Reggio Calabria. Alberto Cisterna chiede la revoca dell’archiviazione e chiede il rinvio a giudizio. Correva l’anno 2011 e sulla Procura di Reggio Calabria piovevano meteoriti. E’ il 23 maggio quando il procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, Alberto Cisterna, viene iscritto nel registro degli indagati. L’accusa è di corruzione in atti giudiziari ed è conseguente alle dichiarazioni rese dal pentito Nino Lo Giudice – il “nano” per gli amici e gli inquirenti – nel corso degli interrogatori; il quale riferisce che il fratello Luciano “gli avrebbe fatto intendere” che Cisterna avrebbe favorito la scarcerazione di Maurizio Lo Giudice dopo aver incassato da Luciano Lo Giudice una cospicua somma di denaro. Giuseppe Pignatone, allora procuratore capo a Reggio Calabria, conferma le indagini a carico di Cisterna e la Procura si mette al lavoro. Fino ad oggi.
L’accusa di corruzione nei confronti di Alberto Cisterna viene archiviata, ma il magistrato non ci sta. “Dopo due anni del riserbo scrupolosamente osservato, ho deciso di convocare una conferenza stampa per informare tutti i giornalisti delle iniziative che ho deciso di assumere”: così recita il breve ma incisivo comunicato stampa inviato alle redazioni giornalistiche. L’appuntamento, dunque, era per oggi pomeriggio, presso la sede di Confidustria di Reggio Calabria.
“Non è stato facile decidere di fare questa conferenza stampa, non è una mia abitudine – esordisce il magistrato e rivolgendosi direttamente ai giornalisti presenti in sala – quanti di voi mi conoscono sanno quanto io apprezzi il vostro lavoro. Ho ritenuto necessario l’appuntamento di oggi perché le indagini a mio carico hanno suscitato molto clamore. Ho chiesto formalmente per ben due volte di poter prendere visione delle carte del processo che al momento giacciono ancora sotto la polvere degli uffici della Procura. Considero inaccettabile questo provvedimento. L’indagine a mio carico – racconta Cisterna – è di fatto iniziata nel gennaio 2011, senza alcuna formale iscrizione, con l’acquisizione dei tabulati del mio cellulare ed è proseguita frugando negli ultimi dieci anni della mia vita, con indagini patrimoniali sul mio unico conto corrente, sulla mia unica abitazione. Sono stati acquisiti e scrutinati ben cinque anni di tabulati telefonici, un’azione capillare ed incessante, dipanata in mezza Italia con l’applicazione straordinaria di un magistrato che benché trasferito da mesi alla Procura della Repubblica di Bologna viene mantenuto a Reggio per tre giorni alla settimana al fine di occuparsi in via esclusiva di questo caso. Non ho mai protestato, ho sempre pensato che più sarebbero andati a fondo maggiori sarebbero state le probabilità di chiudere questa vicenda al più presto. Per ragioni etiche non mi sono neppure opposto alle indagini sul mio patrimonio, ho solo chiesto di fare in fretta. Quando mi è stato detto che si sarebbe dovuto scandagliare il mio conto corrente per vedere come e dove erano stati investiti i miei soldi ho risposto che un’indagine per corruzione dovrebbe stabilire semmai chi mi ha dato soldi; ma così facendo mi hanno tenuto in sospeso altri sei mesi. Alla fine l’accusa ha chiesto l’archiviazione. Non ho mai avuto dubbi su questa conclusione, l’archiviazione era scontata e d’altronde il Csm ha impiegato poche ore a stabilire che della corruzione non c’era traccia. Altri hanno avuto bisogno di due anni. Quando dico che il decreto di archiviazione è inaccettabile – spiega Cisterna – sono consapevole che il processo penale non potrà mai giungere alla verità, ossia ricostruire i fatti come sono realmente andati; non capita in nessun processo e non ho questa pretesa. Ma la decisione del giudice deve costituire una mediazione accettabile tra la verità processuale e la verità sostanziale, tra le carte dei pubblici ministeri e quello che io ho fatto. Il provvedimento in questione è inaccettabile per come sono stati ricostruiti i fatti e come ritengo fosse necessario accertarli”.
