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“Sinistra ecologia e libertà, o dell’ipocrisia”. La storia del partito raccontata da Nino Mallamaci

by gip
29 Ottobre 2013
in Città
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Reggio Calabria. Di seguito il racconto e l’analisi di Nino Mallamaci, ex componente di Sel Reggio Calabria, circa la storia e gli eventi che hanno interessato il partito nella sua storia recente:

Premessa
Nelle parole di Padre Alex Zanotelli, la politica italiana si riassume in un solo concetto: ipocrisia. Egli, per avvalorare tale assunto, cita alcuni casi emblematici: quando certa politica si strugge per tragedie annunciate come quella di Lampedusa, avendo votato in precedenza leggi che, se non hanno direttamente causato tali avvenimenti, certamente non li hanno ostacolati; quando Calderoli, dopo aver apostrofato la Ministra Kyenge con frasi razziste, continua come nulla fosse a svolgere il ruolo di vice presidente del Senato e dal suo pulpito bacchetta questo o quel senatore per comportamenti i quali, di fronte ai suoi, sarebbero da encomio solenne. Leggendo le affermazioni di Padre Zanotelli, non ho potuto frenare la mia mente che con immediatezza è andata ad abbinare ai precedenti un altro esempio mastodontico e clamoroso di ipocrisia in politica: Sinistra ecologia e libertà. Se c’è un partito che vuole apparire per quello che non è, per via della dialettica ricercata e affabulatoria del suo presidente, piena di riferimenti alla partecipazione, alla democrazia, ad un modo nuovo e diverso di fare politica, ebbene, questo partito è Sinistra ecologia e libertà. Tra l’altro, molti militanti di questo partito hanno mutuato dal leader espressioni concetti e un modello di “cogitazione”, con risultati che sarebbero soltanto ridicoli se non nascondessero, appunto, una enorme dose di ipocrisia e di doppiezza. Veniamo al dunque. A distanza di tempo dalle dimissioni della coordinatrice provinciale, Laura Cirella, e della maggioranza dei componenti dello stesso coordinamento, è giunto il momento, ora che le ferite prodotte dal comportamento prevaricatore del partito nazionale su ognuno di noi tendono a cicatrizzarsi, ma non a sparire del tutto per le ragioni che esporrò in seguito, di compiere un’analisi di quanto accaduto in questi ultimi due anni.

Prima del commissariamento
Nel 2011, a pochi mesi dalle elezioni amministrative per Comune e Provincia di Reggio, rassegnai le dimissioni da coordinatore cittadino; lo feci perché avevo compreso che le scelte di una parte del gruppo dirigente di allora, coordinatore provinciale in testa, non erano dettate dalla voglia di dare agli Enti governi in grado di operare nell’interesse della collettività, ma in alcuni casi da becere convenienze di carattere personale, in altri da ragioni legate a gelosie e beghe che nulla avevano di politico. In tantissimi, ingaggiammo una lotta strenua per evitare l’epilogo che conosciamo, e cioè consentire a persone misere di occupare posti nelle Istituzioni a scapito della coalizione di centrosinistra e della stessa Sel, alla quale l’elettorato di Reggio e provincia riservò consensi prossimi allo zero, e sulla quale si appuntò l’attenzione dei molti che rilevarono la tragi-comicità di scelte come quella di candidare, in un partito che già nel nome richiama l’attenzione verso l’ambiente, il presidente di un comitato favorevole alla centrale a carbone di Saline. Intervenimmo ad assemblee ed incontri di partito nel corso dei quali solo per senso di responsabilità da parte nostra non giungemmo alle vie di fatto; promuovemmo incontri e assemblee pubbliche partecipatissime; inondammo i principali esponenti del partito, Vendola in testa, di lettere e telefonate; coinvolgemmo altri personaggi di spicco della sinistra locale e nazionale. Il leit motiv di tutta questa attività metteva in evidenza il fatto che Sel, nella provincia di Reggio, aveva rinnegato il suo dna, nel quale erano (o meglio, noi credevamo che fossero) insiti i principi della partecipazione, della lealtà, della coerenza, dell’unione. Nei fatti, Sel era uno dei tanti partitini piegati al volere di qualche rais di nessun appeal elettorale, politico, culturale, sociale. Ma il risultato di tutto il nostro attivismo fu nullo. Da Roma solo scrollate di spalle e silenzio. Passate le elezioni, con l’esito che sappiamo, il partito nazionale si decise a fare l’unica cosa fattibile, da manuale della politica: commissariare la federazione provinciale. Per comunicare tale decisione scese in terra di Calabria l’ombra di Nichi Vendola, Ciccio Ferrara, oggi deputato al Parlamento. Fu appositamente convocata un’assemblea che durò una manciata di minuti, il tempo necessario per consentire a pochi energumeni del cosiddetto gruppo dirigente di dare sfoggio delle proprie qualità di provocatori esperti in intimidazioni, delle quali fece le spese l’attuale presidente dell’assemblea provinciale del partito, Nino Malara. Verificata la inagibilità del consesso, fu lo stesso Ferrara a dichiarare chiusi, o mai iniziati, i cosiddetti lavori.

