Paternò. Estorsione, quattro arresti dei Carabinieri: in manette presunti appartenenti a clan mafiosi

Paternò (Catania). Nelle prime ore del mattino, i Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, coadiuvati da quelli di Alessandria e dal 12° Nucleo Elicotteri di Catania, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale etneo su richiesta della locale Procura Distrettuale, nei confronti di 4 persone:

ELENCO RIMOSSO PER OBLIO 

Gli arrestati sono indagati – a vario titolo – dei reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, rapine e spaccio di sostanze stupefacenti.

L’attività investigativa, rende noto un comunicato stampa diffuso dal Comando provinciale di Catania che qui riportiamo integralmente unitamente alle fotografie allegate, condotta dalla Compagnia Carabinieri di Paternò, diretta dal capitano Lorenzo Provenzano, ha mosso i primi passi nel mese di ottobre 2008 allorquando un imprenditore paternese si è ribellato al pizzo ed è stato fatto oggetto di un grave atto intimidatorio, con l’incendio di un mezzo della propria attività e successive pesanti minacce per costringerlo a piegarsi alla morsa estorsiva. L’imprenditore, mosso da senso civico, si è rivolto ai Carabinieri di Paternò denunciando il suo aguzzino.
L’indagine ha permesso, in seguito, di accertare la presunta appartenenza di due degli arrestati all’associazione criminale denominata clan Assinnata, operante sul territorio di Paternò, e degli altri due al clan Mazzei operante sul territorio di Catania. Inoltre, l’indagine ha consentito di ricondurre agli odierni indagati, in maniera certa e documentata, una serie di episodi di estorsione, spaccio di sostanze stupefacenti, rapine, commessi avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà tipiche delle associazioni mafiose ed al fine di agevolare il clan mafioso di appartenenza.
Attesa la gravità dei reati nonché le modalità spietate con le quali gli stessi venivano perpetrati, e ritenuta rilevante la caratura dei responsabili nella compagine criminale locale, i Carabinieri hanno iniziato delle attività investigative basate su intercettazioni telefoniche, osservazione, pedinamenti ed intercettazioni ambientali, che hanno dato immediatamente gli esiti sperati. Infatti, si è avuto modo di registrare che sul territorio paternese, essendo i capi del clan Assinnata detenuti, il “pizzo” doveva essere pagato da chiunque fosse titolare di attività commerciale o lavorasse a Paternò a tale OMISSIS il quale, sempre secondo l’accusa, investito della mansione di riscossore, si sarebbe reso protagonista, unitamente a OMISSIS, di diversi episodi di richieste estorsive ai danni di aziende commerciali e ditte edili.
L’estensione delle operazioni ha permesso di individuare gli altri due, legati da collaborazione lavorativa con i primi due, OMISSIS e OMISSIS, ancora secondo l’accusa entrambi vicini al clan Mazzei di Catania, il primo dei quali orbitante anche a Paternò atteso che è cresciuto in quelle zone.
Le investigazioni hanno cristallizzato le attività criminali che sarebbero state svolte da OMISSIS e OMISSIS: spaccio di sostanza stupefacenti, con pusher/acquirenti distribuiti nella fascia etnea della provincia di Catania; usura, con la concessione di prestiti a favore di privati o titolari di attività commerciali, sui quali gravavano interessi usurai del 15% mensile, da un prestito di € 10.000 da restituire in due mesi, pretendevano la somma di € 750,00 mensile. OMISSIS e OMISSIS, dalla vendita dello stupefacente, avrebbero tratto un profitto (“capital gain”, chiamato anche guadagno in conto capitale o utile di capitale) che avrebbero reinvestito nell’usura o nell’acquisto di altro stupefacente. In caso di mancati o ritardati pagamenti, alle minacce seguivano ben presto i fatti, le estorsioni, come il sequestro dei veicoli di proprietà delle vittime, le quali, per riavere indietro il mezzo erano costrette a pagare l’intero debito, subito e in unica soluzione, per non vedersi alienare il bene, anche sotto forma di semplice metallo.
L’assoggettamento delle vittime era tale che le stesse, spinte a entrare nella morsa degli “strozzini” per difficoltà economiche delle attività che gestiscono e/o per bisogni personali della famiglia, non denunciavano il fatto per paura di ritorsioni, preferendo diventare reticenti.

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