Reggio Calabria. Ero un bambino di nove anni, il cinque luglio 1970, fummo parcheggiati io e i miei fratelli più piccoli, dai nonni paterni. Capimmo subito che quello doveva essere un giorno importante. A tarda sera mio padre tornò a casa accompagnato da migliaia di persone, da quel momento Reggio fece parlare il mondo intero. Non è mia abitudine polemizzare né tanto meno parlare per il piacere di farlo, in una terra così afflitta, i fiumi di parole dovrebbero lasciare lo spazio ad atti concreti. Né mi appassiona il refrend tanto di moda: sarà sciolto, non sarà sciolto perché nell’uno o nell’altro caso a pagare sarebbe sempre la città di Reggio. Il rapporto alla città del 5 luglio del 1970 e la rivolta di Reggio sono consegnati alla storia d’Italia e la rilettura attenta di oggi e non frettolosa di quei tempi, assegnano un valore assoluto a questa importante pagina del nostro paese. Reggio allora subì un vero e proprio sopruso subendo la logica spartitoria dei potentati politici di Catanzaro e Cosenza, ed il sindaco di allora, Piero Battaglia, ebbe il coraggio di denunciarlo, in barba a tutte le scorciatoie ed alle offerte di ‘facili’ carriere politiche. Scelse di difendere e di non vendere la sua città. Quella sindacatura iniziata nel 1966 aveva ridato nuovo smalto e nuovo vigore alla città: la realizzazione di numerosi edifici scolastici, l’approvazione del 1° piano regolatore, lo spostamento dell’area industriale a sud, i primi vagiti di una idea di conurbazione, con l’unione di due città periferiche nelle rispettive regioni divise da tre chilometri di mare, con un potenziale di 500.000 abitanti. Si era disegnato un nuovo ruolo della città. Ecco perché Reggio rispose al rapporto alla città del 5 luglio 1970. Ecco perché la Reggio di oggi, mortificata ed offesa, non risponde.
Domenico Battaglia
Consigliere provinciale PD