Reggio Calabria. Al termine di complesse ed articolate investigazioni, coordinate dalla locale Procura Distrettuale Antimafia, personale della Sezione Antiracket (diretta dal vice questore aggiunto Francesco Giordano) della Squadra Mobile (diretta dal primo dirigente Gennaro Semeraro), nella mattinata odierna ha dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare (nr. 1102/11 RGNR DDA- Nr. 2151/11 RG GIP DDA e nr.42/13 ROCC), emessa, in data 29 ottobre scorso, dal gip presso il locale Tribunale, nei confronti di cinque persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione, favoreggiamento e ricettazione, delitti aggravati dalla finalità di agevolare le attività delle associazioni mafiose (art. 7 del D.L. 152 del 13.05.1991):
Gli arrestati sono:
- Francesco Zindato, 36ene, già detenuto, ritenuto il presunto capo della cosca;
- Demetrio Sonsogno, di 44 anni, che secondo l’accusa avrebbe sostituito Francesco Zindato al vertice della cosca dopo l’arresto di quest’ultimo;
- Antonino Labate di 36 anni;
- Santo Labate di 32 anni;
- Tchorzewska Malgorzata, 34enne polacca, moglie di Francesco Zindato.
Gli odierni provvedimenti restrittivi cautelari, eseguiti all’esito dell’operazione denominata “Tattoo”, costituiscono la naturale prosecuzione delle pregresse attività investigativa, condotta sempre dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, sfociate nelle operazioni di Polizia Giudiziaria denominate rispettivamente “Alta tensione 1 e 2”, “San Giorgio” e “Cartaruga”.
La prima fase investigativa aveva consentito di ricostruire gli equilibri criminali nella zona sud di Reggio Calabria, vessata dalla pressione di una pluralità di cosche diverse, una volta nemiche -all’epoca della ormai lontana guerra di mafia degli anni ’90 – e successivamente armonizzatesi nella spartizione del territorio e delle relative attività criminali da esercitare sullo stesso, nel modo seguente: la cosca Libri, con le sue articolazioni legate ai Caridi per la zona di San Giorgio Extra, agli Zindato per la zona di Ciccarello ed ai Borghetto per la zona di Modena; la cosca Rosmini nella zona di Rione Marconi; la cosca Serraino per la zona di S. Sperato. La prima, con le sue articolazioni, attiva, in passato, nello schieramento destefaniano, invece la seconda e la terza nel contrapposto cartello condelliano.
Le nuove indagini, basate sugli esiti di nuove intercettazioni telefoniche ed ambientali, operate queste ultime nei confronti dei fratelli detenuti Zindato, Francesco e Gaetano Andrea, hanno consentito non solo di identificare ed individuare le responsabilità di altri associati alla medesima consorteria criminale, ma anche di delineare i meccanismi operativi della cosca che, anche attraverso nuove affiliazioni, ha proseguito nella gestione delle attività illecite finalizzate al procacciamento delle risorse finanziarie indispensabili al mantenimento del sodalizio.
In particolare, la nuova attività investigativa, che ha preso spunto dall’arresto di Francesco Zindato, avvenuto in data 06.11.2010 in esecuzione dell’operazione Alta Tensione, rispetto alla quale l’uomo si era reso irreperibile, ha consentito di individuare l’attività di favoreggiamento personale aggravato posta in essere, oltre che da Giovanni Pratesi in compagnia del quale lo Zindato è stato colto al momento dell’arresto, da altro presunto sodale di estrema fiducia, cioè Antonino Labate cl’77, in quanto, al momento dell’arresto lo Zindato è stato trovato in possesso di una carta d’identità, provento di furto presso il Comune di Motta San Giovanni, denunciato in data 12.09.2003, sulla quale erano riportati le esatte generalità di Labate ma con l’effigie dello Zindato, il quale deteneva, altresì, la tessera sanitaria autentica dello stesso Labate, che non ne aveva denunciato il furto o lo smarrimento, realizzando pertanto una sostituzione di persona strumentale per favorirlo nella elusione delle ricerche delle forze di polizia, il che costituisce espressione di quel principio di mutua assistenza tra associati che rappresenta uno dei pilastri fondanti di ogni associazione mafiosa.
Infatti, l’inattesa fine della latitanza, ha costretto Francesco Zindato a tralasciare la prudenza comunicativa per impartire ai sodali liberi le disposizioni necessarie a proseguire le attività illecite dirette al procacciamento delle risorse finanziarie indispensabili al sodalizio criminale.
E’ emersa, quindi, la figura della moglie, Tchorzewska Malgorzata, che avrebbe trasmesso ai sodali liberi le disposizioni operative impartite dal carcere dal marito, svolgendo al contempo anche mansioni esecutive nel settore delle estorsioni.
Inoltre, è emersa la figura chiave di Demetrio Sonsogno, alias Mico Tatù, con il presunto ruolo di dirigente ed organizzatore della cosca, vero e proprio coordinatore e gestore del sistema di riscossione di risorse illecite a vantaggio della stessa. Accanto ad essi, con mansioni prettamente esecutive, si sono delineate anche le figure di Santo Labate e del cugino Antonino Labate.
La trasmissione delle disposizioni avveniva durante i colloqui in carcere, circostanze in cui Francesco Zindato passava alla moglie dei veri e propri “pizzini” che la stessa si occupava di veicolare all’esterno della casa circondariale.