Il magistrato inizia a snocciolare alcune delle anomalie che hanno costellato gli ultimi due anni: “Anzitutto le accuse di Nino Lo Giudice. Pochi giorni dopo aver abbandonato un relitto di bazooka nei pressi del Cedir, Lo Giudice decide di affidarsi ai giudici reggini e le prime dichiarazioni rese a mio avviso sono di elementare chiarezza: esclude che io abbia una qualunque relazione illecita con la sua famiglia. Dopo settimane di silenzio nel novembre 2011 Lo Giudice si risveglia dal silenzio e rende delle dichiarazioni facendo riferimento ad una barca a Milazzo, di alcune cifre di denaro che io avrei percepito e di altre storie che in due anni non sono mai state provate. Viene stilato il verbale illustrativo, dopo 180 giorni il gip di Catanzaro emette un provvedimento con il quale si accusa Lo Giudice di esser reticente e mendace circa i rapporti con soggetti istituzionali. Lo Giudice vede in discussione la sua posizione di collaboratore di giustizia. Il 28 di aprile invia un memoriale al Tribunale della Libertà di Catanzaro per parare il colpo e in quel verbale dichiara di dover raccontare dei fatti decisivi: quelli che riguarderebbero il mio presunto interesse alla scarcerazione del fratello Maurizio, già collaboratore di giustizia, e che lui avrebbe adoperato pressioni di vario genere per arrivare alla cattura di Pasquale Condello. Qui entriamo nel merito della decisione al quale non voglio sottrarmi. Infatti, nel corso dell’interrogatorio avvenuto 13 giorni, Nino dichiara che il fratello Luciano “gli avrebbe fatto intendere” di avermi pagato una grossa somma di denaro. Ritengo che in un Paese civile sia inammissibile che sulla base di una dichiarazione di un soggetto che dichiari di “aver inteso” si iscriva un procedimento penale. La mia iscrizione al registro degli indagati avviene il 23 maggio 2011 e l’11 giugno mi viene recapitato l’invito a rendere l’interrogatorio”.
Cisterna spiega al pubblico presente di aver commesso un errore di valutazione: “Devo confessarvi che ho riso quando ho letto dell’accusa di corruzione. Non mi sono curato minimamente di quell’interrogatorio, ho sottovalutato la cosa, ritenendo che si sarebbe risolta nell’arco di poco tempo. Non ho cercato un avvocato, ho saputo che l’interrogatorio si sarebbe svolto nel mio ufficio in via Giulia, ma ho anche notato che non era stato designato alcun difensore d’ufficio. Era il 16 giugno quando ho provveduto ad avvisare che avrei avuto un difensore di fiducia. Da lui scopro che la mia vicenda era già apparsa nelle rassegne stampa nazionali e sul Corriere della Sera dove sono stati riportati i passi dei verbali di Lo Giudice: ero accusato di corruzione. Nell’arco dell’interrogatorio ci sono stati anche duri scontri, si sono iniziati a chiarire alcuni aspetti riguardanti tabulati telefonici di ben sette anni prima, mi è stato chiesto di rendere conto di conversazioni di pochi secondi. Concluso l’interrogatorio è iniziato il procedimento che è proseguito a vario titolo e in varie sedi, dalla disciplinare al penale. Reputo quella del 17 giugno un’imboscata”. Nessun rancore nei confronti dell’allora procuratore di Reggio Giuseppe Pignatone: “Non credo che lui c’entri niente, non ne aveva alcun motivo, ho percepito da parte sua un profondo imbarazzo. Io non pretendevo trattamenti di favore, pretendevo che ci fosse la riservatezza che il caso e la situazione imponevano”.