La federazione commissariata
Andrea Di Martino, da Castellamare di Stabia, fu il prescelto quale commissario di federazione. Andrea arrivò a Reggio con un, a suo dire, preciso mandato. Tra l’altro, Di Martino ci teneva a sottolineare che l’incarico gli era stato conferito da Vendola personalmente. Il preciso mandato era quello di portare dentro SEL l’esperienza di Energia pulita, cominciando proprio da Massimo Canale e Laura Cirella. I colloqui con Massimo furono infruttuosi. Laura, dal canto suo, pur pressata da tutti noi (il gruppo dei “lealisti” verso il centrosinistra), e dallo stesso Di Martino, non era convinta che quella strada fosse la migliore. Col senno di poi: come darle torto? In ogni caso, mesi di pressing (nel corso dei quali, tra l’altro, mettemmo in campo delle belle iniziative come quella della raccolta firme per far pagare a chi l’ha provocato il debito del Comune) sortirono, alla fine, la soccombenza di Laura Cirella, che assieme a lei portò in Sel altre persone di spessore morale ed intellettuale. Tre furono le condizioni che Laura espose con la massima chiarezza nel corso di un incontro con Di Martino per accettare di guidare la federazione provinciale di Sel: il vecchio gruppo dirigente doveva assolutamente andare fuori dal partito (non semplicemente fuori dai gruppi dirigenti ma fuori dal partito, poiché in contraddizione palese con la missione politica nazionale di Sel e per rimediare al danno anche di immagine che il partito aveva subito nei mesi precedenti); si doveva trovare il modo per assicurare un sostegno finanziario minimo, di poche centinaia di euro al mese, per l’attività politica e per una sede dignitosa della federazione provinciale; nella scelta del nuovo gruppo dirigente la coordinatrice non doveva subire condizionamenti. Di Martino, pur di portare a casa il risultato, accettò senza riserve. Nel periodo successivo venne avviato il tesseramento, e, al contrario di come avviene solitamente nei partiti, e di come era avvenuto in precedenza anche in SEL, quella fu una campagna di adesione vera, senza pacchetti di tessere pagate dai capintesta per militanti e dirigenti che si scoprivano tali quando c’era da decidere qualcosa alzando la mano.

