Brancaleone (Reggio Calabria). Circa due anni fa il busto bronzeo dello scrittore piemontese Cesare Pavese, situato sull’omonima piazza del Lungomare di Brancaleone, è stato sradicato dalla sua base, per opera di ignoti,e appeso sull’albero maestro di un’imbarcazione ormeggiata a poche decine di metri. E’ stato un atto vandalico, condannato da tutta la popolazione, perché con quel gesto si è inteso oltraggiare l’uomo, lo scrittore ed il poeta confinato a Brancaleone per motivi politici dal 4 agosto 1935 al 9 marzo 1936. Purtroppo, nonostante sia passato tutto questo tempo, il busto è conservato in un angolo della sede municipale della cittadina jonica reggina senza che nessuno degli amministratori comunali si preoccupa di volerlo risistemare dove l’ex Sindaco Italo Saladino, durante la sua gestione, lo aveva fatto installare al fine di perpetuare nel tempo la memoria dell’illustre scrittore delle langhe piemontesi. Eppure basta poco per riportare allo stato “quo ante” la situazione. A conferma che lo scrittore piemontese è rimasto nei ricordi della gente vi è la prova che oltre al busto, all’intitolazione della piazza e della locale Biblioteca Comunale, negli anni passati sono stati organizzati convegni nazionali di studio e “Giornate Pavesiane” per rendere omaggio ad uno degli scrittori più letti del nostro novecento letterario dalla complessa personalità che, suicidandosi in una camera d’albergo di Torino, forse, si è portato nel cuore un pezzo del mare di Brancaleone, quel mare che lui considerava la “quarta parete della sua vita”. Non a caso, recentemente, il confino di Cesare Pavese a Brancaleone è stato al centro di un interessante convegno svoltosi a Ticineto Po(Alessandria) al fine di analizzare la sua esperienza di rinchiuso nel suo “carcere psicologico” come ebbe a dire Giuse Vipiana Albani, profonda conoscitrice delle opere pavesiane. Infatti, il confino calabro ha ispirato la vena poetica dello scrittore nel concepire il romanzo “Il carcere” preceduto dal racconto “Terra d’esilio” ed alcune significative poesie come la splendida “Stiddazzu”. Stante ai pareri di illustri studiosi delle opere pavesiane, “Il Carcere” dimostra sul piano stilistico e contenutistico, lo sforzo maggiore compiuto da Pavese e cioè quello di collegare il tempo in cui il racconto è stato scritto con quello del confino scontato. L’opera non è quindi il “diario reale” del suo confino politico, bensì la “cronistoria tutta affidata alla memoria” da un intellettuale che ha dovuto pagare di persona una colpa della quale non aveva compreso il perché. E’ doverso ricordare che nel corso degli anni numerosi sono stati i gemellaggi tra il Comune di Santo Stefano Belbo(Comune di nascita dello scrittore) ed il Comune di Brancaleone al fine di non rompere quel legame che la storia della letteratura ha consegnato alle due entità territoriali. Infine, c’è da segnalare che Gianni Carteri, scrittore e saggista, figlio naturale di Brancaleone, ha vinto il “Premio Letterario Cesare Pavese” svoltosi a Santo Stefano Belbo per il suo costante impegno sulla valorizzazione delle opere pavesiane. Fra tutti “Al confino del mito(Cesare Pavese e la Calabria”, “un lavoro che mette al riparo le reliquie di un capitolo biografico che prima si presentava, in un certo senso, lacunoso e incerto. Molto significativo anche il capitolo “I luoghi della memoria”, ricco di descrizioni e di documentazione fotografica di Brancaleone all’epoca della presenza di Pavese e “Fiori d’agave: atmosfere e miti del sud nell’opera di Cesare Pavese. In questo studio,Carteri, fa dell’esperienza del confino a Brancaleone, un nodo centrale dell’esperienza umana ed espressiva di Pavese che proprio a contatto con la Magna Grecia e con lo Jonio di Ulisse intuì la possibilità di uscire dal “descrittivismo” e di passare dai versi alla prosa”. Ecco perché è necessario ripristinare un simbolo che rappresenta uno spaccato di storia della vita di Brancaleone anche in funzione dei numerosi turisti che desiderano avere dei riferimenti sul confino di Cesare Pavese.
Agostino Belcastro