Cisterna torna indietro negli anni per cercare di far chiarezza sui punti rimasti in ombra della lunga vicenda di cui è stato protagonista. Si parte dal 2002, ossia da quando – commenta sarcasticamente il magistrato – “ho fatto l’errore della mia vita acquistando un piccolo gommone. Mi sono chiaramente posto il problema della manutenzione e per questo mi rivolgo alle persone che conoscevo delle forze dell’ordine; sono stato indirizzato al cantiere di Antonino Spanò. Lì un giorno mi è stato presentato Luciano Lo Giudice il quale mi ha confessato con grande onestà le sue origine, aggiungendo di essere fratello del collaboratore di giustizia Maurizio e di essere l’unico della famiglia per conto della madre ad aiutarlo. Tempo dopo vengo a sapere da un collega che Luciano Lo Giudice si è messo a disposizione per la cattura di Pasquale Condello ma che non si fida di nessuno e che teme per la sua vita. Ho proposto un atto formale, rifiutato da Lo Giudice stesso. Negli uffici della Procura Nazionale Antimafia incontro l’ex capo del Ros dei Carabinieri Reggio Calabria il quale mi dice di non esser più nell’Arma ma di essere il capo della sezione criminalità organizzata del Sismi. Colgo l’occasione e gli propongo di fargli conoscere Lo Giudice per la cattura di Condello. Mi sono ritrovato in mezzo a questa storia perché la persona che avrebbe dovuto presentare i due all’ultimo momento si è tirata indietro per paura. Quindi li ho presentati io e i loro incontri sono sempre stati messi a verbale. Siamo nel 2004”.
A questo punto della storia emerge un primo dato poco chiaro: “Nel corso di una perquisizione in casa di Luciano verrà trovata un’agenda con una serie di numeri: tra questi il mio e quello di un tale avvocato di Roma. Il 7 aprile 2011, 17 mesi dopo, la Squadra Mobile redige un’informativa nella quale è scritto che non si è ancora riusciti a identificare l’usuario di quell’utenza, ben sapendo che è intestata al Ministero degli Interni. Perché dopo 17 mesi non si dica che esiste un avvocato di Roma che ha un’utenza intestata ai Servizi non lo so, in compenso so che sette giorni la Procura di Catanzaro esegue l’ordinanza di custodia cautelare per gli attentati di Reggio e che in quell’ordinanza si dice che l’avvocato di Roma sono io, nonostante 17 mesi prima il Colonello avesse dichiarato di essere lui l’avvocato di Roma e che non aveva mai fornito il proprio cognome a Luciano Lo Giudice”.
Ma cosa voleva Luciano Lo Giudice? Cisterna sintetizza tre punti: “ Il contatto tra il Sismi e Lo Giudice è partito e per lui è persona che collabora con le istituzioni. La prima occasione d’incontro fu la malattia del figlio: un giorno mi disse di aver scoperto che suo figlio era malato di una grave forma di autismo; capita che un conoscente mi racconti di un collega che ha avuto lo stesso problema con il proprio figlio, pertanto prendo i recapiti del centro che mi è stato indicato e li faccio avere a Luciano Lo Giudice. La seconda occasione fu la malattia del fratello Maurizio: già anoressico, ha avuto una grave ricaduta nel momento in cui è tornato in carcere per scontare un residuo pena. Secondo la scheda clinica pesava circa 49 kg. Ho detto a Luciano Lo Giudice che il problema riguardava le istituzioni perché se fosse morto in carcere un collaboratore di giustizia sarebbe stato uno scandalo. Lo feci presente al collega che si occupava della faccenda che confermò ogni cosa dicendomi che erano già in corso tutte le iniziative per salvarlo. Qui si sarebbe innestata la vicenda corruttiva: questo tipo di atteggiamento sarebbe stato compensato da Luciano Lo Giudice, ma io ancora non ho capito in ragione di quale comportamento, come e quanti soldi. Infine il controllo su strada 2005: Luciano Lo Giudice venne fermato per un controllo e mi chiamò al cellulare. Il numero non gliel’ho dato io, non avevo il suo numero, ho controllato e dalla mia utenza non è mai partita una chiamata al suo numero. Mi ha chiamato per dirmi che stava avendo una discussione con i carabinieri pregandomi di dire loro che lui era “un uomo delle istituzioni”. Lì ho capito che lo avrebbero fatto fuori nel breve termine perché era chiaro che non aveva capito quale meccanismo avesse messo in moto con la sua attività. Ho sentito il tenente per avvisarlo del fatto che si stava svolgendo una discussione per strada, spiegandogli la situazione e raccomandandogli di fare quello che era loro dovere fare, solo con discrezione. Il tenente, all’interrogatorio dirà che gli feci capire che si trattava di una persona con la quale io avevo un tipo di rapporto confidenziale. Disse che espressamente io non gli chiesi niente, ma che lui comprese implicitamente la mia intenzione. Un altro che ha intuito! Secondo il codice di Procedura Penale questa frase non sarebbe neanche dovuta essere messa a verbale perché basata su un’intuizione”.
