Brancaleone (Reggio Calabria). I vitigni della Locride sotto la lente d’ingrandimento della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano. Infatti, recentemente, la dottoressa Barbara Biagini del Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali della suddetta facoltà universitaria, collaboratrice del prof. Attilio Scienza, noto docente di viticoltura, si è recata nella Locride per effettuare il recupero di legno da esemplari di vite selvatica. In questo lavoro di ricerca, la Biagini, si è avvalsa della fattiva collaborazione del prof. Orlando Sculli, professore di Liceo in pensione, residente a Brancaleone, profondo conoscitore della Locride, il quale, già da tempo, lotta contro l’abbandono e l’estinzione dei vitigni tipici del territorio. Sculli, tra l’altro, è autore di un interessante volume in materia dal titolo “I vitigni autoctoni della Locride” che ha riscosso ampi consensi da parte della critica specializzata. Inoltre, Sculli, è autore di un altro interessante lavoro “I Palmenti di Ferruzzano”, un volume che tratta dell’archeologia del vino. La dottoressa Biagini, nel corso di un incontro, ha esposto quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a venire nella Locride per occuparsi del recupero di viti selvatiche. Ha detto a proposito:”La vite selvatica ha da sempre suscitato l’interesse degli studiosi di viticoltura, in quanto rappresenta il punto di partenza del processo di domesticazione che, nel corso dei millenni, a partire dalla varietà spontanea ha portato all’origine di vitigni domestici giunti fino ai nostri giorni. Tale processo è consistito nel passaggio da una agricoltura primitiva, basata sulla semplice cura di piante e raccolta di frutti presenti in natura, ad una vera e propria coltivazione nei pressi dei nuclei abitati con selezione tra le varietà spontanee di quelle dalle caratteristiche più favorevoli allo sfruttamento umano, che, nel caso specifico della vite, sono state una maggiore produttività legata al numero e alla dimensione dei grappoli, ad una maggiore dimensione degli acini, ad un maggior contenuto zuccherino ed ad una minore acidità. Il passaggio è avvenuto gradualmente con una fase intermedia in cui entrambe le varietà, selvatica e domestica, erano di interesse umano come testimoniano i reperti archeologici. Data la complessità del fenomeno lo studio del processo di domesticazione ha richiesto, e richiede tuttora, competenze multidisciplinari, in primis archeologica, botanica e viticoltura. Il processo è stato lungo ed articolato e, benchè molti elementi siano emersi dagli studi degli ultimi decenni, ancora molto c’è da fare per comprendere a fondo l’origine e l’evoluzione di ogni vitigno”.La ricercatrice, dopo aver raccontato la storia della vite selvatica avvenuta nel corso dei secoli, si è soffermata sul lavoro svolto per scoprire nel territorio italiano le varietà di vite selvatica. “Il censimento – ha affermato la Biagini – ha interessato solo nove regioni(Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna,Toscana,Marche, Lazio, Basilicata, Calabria e Sicilia). In tutto il territorio visitato la concentrazione maggiore delle piante è stata riscontrata nel sud della Toscana, nel nord el Lazio, in Basilicata e in Calabria. Nelle province di Reggio Calabria e Catanzaro la presenza risulta limitata solo ad aree ristrette, come ad esempio, per la provincia di Reggio Calabria, il Bosco di Rudina nel territorio di Ferruzzano, già segnalato per il suo alto valore naturalistico. Questo sito risulta particolarmente interessante, a causa della concentrazione di antichi palmenti, come ampiamente documentato dal prof. Orlando Scvulli nel suo libro, testimonianze, insieme ad altre forme di documentazione, di una intensa pratica vitivinicola nella zona in tempi passati. Data la contemporanea presenza della vite selvatica sorge l’interrogativo se si praticasse la vinificazione anche dell’uva spontanea. Il Bosco di Rudina – conclude – rappresenta anche un caso lampante di erosione genetica della vite selvatica: la testimonianza del prof. Sculli attesta della presenza di centinaia di esemplari selvatici fino ad un cinquantennio fa; oggi ne rimangono solo una ventina”.
Agostino Belcastro