Il Congresso e l’elezione di Laura Cirella
Il Congresso si celebrò nel febbraio del 2012, e Laura Cirella fu eletta coordinatrice provinciale al termine di un’assise alla quale presero parte tutti i soggetti politici e sociali (partiti, associazioni, movimenti) operanti nella città e in provincia. Dal Congresso in poi fu un susseguirsi frenetico e incessante di iniziative di ogni genere. Pur con i limiti di ogni impresa umana, il progetto di Sinistra ecologia e libertà a Reggio prendeva corpo e forma giorno dopo giorno, con una capacità di attrazione notevole per tutti coloro che credevano in una politica diversa, fatta di impegno disinteressato, di partecipazione vera, di abnegazione, di sacrificio personale. Ragazze, ragazzi, donne e uomini mai impegnati in precedenza in attività partitica, vedevano in SEL un’occasione per dare una mano, per offrire idee e progetti, per ascoltare ed essere ascoltati. Era un percorso da manuale della bella politica. Una ragazza di 27 anni coordinatrice provinciale, capace, volitiva, preparata, entusiasta. Un bel gruppo coeso di altre persone, di ogni età ma soprattutto giovani, al suo fianco. E SEL cresceva. Si aprivano nuovi circoli in provincia e in città, si registravano nuove adesioni singole, si percepiva simpatia e rispetto anche da parte di chi di in quell’esperienza non era coinvolto in prima persona. Certo, ciò avveniva al prezzo di un lavoro enorme e a costo zero: Laura girava in lungo e in largo, sempre a spese sue o di chi si prestava ad accompagnarla da una parte all’altra della provincia; la sede della federazione provinciale, era, de facto, ubicata presso il circolo De Angelis, il cui affitto, manco a dirlo, era a carico dei soliti volenterosi (e fessi, aggiungo ora); se c’era da fare un volantino o un manifesto ognuno si industriava per trovare l’amico disponibile a contribuire. E, a tal proposito, i contributi promessi da Di Martino? Manco l’ombra! Di Martino che, nel frattempo, forte del buon lavoro fatto a Reggio, veniva eletto coordinatore regionale, la qual cosa gli avrebbe consentito poi di aspirare ad un posto da deputato. Ma questa è un’altra storia…

Le primarie del centrosinistra e quelle per il Parlamento
Il primo banco di prova per appurare quanto la semina si potesse tradurre in raccolto furono le primarie del centrosinistra.
Anche in quell’occasione, ovviamente, a costo quasi zero venne allestita la manifestazione con Vendola. Il quasi zero fu colmato da noi e dai componenti del comitato per Vendola, perché il partito, ca va sans dire, nun c’aveva na lira. La piazza Camagna di quella sera, strapiena e pulsante di tanti giovani, ragazze e ragazzi, era un colpo d’occhio impareggiabile, anche se, alla fine, alcune presenze inquietanti accanto a Vendola che si allontanava avrebbero dovuto metterci sul chi va là. Ma chi avrebbe potuto allora immaginare l’epilogo di questa storia? Comunque, i nostri sforzi furono premiati dal risultato della consultazione! Nella provincia, e soprattutto in città, esso andò ben al di sopra della media nazionale. I commentatori e gli addetti ai lavori non poterono non sottolineare come quell’affermazione fosse figlia diretta e legittima dell’attività del gruppo dirigente di SEL, con in testa la coordinatrice provinciale. Ma la gioia e la soddisfazione durarono poco. Passato il ballottaggio con la vittoria di Bersani su Renzi, da Roma cominciarono a trapelare notizie circa la composizione delle liste per le elezioni politiche del 25 febbraio e le primarie per le scelte dei candidati. Ebbene, Sel, il partito che aveva fatto delle primarie il suo vessillo, aveva cominciato a discutere di questi temi paventando la possibilità di inserire ai primi posti delle liste bloccate un certo numero di candidati che avrebbero saltato a piè pari il passaggio della legittimazione col voto. In tutta Italia si levarono voci di protesta, e anche qui da noi il malcontento era palpabile, tanto che molti dei componenti del comitato per Vendola smisero di stare dalla parte di Sel. In sostanza, per farla breve, oltre il 50 % dei papabili deputati e senatori sarebbero usciti dal cilindro della direzione nazionale! Ci furono riunioni su riunioni, ma, come al solito, le scelte del partito romano erano diktat ai quali niente e nessuno si sarebbe potuto opporre. Arrivammo così al giorno della consultazione, svuotata quasi completamente di significato in ragione delle decisioni assunte dal Soviet supremo, col morale sotto i tacchi. Nonostante questo, e nonostante molti di noi avrebbero preferito non partecipare per niente a quella farsa, ci impegnammo nel sostegno della nostra coordinatrice provinciale e del coordinatore regionale Di Martino (oltre che del candidato Monte in misura minore), al quale avevamo qualcosa da rimproverare, certamente, ma cui ci legava (mi legava, soprattutto, e prima di appurare di che pasta indigesta fosse fatto) un rapporto che trascendeva la contingenza politica.