Dalle intercettazioni, quindi, è emerso il ruolo delicato e fondamentale del Sonsogno in quanto lo Zindato rivelava alla moglie che questi era al corrente di tutti gli affari illeciti della cosca ed in sua assenza l’unico designato a curarli (…”perché è l’unico che sa le mie cose ed è l’unico che mi deve fare tutte le mie cose…”), aggiungendo, inoltre, che il Sonsogno era in possesso di un promemoria sul quale erano riportati gli affari illeciti (…”Mico ha un foglio con un promemoria…”), appunto scritto del tutto identico a quello che lo Zindato aveva ingoiato poco prima di essere tratto in arresto, come dallo stesso riferito nel colloquio in carcere alla moglie.
Ad ulteriore conferma del ruolo di primo piano del Sonsogno interviene il passaggio di altro colloquio in carcere nel quale lo Zindato riferiva alla moglie che aveva deciso di affidare anche la gestione degli interessi illeciti del fratello Gaetano Andrea, pure detenuto, sempre al fidato Sonsogno, sollevando da tale incombenza l’altro sodale Santo Labate, avendo quest’ultimo una conoscenza parziale degli affari degli Zindato. Detta disposizione doveva essere riferita dalla moglie del capocosca alla cognata che a sua volta l’avrebbe comunicata a Gaetano Andrea Zindato, all’epoca detenuto a Palmi (…”Francesco ribadisce alla moglie che deve dire ad Elisa che quando va da Andrea gli deve dire che deve vedersi tutto Mico, in quanto quest’ultimo è già a conoscenza di tutto e sa già dove andare, ha anche una sua lista con tutti i nomi scritti, mentre non devono rivolgersi a Santo perché dovrebbero dirgli le cose in quanto non le conosce…”).
Tali passaggi lasciavano trasparire che, in precedenza, gli affari del fratello Gaetano Andrea erano stati curati da Santo Labate, la cui funzione, dopo l’ordine impartito, diveniva meramente esecutiva in ragione del minore patrimonio conoscitivo delle attività illecite rispetto al Sonsogno.
Il ruolo fondamentale attribuito al Sonsogno era quello di portare avanti il sistema delle estorsioni sul quale Francesco Zindato aveva disvelato una sua personale teoria, del tutto analoga a quella posta in essere da un altro capocosca, Francesco Rosmini, vertice dell’omonimo sodalizio.
Infatti, lo Zindato in una conversazione ambientale, confidava ad altro sodale che in primo luogo era indispensabile essere ben voluto dalla vittima che deve pagare senza ingenerare in essa timore o risentimento (…le persone ti devono volere bene, ma non perché si spaventano…), sottolineando che non era opportuno estorcere denaro ad imprenditori in difficoltà, cercare soldi alle persone in giro che non hanno da pagare la bolletta, che altrimenti si sarebbero sentiti particolarmente vessati, ti aprono, dicono qua è!, la “lezione” proseguiva affermando che dovevano essere avanzate pretese “ragionevoli” perché se, invece, troppo pressanti e di grosse entità avrebbero potuto spingere la vittima dell’estorsione a denunciarlo chiudendo la sua carriera criminale (…se facevo in questa maniera io sai quanto duravo, tre giorni…), ribadendo l’importanza di “essere ben voluto” (…la gente ti deve volere bene non ti deve odiare…), sentimento da ingenerare estorcendo mensilmente somme ritenute “modiche” (…tu quando gli chiedi cento euro ciascuno loro…) e non grosse cifre (…dammi cinquecento euro al mese…) e soltanto a chi ne avesse la reale disponibilità (…i soldi glieli devi prendere a chi li ha, no a quelli che lavorano per…).
Particolarmente indicativa di detta illecita attività si rivelava il passaggio di un colloquio nel quale lo Zindato ordinava alla moglie di fare incetta di articoli di abbigliamento sportivo presso un esercizio commerciale, ubicato in questo centro, chiarendo che “beneficiava” di un buono mensile dell’importo di 1000 euro (…perché io là ho 1000 euro di buono al mese, hai capito?…), circostanza che lasciava intendere che l’estorsione si concretizzava anziché in una dazione di denaro piuttosto nella consegna a titolo gratuito di capi di abbigliamento e calzature. In altro passaggio addirittura il capocosca chiedeva alla moglie se avesse parlato con il titolare del citato negozio per informarlo che, in ossequio alla sua decisione di delegare il Sonsogno nella gestione dei suoi affari illeciti, sarebbe stato quest’ultimo a recarsi presso il negoziante per riscuotere il frutto dell’estorsione, i cui benefici erano anche a vantaggio del fratello del detenuto, Gaetano Andrea.
Analogamente, per altra estorsione il detenuto incaricava la moglie ed il Sonsogno di recarsi dal titolare di un impresa edile perché completasse la sua villetta, inserita in un complesso di villette a schiera, la vendesse e gli consegnasse la somma di 200.000 euro, richiesta che però non sortiva l’effetto sperato e lo Zindato, forse resosi conto di avere preteso troppo, in spregio alla sua prima descritta “etica estorsiva”, la incaricava di recuperare “almeno” 50.000 euro.
Sempre dal medesimo imprenditore il detenuto affermava che tramite il Sonsogno doveva ricevere un “regalo” di 8500 euro che ordinava dovesse essergli versata in dieci rate mensili, giustificandola con l’emissione di una fattura, evidentemente sistema collaudato per mascherare l’estorsione in atto che si perpetuava da tempo.