Reggio Calabria. Ultimo appuntamento, lunedì 2 dicembre, della ventunesima edizione della rassegna del Circolo Zavattini. In programma, con un doppio spettacolo (alle 18:30 e alle 21) presso il cinema Aurora, “Bellas Mariposas” di Salvatore Mereu, già autore degli apprezzati “Ballo a tre passi”, “Sonetaula”, “Tabajone”. 100 minuti di Cinema con la C maiuscola, 100 minuti per lasciarci alle spalle la ricorrente domanda che aleggia ormai da anni negli ambienti cinefili e non: “Ma esiste ancora il cinema italiano di qualità?” Se guardiamo il film del quarantasettenne autore sardo, non possiamo che rispondere: “Sì, assolutamente. Talvolta sì”. Dalle prime scene, da quando la protagonista Caterina, detta Cate, undicenne, guarda in macchina, rivolgendosi allo spettatore con un “Voi non sapete cosa vuol dire vivere a casa mia”. Già, vivere a casa di Cate, in un desolato e disastrato ambiente domestico alla periferia di Cagliari, è difficile da immaginare. E allora la ragazzina ci accompagna nel suo mondo, interpellandoci continuamente, con ripetuti sguardi in macchina, perché non è mai certa della nostra attenzione. È nel periodo della prima adolescenza, quello in cui non ci sono certezze e non è detto che allo spettatore possa interessare la quotidianità di una ragazzina, con una famiglia numerosa e problematica, un padre nullafacente ed erotomane, una madre che sgobba dalla mattina alla sera per mantenere in piedi una casa le cui pareti sembrano crollare da un momento all’altro. E invece ci interessa il mondo di Cate. E tanto. Perché in tutto questo squallore, verrebbe da dire “brutti, sporchi, cattivi…e sardi”, a Cate e a Luna (la sua inseparabile amica), dalla prima all’ultima inquadratura, gli occhi non smettono mai di brillare. Le due adolescenti sono due fiori nel deserto, due belle farfalline, come ci indica il titolo, che si spera riusciranno a spiccare il volo e abbandonare la quotidianità a cui sono per ora condannate. Anche se la situazione è molto difficile: il tessuto sociale intorno alla giovane protagonista non è di certo dei migliori, non lo è il quartiere in cui vive e non lo è la gita al mare, in cui non vediamo mai un orizzonte, che possa essere di speranza. Mentre la sorella più piccola rimane a casa, a nuotare nella decrepita vasca da bagno con il pesciolino rosso, unico animale domestico. Il richiamo al mare (il film è ambientato durante una giornata d’estate) è significativo: non abbiamo un’immagine patinata della Sardegna balneare, con disco, ombrelloni e vip in Costa Smeralda, ma una ben diversa realtà. Ma non parliamo per favore di neo-neo-realismo o roba del genere. Tratto dal romanzo di Sergio Atzeni, il film ricorda in alcuni passi “Stella” una pellicola francese (ma non stavamo parlando della forza del cinema italiano?) di Sylvie Verheyde, proiettato qualche anno fa qui allo Zavattini. Film sui sogni, le difficoltà, le titubanze di un’undicenne, come Cate, con una situazione familiare complessa, che vive alla periferia di Parigi e che si chiama Stella, nome che ricorda tanto Luna, l’inseparabile amica di Cate. Già, perché anche se si nasce alla periferia di Cagliari o di Parigi, in contesti familiari difficili, a undici anni è doveroso sognare. Le stelle, forse, non sono poi così lontane.
Raffaele Putortì