Le elezioni politiche
Da lì al 25 febbraio facemmo tutto quanto era nelle nostre possibilità per portare consensi alle liste di Sel, nelle quali i candidati di Reggio avevano possibilità nulle di essere eletti, mentre Di Martino si giocava qualche chance essendo al terzo posto in lista alla Camera dietro Vendola e il consigliere regionale Aiello. Vi erano diversi fattori che rendevano particolarmente improba la nostra caccia al voto: l’alleanza col PD (che sosteneva le politiche di Monti, non scordiamolo); la oggettiva impossibilità di portare i candidati di Reggio alla vittoria, e quindi l’inutilità del voto dato ad essi; la caduta verticale di Vendola, per diverse ragioni per elencare le quali sarebbe necessaria una riflessione a parte (il quale Vendola, tra l’altro, dopo aver divulgato la notizia della sua presenza in campagna elettorale nella provincia di Reggio, se ne dimenticò con grande non chalance); l’ascesa dei 5stelle attorno ai quali si andava sempre più raccogliendo l’area del dissenso di sinistra. Nonostante ciò, SEL il 26 febbraio è al 4,5 % in città (0,8 alle comunali del 2011), e al 3,9 % in tutta la provincia (1,5 alle provinciali del 2011). In un anno di lavoro, senza soldi, senza sede di federazione, senza appoggio del partito centrale, senza candidati eleggibili: in un’espressione a me cara: scalzi e senza scorta, eravamo riusciti a portare Sel ad avere 10.000 voti nella provincia di Reggio! Grazie a tutti noi, e grazie soprattutto ad una ragazza di 27 anni che ci aveva messo l’anima e il cuore, pur con i limiti dovuti alla giovane età, ma grazie anche ad essa. Entusiasmo passione dedizione forza di volontà voglia di credere e di cambiare. Questi ingredienti, tutti insieme in una miscela esplosiva e coinvolgente, avevano fatto il miracolo di far correre un bronzino come un cavallo di razza. Ragazze e ragazzi, giovani e meno giovani, donne, uomini, esperti o alle prime armi. Tutti insieme a spingere in una direzione, tranne ovviamente quelli che nel 2013, dopo le lezioni implacabili della Storia, usano socialdemocratico come un insulto e gioiscono come pazzi per un gol a porta vuota, come in questi giorni. Per una volta, il manuale della bella politica era stato applicato alla lettera e aveva dato risultati.

Not happy end
Ma questa storia non era destinata a terminare come i film d’amore all’americana. L’happy end col macchinone degli sposi che sfuma in lontananza e il rumore delle latte striscianti sul selciato era destinato ad essere sepolto sotto una spessa coltre di cinismo, di irriconoscenza, di spregiudicatezza, di cieca volontà di devastazione. Dal commissariamento del 2011 in poi, molti di quelli che conoscevano le segrete cose dell’universo comunista post Pci ci avevano avvertito: quello è un cordone ombelicale che non si spezza. Per noi erano le solite Cassandre. Ingenui, non davamo loro alcun credito! Ci avremmo scommesso fino all’ultimo centesimo che mai nessuno si sarebbe sognato di prendere quel giocattolo e gettarlo con prepotenza ed arroganza nella spazzatura. Ma invece… A poco più di un mese dall’appuntamento elettorale i primi campanelli d’allarme, i primi scricchiolii nelle nostre certezze, granitiche perché verosimili, perché poter anche soltanto pensare il contrario sembrava fantascienza. Iniziano le iscrizioni on line. Prima uno, poi dieci, e poi, alla spicciolata, gli altri. Nomi noti. Anzi: tristemente noti. Non famosi: famigerati. Gli stessi che avevano portato Sel allo sfascio d’immagine e di consenso. Gli stessi che Ciccio Ferrara in persona aveva accusato di aver utilizzato il simbolo del partito per fini personali. Gli stessi che erano stati estromessi, e sulla cui estromissione si era costruito un vero partito, dignitoso e forte. E così ricomincia la solita solfa. Telefonate, riunioni, documenti. Tutto il partito rifiuta questi rientri. Qualcuno di quelli che oggi convocano e presiedono annuncia, novello Cincinnato, il suo ritorno alla campagna, pur di non avere più a che fare con tali personaggi. Ma il solito Ciccio Ferrara è irremovibile: tutti si possono iscrivere al partito, chi non accetta è uno stalinista. Certo, detto da lui….