“Il 25 ottobre 2007 – prosegue Cisterna – ricevo una sua telefonata nel corso di una riunione. Gli rispondo, mi cercava per una questione personale. Mi sono indignato a tal punto che mi cercasse per una sua questione personale che non gli ho mai più risposto. Questa conversazione finisce agli atti del mio processo e nell’informativa del 25 luglio che finirà in Quirinale. Ma il 25 luglio vengono scritte due informative; la seconda riguarda una conversazione tra Spanò e Lo Giudice. Lo Giudice lamenta il fatto che io non gli stessi rispondendo più al telefono, Spanò gli risponde “meno male che non abbiamo bisogno di lui” lasciando intendere che nel caso di bisogno io non ci sarei stato. Quest’ultima conversazione non sarà inserita agli atti del processo ed io chiedo di sapere perché”.
Ci avviamo alla conclusione. Anno 2009: “Mi arriva una lettera in ufficio. Lo Giudice mi scrive di essere stato arrestato, che è innocente, che io sapevo bene perché era stato arrestato, che è una persona perbene. Conclude dicendo di non aver mai tradito la mia fiducia. La metto agli atti della Procura Nazionale Antimafia. Mi informo e scopro che è stato arrestato per usura senza l’aggravante mafiosa: il gip e le forze di polizia di Reggio non riescono a dimostrare quello che non si poteva dimostrare, ossia che non esiste una cosca mafiosa dei Lo Giudice dopo la guerra di mafia. Qualche giorno dopo mi chiama la moglie di Lo Giudice dicendomi di dovermi parlare con urgenza. La invito a Roma, pensando che Luciano avesse problemi in carcere in quanto fratello del collaboratore di giustizia; si trattava invece di una banale richiesta di aiuto. Lo Giudice viene trasferito al carcere di Tolmezzo, da dove mi manderà un telegramma che concludeva con un “vi abbraccio” che una grande testata nazionale trasformerà in “ti abbraccio” lasciando intendere un rapporto di confidenza che non esisteva. Ero convinto che volesse collaborare e per questo scrissi al procuratore dicendo che urgeva un colloquio investigativo. Non ricevo alcuna risposta. Mi arriva una lettera il 7 maggio e vado direttamente a parlare nell’ufficio del procuratore il quale mi risponderà che ha giá parlato cin Reggio Calabria dove dicono che Lo Giudice non avrebbe mai collaborato. Mi verrà detto tempo dopo che la questione della collaborazione per me è stata una giustificazione. Il 22 maggio viene intercettata una conversazione tra Luciano e la moglie in cui lui dice di mandare a dire all’avvocato di Roma che vuole collaborare. L’8 giugno Lo Giudice arriva a Reggio ma ad attenderlo non trova me, bensì altri magistrati. Sbatte la porta in faccia e se ne va. Consegno al Procuratore la lettera che mi era arrivata e poco tempo dopo il Csm dirà che la lettera doveva essere protocollata. Spiego che la lettera l’ho consegnata io al procuratore e che non tutte le missive vengono protocollate. Mi verrà contestato, inoltre, che la breve durata dei contatti telefoni avuti con Lo Giudice testimoniano il fatto che in seguito ci saremmo incontrati di persona. Ho fatto presente che io mi trovo a Roma e che non capivo chi avrei dovuto incontrare, dove e in quale occasione”.
Alberto Cisterna oggi appare non solo convinto delle proprie ragioni, ma soprattutto pronto a combattere per far valere le stesse e per far sì che emerga quanto più chiaramente la verità. Per questo motivo, spiegherà in conclusione, ha chiesto formalmente la riapertura del processo: “Non ho mai favorito Lo Giudice, ho cercato di salvargli la pelle quando pensavo che fosse in pericolo di vita. Ho chiesto le carte del procedimento di archiviazione che non ho ottenuto, reputo che si tratti di un processo in contumacia e credo che sia necessario reagire a questa attività che ritengo illegittima sotto diversi aspetti. L’unico strumento che ho in mano, da cittadino, è quello di chiedere la riapertura delle indagini e di chiedere il rinvio a giudizio. So già che pagherò questa scelta cara e amara ma è l’unico mezzo che mi resta per restituire dignità alla mia toga intonsa di giudice della Repubblica italiana”.
Giulia Polito