Reggio Calabria. Si avverte la sensazione che ogni risorsa sia stata esplorata, ogni sentiero battuto, allorquando universi concettuali paralleli e perciò incomunicabili attingono a strumentari-glossari affini per recuperare vitalità ed interesse agli occhi dell’opinione pubblica.
Non dissimile, mi sembra, è il regresso assiologico-concettuale che ha investito la Politica del Paese e quella cittadina nel momento in cui, deflettendo dalla sua propria nobile origine, essa si appropria di categorie linguistiche alle quali, in un passato non distante, erano aduse soltanto le tifoserie di formazioni calcistiche rivali.
Ma tale glossario, così mutuato da altre illustri scienze sociali, lungi dall’essere un mero espediente formale assurge a formula vitale e timbro effettivo della sostanza dei rapporti tra le diverse opzioni politiche e la sua eredità è foriera di conseguenze esiziali per le comunità dilaniate da un tale livello di contrasto.
Questo e non altro è il contesto nel quale una parte della nomenclatura politica della nostra Città alligna e trae sostegno, forse perché è il terreno ad essa più familiare o forse perché, quando ci si affranca dalla realtà con contegni vagamente iconoclasti, prospettare una visione manichea della propria dimensione spazio-temporale diviene il leitmotiv della propria attività politica, l’ultima guarnigione a difesa di chi ha oggi l’onere e l’onore di guidare le sorti della nostra comunità.
Io credo che alimentare tale visione esasperatamente duale e manichea del confronto e della dialettica politica non sia solo il sintomo esteriore della vacuità delle proprie risorse numerico-intellettuali. Tale Weltanschauung, invece, è il retaggio di una vetusta supposta superiorità culturale che, come tale, non possiede alcuna vocazione al confronto dialettico ed anzi predilige disorientare l’opinione pubblica prospettando ai cives infedeli, rei di avere privilegiato altri al loro classismo culturale-valoriale, imprecisati castighi divini.
Ma se tale castigo si sostanziasse nella decisione di procedere allo scioglimento del Consiglio comunale? Rimarrebbe castigo o forse, per taluni, sarebbe la panacea di tutti i mali, il vallo di Adriano oltre il quale le speranze di rinascita della città, di una nuova “Primavera di Reggio” , riprenderebbero immediatamente corpo?
Non credo che tale opzione possa assurgere ad evento palingenetico della storia di Reggio. La Storia non la farà né il Consiglio dei Ministri né la classe politico-dirigente che se ne arrogherà il merito perché il frutto avvelenato della discordia e del disordine non cadrà distante dal fusto dell’albero che lo ha generato.
Vero è che appare davvero remota, ahimè, quella fase in cui, deposte le perfidie verbali e il diuturno ricorso ad una visione apocalittica del nostro destino, la Città, i suoi intellettuali e la comunità intera si riapproprieranno della dignità di Polis. Se ci fu un tempo, ammesso che vi sia mai stato, in cui era la Politica a fungere da traino e motore della ripartenza socio-culturale della comunità, ebbene quel tempo non è il nostro tempo. Ed è perciò che la mia generazione avverte sempre più improcrastinabile l’esigenza, quasi fisica, di rimodulare una nuova classe dirigente che sovverta l’attuale tassonomia dell’agenda politica reggina e restituisca ai cittadini il senso di una progettualità più ampia, il senso di un’appartenenza che vorremmo i nostri figli vivessero in modo reale e non solo virtuale.
Francesco Nucera
Private banker