E Di Martino, intanto..
Di Martino, dal canto suo, dopo le elezioni (non è stato eletto, ma per poco) è letteralmente scomparso. C’è chi pensa di andare a chi l’ha visto, c’è chi pensa a quante volte l’ha ospitato a casa propria e lo ha trattato da amico, oltre che da compagno.
A qualcuno viene in mente che è napoletano. Per me, invece, è solo uno dei prodotti più genuini e riusciti di quel tipo di politica che noi combattiamo. Arriva a Reggio con l’aria da bravo guaglione; ha letto e legge molto, si informa, si sacrifica pure stando lontano da casa per tanto tempo, fa bei discorsi e sorride spesso. Si fa ben volere. Mira all’obiettivo e lo centra, e pensa di essere alla svolta della sua vita. Commissario provinciale, coordinatore regionale, candidato alle primarie, candidato al Parlamento. Tutto in virtù della sua abilità, non ci sono dubbi. Ma senza Laura Cirella e gli altri fessi di Reggio e provincia, dove sarebbe arrivato Andrea Di Martino da Castellamare di Stabia? Eppure, questo bravo guaglione napoletano dimentica tutto in fretta: un’amnesia totale! Trova il suo posto al sole a Roma, dove la casta riesce sempre a sistemare i suoi in qualche modo. Lui si acquatta alla segreteria del gruppo alla Camera, e da lì abbiamo sue notizie solo leggendo su fb che vino ha bevuto la sera precedente in qualche ristorante della capitale. Vino buono, s’intende. Perché Andrea è cuoco e anche sommelier, prima che politicante. Andrea si è perso….e non risponde al telefono, non si fa trovare: in parole povere se ne sbatte. Quindi Andrea niente…

Dimissioni
Il documento approvato dal coordinamento provinciale all’unanimità per dire no al ritorno della banda della vergogna, con l’esplicita alternativa “o noi o loro”, non sortisce effetti; a Roma l’avranno usato, come dire, per igiene personale, come sempre.
Anche tra di noi, a questo punto, si apre un dibattito, alimentato soprattutto da coloro che non hanno vissuto la fase precedente al commissariamento. Ci sono compagne e compagni i quali ritengono le dimissioni un gesto di arrendevolezza, per non dire di codardia; sono battaglieri, e non a caso la determinazione a non lasciare campo libero è inversamente proporzionale all’età o all’esperienza partitica. Chi, come me, ne ha viste tante; chi, come me, aveva individuato Sel come l’ultima spiaggia, l’estremo tentativo prima di alzare definitivamente bandiera bianca di fronte alle pratiche sempre uguali e marce come frutta andata a male, non ha dubbi.
Argomentando questa mia posizione oltranzista, spiego che non si tratta di rinunciare alla pugna. Chi mi conosce sa che tra i tanti miei difetti non c’è certamente l’arrendevolezza o addirittura la viltà. Ma che senso ha giocare una partita che si preannuncia truccata? E questo non era un per pregiudizio ma un giudizio basato sull’esperienza! Tessere a gogò, elargite a parenti fino al settimo grado, spesso inconsapevoli; organismi decisionali formati col criterio del peso delle tessere, e quindi non rappresentativi; decisioni assunte e puntualmente diventate carta straccia il giorno dopo; assemblee ricche di interventi che si concludono con sconosciuti membri del consesso, sopraggiunti alla spicciolata e su richiesta un attimo prima, che votano senza neanche sapere di cosa si sia discusso; e, alla fine del percorso, l’avallo incondizionato da parte di coloro ai quali in teoria sarebbe affidata la funzione di verificare la condotta del partito. La maggioranza così ha deciso, ci sentiamo rispondere. Ma la maggioranza come si è formata? Con quali modalità? Questo non rileva, a loro avviso. Il fatto che il meccanismo sia truccato a monte non ha alcuna importanza! “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, così recita l’art. 49 della Costituzione italiana. I Padri costituenti, nell’elaborare questa basilare norma, nel pensare a come riservare ai partiti un ruolo fondamentale nella vita democratica del Paese, certo non immaginavano dei luoghi di prevaricazione, di giochi di prestigio e di veri e propri imbrogli. Non pensavano di consegnare i destini delle comunità locali, e di conseguenza di quella nazionale, a pochi spregiudicati capaci di manipolare in questo modo il meccanismo, tanto da renderlo la negazione stessa della democrazia e della partecipazione. Una delle poche volte in cui veramente un partito decide di assumere una posizione intransigente (quella che prevede l’aut aut “o noi o loro”), e lo decide democraticamente, lo si accusa di stalinismo! Siamo al tragi-comico! Decidiamo quindi di passare ai fatti. Laura si dimette, e tanti altri del coordinamento fanno la stessa cosa. Nel frattempo è stato eletto coordinatore regionale una Speranza della sinistra calabrese. Pensiamo a lui, per averlo da tempo seguito e stimato, come ad una estrema ancora di salvataggio. Uno integro, Gianni Speranza, uno col quale si può discutere e intendersi, lontano anni luce da questo drappello di ipocriti miracolati votati alla poltrona, arrivati in Parlamento grazie al lavoro di tanti e subito divenuti peggio dello smemorato di Collegno. Ma la Speranza, questa volta, non muore per ultima: nell’arco di qualche giorno l’ancora si disincaglia e la Speranza prende il largo nel mare dell’opportunismo e della convenienza. “Non è una cosa alla mia portata”, ci dice Gianni. E Gianni è già a conoscenza dei fatti gravissimi che esporrò in seguito. Alla riunione sono presenti molti di quelli che per la prima volta si erano fatti avvicinare da un partito: l’effetto è devastante. Comunque, prendiamo atto dell’affermazione di Gianni, insieme alla consapevolezza che di falsi miti è piena la storia e anche la cronaca.

