Reggio Calabria. Importante principio di diritto sancito dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, chiamata a pronunciarsi sul reclamo formulato dalla sig.ra C.L., difesa dall’avv. Domenico Neto. Accadeva che parte ricorrente fosse coinvolta nell’ambito di un procedimento penale per rispondere del reato di associazione a delinquere finalizzato alla perpetrazione di rapine aggravate in danno di persone anziane. Nelle more del processo, il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, accogliendo i rilievi formulati dal Procuratore della Repubblica di RC e dall’Avv. Francesca Panuccio Dattola, nominato curatore speciale nell’interesse dei figli minorenni della C.L., adottava (inaudita altera parte) un provvedimento drastico a discapito della reclamante, statuendone la subitanea decadenza dalla potestà genitoriale nei confronti della prole ed allontanamento immediato dei figli dall’abitazione, con il loro contestuale affidamento ad una casa-famiglia. Proponeva tempestivo reclamo l’avv. Neto, sottolineando come il decreto di prime cure rappresentasse unicamente il frutto di una visione distorta e fallace delle risultanze processuali in atti. In particolare, il difensore di C.L. rimarcava l’assenza di elementi indiziari idonei a confermare l’indefettibilità di un provvedimento di revoca della potestà genitoriale, proprio perché non esistevano riscontri su una condotta inopportuna o nociva della madre nei confronti dei suoi bambini. L’avv. Neto, ancora, rimarcava l’ingiustizia commessa nei confronti della sua assistita, che non poteva essere privata della funzione genitoriale solo per (eventuali) colpe penalmente rilevanti e che non rivestivano alcun collegamento con la sua figura di genitore. La Corte di Appello di Reggio Calabria (Presidente: dr.ssa Costabile, dr.ssa Bandiera e dr. Cappuccio giudici a latere, dr. Gambardella ed Antonuccio componenti privati), all’esito della riserva assunta all’udienza 29/01/13, con decreto depositato il 27/03/13, accoglieva il reclamo proposto dall’avv. Domenico Neto, statuendo come il “coinvolgimento della L. in condotte criminose” non potesse “costituire l’unico presupposto sul quale fondare la perdita della potestà” e che la “condotta violenta attribuita alla L. che il Tribunale ricavava dal procedimento penale pendente, non si fosse mai tradotta in condotta violenta nei confronti dei figli minori; come correttamente evidenziato dal difensore della reclamante, sebbene le intercettazioni si fossero protratte per un periodo di tempo apprezzabile e avessero riguardato l’abitazione occupata dalla L. unitamente ai figli, non era mai stata captata una conversazione dalla quale potesse essere desunto un atteggiamento violento ed aggressivo nei confronti dei figli minori”. I giudici di appello, pertanto, ritenendo la disposta decadenza “più come una misura sanzionatoria dell’atteggiamento serbato dalla L. nel porre in essere condotte penalmente rilevanti che come intervento posto a salvaguardia dell’interesse dei minorenni” revocavano in toto il decreto emesso dal Tribunale riabilitando pienamente C.L. (alla quale era stato, nel frattempo, inibito qualunque contatto con i propri figli) alla sua funzione genitoriale nei confronti dei figli minori.