducendo che avendo fatto uso di alcuni detersivi e alcuni disinfettanti, aveva notato che le piastrelle cambiavano colore… “detersivi, disinfettanti… e perchè…”. La risposta me la darò nella stessa giornata, quando vedo una piccola formichina, di quelle minute e rosse, che vaga sul quel terreno. Poverina, sola cerca, è affamata? Penso proprio di sì. Trova una mollichina, la guarda, ci gira intorno, si ferma, si guarda indietro e “venite guagliò”. É proprio l’impressione che ho avuto, un fischio , un richiamo e di li a pochi minuti, centinaia di formiche formano una lunga colonna e saccheggiano ogni minima cosa trovata sul cammino; Avranno l’appalto per le pulizia dell’ospedale! Telefono a casa, mi faccio portare detersivo e disinfettante. La sera mia moglie mi dice di evitare comportamenti che possano arrecare danno al mio vicino, considerato che la sua condizione richiede una condizione di asetticità e pulizia; non posso fare a meno di guardare la parete di fronte a me, con la pittura plastificata completamente staccata dal muro e con residui penzolanti… e non posso non ricordare come la mattina, la signora delle pulizie, con solerzia, abbia passato la scopa proprio su quella parete, alzando un polverone…forse è polvere asettica. É venerdì, sono sempre in attesa del mio intervento, ci vorrà ancora qualche giorno, ma non mi va di entrare nei misteriosi sistemi di gestione operazioni, mentre mi diletto ad ascoltare le voci che provengono da questa stanza: l’eminente professore, visita il mio compagno, soddisfatto dell’evolversi delle condizioni della ferita… Forse sono io troppo permaloso, forse la mancanza di igiene, le condizioni che favorisco le infezioni, l’umidità, il vento la polvere, le mura screpolate, non sono dannose ma rientrano nella normale terapia di questa struttura, visto che per chi vi lavora…”tutto è normale”!!!
Buon soggiorno ai prossimi pazienti
Lettera firmata