L’articolaccio
Ma siccome al peggio non c’è mai fine, arriva la ciliegina sulla torta. Tutti, non solo nella nostra realtà ma anche nel resto del Paese, conoscono i meccanismi della macchina del fango. Sono meccanismi ignobili, sudici, moralmente inqualificabili, che hanno come unico obiettivo quello di diffondere notizie false, della cui falsità i promotori sono pienamente consapevoli, solo per mettere in cattiva luce presso l’opinione pubblica persone che hanno l’unica pecca di non stare dalla parte dell’infangatore di turno. Di queste infime pratiche è pienamente consapevole anche il presidente di Sel, Nichi Vendola, che, a causa delle sue personali e legittime inclinazioni sessuali, e della sua posizione di leader politico che può dar fastidio, viene più volte messo nel mirino. Il metodo Boffo viene utilizzato ai suoi danni per dire, addirittura, che sarebbe favorevole alla pedofilia, o in situazioni diverse per coinvolgerlo in vicende giudiziarie con le quali egli non ha niente a che fare. Ebbene, la nuova Sel, il partito della narrazione e della pulizia morale per antonomasia, non ci risparmia neanche questo! Appare su un giornalaccio locale, diretto da un condannato per diffamazione, un articolo nel quale si parla diffusamente della fase di approdo al partito di Laura Cirella e della fase successiva, quella alla quale abbiamo dedicato parte di questo scritto. Si parla del sottoscritto e di altri, ma con accuse puerili e prive di consistenza. Ma si parla soprattutto di Laura, che avrebbe aderito a Sel con l’accordo di Massimo Canale, per spianargli la strada (i fatti, tra l’altro, avevano già chiarito che le cose erano andate in maniera completamente diversa); però c’è dell’altro, perché i diffamatori ignobili, dall’anima nera come la loro coscienza, non si fermano davanti a niente, e sarebbero capaci di nuotare nella cloaca maxima come se si trattasse del mare limpido di Cala Janculla pur di distruggere chiunque si frapponga tra loro e i loro obiettivi di mero potere. Non pensano alla ragazza di 27 anni, alla sua privata specchiata, alla sua famiglia e a quella del suo fidanzato; e non pensano neanche a Massimo, allo stesso modo. Per questi esseri questi sono solo dettagli insignificanti, trascurabili ostacoli da spazzare via nella corsa a qualche traguardo che deve essere loro e solo loro. Ma io ci penso. Penso a Laura e a Carmelo, il suo fidanzato, belli e innamorati, giovani, pieni di aspettative per il loro futuro insieme. Penso alla madre e al padre di Laura, e ai genitori di Carmelo. Gente di lavoro, gente di sacrifici. Penso a Laura sola in macchina la sera alle 10 che torna da Palmi dopo una riunione. Penso a lei a e me in macchina il 28 dicembre diretti a Rosarno per ritirare il materiale per le primarie e solo per un nonnulla non ci ammazziamo per un’improvvisa grandinata che ha reso l’asfalto viscido come l’olio (chissà che funerali, chissà che discorsi! “I compagni, sprezzanti del cattivo tempo e nonostante il periodo natalizio”, ecc.ecc.). Penso a Laura che quello stesso giorno festeggia il compleanno in questo modo, e poi in casa di Peppe Papasidero in attesa di Enzo che alle 2 di notte arriva coi pacchi da Lamezia. E, mentre la rabbia e il disgusto montano, penso al carico da novanta dell’articolo. Tra Massimo Canale e Laura sembra ci fossero interessi non solo politici, scrive il diffamatore. Che schifo, caro Vendola. Che schifo, caro Ciccio Ferrara. Che schifo, caro Gianni Speranza (Speranza di cognome, Tradita di nome). Dopo qualche tempo, il direttore del giornalaccio viene arrestato, nonostante la sua veneranda età, per cumulo di pene in quanto condannato in via definitiva per diffamazione. I soliti garantisti a senso unico, i difensori della libertà di diffamare insorgono: è troppo vecchio per andare in carcere, dicono. Ma non è vecchio per diffamare, dico io con un ragionamento di pancia, mettendo in un canto per un attimo la mia laurea in giurisprudenza e la mia abilitazione da avvocato. E a proposito di avvocati, quelli del direttore riescono ad ottenere la scarcerazione, come d’altra parte era naturale e legittimo per un fatto anagrafico che in questo caso collide con la giustizia sostanziale. E chi è uno di questi avvocati? Si chiama Lorenzo Gatto, penalista, un passato da militante nel Partito Comunista e in Rifondazione, marito della sorella dell’ex coordinatore provinciale di Sel, oggetto del commissariamento nel 2011.

Bellapolitica – malapolitica

E con questa constatazione siamo arrivati alla fine della storia. Ora Sel ha il suo nuovo coordinatore provinciale. Il partito è, come usa dire oggi, pacificato. Quelli che avevano già dato prova di grande “elasticità” avallando la scellerata decisione di andare col “Polino” alle elezioni del 2011, dimostrano ancora una volta di non andare troppo per il sottile. D’altra parte, sono gli stessi che reclamavano candidature e presenze nei seggi delle primarie per consiglieri di Comuni sottoposti alla Commissione d’accesso e poi sciolti per infiltrazioni; sono gli stessi che, in occasione della redazione del documento di risposta di Sel al manifesto dei 500 di sostegno all’Amministrazione di Reggio sciolta per infiltrazioni mafiose, imponevano a me e agli altri di cassare il passaggio nel quale si parlava del prete rinviato a giudizio per aver testimoniato il falso allo scopo di favorire uno ‘ndranghetista. Per questi comunistoni, intransigenti a chiacchiere, la convivenza e la collaborazione con questi galantuomini che minacciano gli iscritti al proprio sindacato pur di farli iscrivere alla nuova Sel sono quisquilie, indegne di considerazione. Era molto più insopportabile, per loro, che ci fosse un gruppo dirigente e una coordinatrice che non si facevano mettere i piedi in testa, che non si facevano impressionare dai loro pur impressionanti isterismi. L’allegra brigata dei “che me ne fotto” annovera nelle sue file anche gli aspiranti Cincinnato, che nel frattempo hanno riposto la zappa in qualche angolo scuro della propria coscienza, insieme alla coerenza che troppe volte è un orpello insopportabile, del quale ci si libera in fretta perché tutti teniamo famiglia. Altri, intanto, partecipano a convegni a Lamezia pieni di Speranza e di aspettative per le magnifiche sorti e progressive della “nostra Calabria!!!” (punti esclamativi = grande enfasi, com’è d’uopo), puntando a cancellare la divaricazione tra il predicato e il praticato (che in Sel significa coprire la stessa distanza che corre tra la terra e plutone), e lo fanno non senza aver prima indottrinato gli sciocchi con parole belle e intrise di passione vera com’è vera l’araba fenice. Sel tra qualche mese celebrerà il suo congresso, nel corso del quale saranno esposte, da qualcuno con maestria e grande capacità oratoria, da qualche altro in un italiano zoppicante figlio di scarse o nulle letture e di banchi di scuola raramente frequentati, teorie sulla capacità della sinistra di tornare a parlare al popolo, ai giovani, ai ragazzi, sulla necessità di correggere la deriva liberista per colmare le differenze tra chi non ha e chi ha troppo, ecc. ecc. La sala, a quel punto, sarà pregna di un puzzo insopportabile di fritto, che comunque non impedirà agli iscritti, nel frattempo sopraggiunti “per chiamata telefonica diretta”, di alzare la mano ed eleggere il nuovo condottiero di Sel e le legioni degli organismi, che successivamente avranno l’arduo compito di decidere, sempre con lo stesso metodo, le alleanze e le candidature alle elezioni comunali e, soprattutto, regionali. Con questo sguardo al futuro prossimo e meno prossimo ha termine questa storia, breve per scelta ma non per mancanza di altri fatti e particolari da raccontare. Scriverla mi è costato grande fatica e sofferenza. Fatica e sofferenza non fisiche. Fatica e sofferenza dell’anima. Dietro ogni frase, ogni parola, ogni segno di punteggiatura di quanto ho scritto c’è una faccia, un sorriso, una discussione, un confronto, anche un litigio a volte, ma sincero e per fini nobili. Ci sono tutti quelli che ci hanno creduto e non ci credono più, forse definitivamente. Ci sono i nomi e i cognomi di tutti, uno ad uno. E non li cito non perché non li ricordi, perché essi sono stampati indelebilmente nella mia memoria, ma perché ci vorrebbe altrettanto spazio. Ecco: il danno più grave, e forse irreparabile, che questi cattedratici dell’ipocrisia hanno causato sta proprio qui. Essi hanno fornito la dimostrazione empirica di quello che poteva essere considerato un teorema, un’invenzione dei demoni dell’antipolitica, dei Giannini di ieri e dei grillini di oggi: i partiti sono luoghi da non frequentare, sono inutili o per lo meno utili solo a chi se ne vuole servire, sono simili a discariche dove si raccoglie, volenti o nolenti, il peggio del cinismo, dell’arroganza, della doppiezza, dell’arrivismo, del rampantismo, dell’opportunismo. “La politica è bella”, sussurra in punto di morte il padre del protagonista in Baarìa, il film di Salvatores. Si, la bella politica è bella, dico io con una frase che appare ovvia e suona come un bisticcio di parole. Non è bella la malapolitica, nelle cui trame non si muovono soltanto loschi personaggi stile Lavitola, veri e propri delinquenti conclamati come Berlusconi, meschini cacciatori di prebende o posti di lavoro come tanti altri. No. In essa sguazzano, e grazie ad essa campano, tanti altri che, grazie anche alla creduloneria degli ingenui e degli ignoranti, hanno usato un’Idea nobile e alta per scansare la fatica del lavoro, per passare le giornate a studiare tattiche e strategie per conquistare potere concepito come fine e non come mezzo per migliorare il mondo, salvo poi provare a ritrovare la verginità perduta attraverso slogan e concetti imbellettati come bambole da comò, ma vuoti come i loro cuori. Anzi, forse è essenzialmente quest’ultima la vera, autentica malapolitica: da un ladro mi posso, mi devo, aspettare che rubi. È il suo mestiere, lo ha scelto, se ne assume la responsabilità e i rischi che comporta. Da chi, invece, si sbraccia e si sgola contro il ladro, mi aspetto che gli dia la caccia, o, se non è abbastanza coraggioso, che si comporti almeno sintonizzando le enunciazioni con le azioni. E quindi torniamo al discorso iniziale. Torniamo a Padre Zanotelli: ipocrisia. Si, sono d’accordo con lui. Nessun concetto può riassumere meglio la politica italiana di questo periodo, in esso si compendiano tutti gli altri. E se mi fosse imposto di usarne quattro, di parole, per esprimere la medesima idea, le troverei immediatamente, 4 parole 4, tre sostantivi più una congiunzione: Sinistra ecologia e libertà.

 

Tags: analisiAndrea Di Martinoipocrisialaura cirellamassimo canalenino mallamacireggio calabriaselstoria
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