Reggio Calabria. All’interno di una lettera inviata ieri dal presidente di Confindustria Andrea Cuzzocrea al prefetto ed ai Commissari Straordinari del Comune di Reggio Calabria, sono state esposte le preoccupazioni in merito all’ipotesi di dissesto del Comune di Reggio Calabria e i rischi che questa situazione potrebbe provocare alla collettività reggina.
“Confindustria e Ance – spiega Cuzzocrea – volevano portare all’attenzione dell’opinione pubblica i contenuti di una missiva inviata ieri alla terna commissariale e per conoscenza al Prefetto, sostenendo la contrarietà alla dichiarazione di dissesto del comune di Reggio Calabria. Nonostante non siano note le motivazioni per cui la Corte dei Conti abbia bocciato il piano di rientro, abbiamo fatto delle valutazioni attraverso consulenti legali ed esperti arrivando alle seguenti conclusioni. Questa città, già marchiata a fuoco del Decreto Presidenziale che ne ha licenziato gli organi elettivi, subirebbe, con la dichiarazione di dissesto, un altro marchio fortemente negativo: ma al di là dell’aspetto dell’immagine – che pure non è secondario – la preoccupazione che ci ha mossi a scrivere, è che la dichiarazione di dissesto porti con sé danni e problematicità ben superiori dei benefici teoricamente conseguibili. Siamo giunti alla conclusione che la bocciatura del piano di rientro porterebbe una perdita secca del Comune di 100 milioni di euro, sarebbero di gran lunga maggiori gli svantaggi che i vantaggi che il dissesto comporterebbe”.
“Il comune – prosegue Cuzzocrea – ha ricevuto (in due tranche), ai sensi del decreto legge 35 del 2013 (decreto Salvadebiti per gli enti locali), 187 milioni di euro dalla Cassa Depositi e Prestiti ma in realtà la massa passiva su cui era stata fatta la richiesta era di 300 milioni euro. Di questi, sono stati pagati debiti per 140 milioni per cui il comune ha ancora in cassa 47 milioni di euro. La lettera della corte dei conti regionale – prosegue Cuzzocrea – che sancirebbe lo stato di dissesto, produrrebe la situazione di indisponibilità di tali fondi. Con questo, non è nostra intenzione rivendicare i diritti dei nostri imprenditori, che sono stati pagati con tali fondi, ma vogliamo rimarcare il fatto che i suddetti fondi sarebbero ristornati e mandati indietro senza poter essere spesi”.
“Inoltre – ragiona ancora Cuzzocrea – il Comune ha ricevuto, 300 euro ad abitante (per un totale di 54 milioni di euro), per mezzo delle risorse messe a disposizione dal Fondo di rotazione per aver aderito al piano di riequilibrio pluriennale (della durata 10 anni) per i comuni che hanno squilibri di bilancio, con il decreto legge del 10-10-2012 (il giorno dopo è stato dichiarato lo scioglimento del Consiglio Comunale). In virtù di tale fondo, del quale sono stati erogati 11 milioni, 40 milioni sono ancora esigibili perché non ancora versati. In quel contesto c’è stato anche l’emendamento “De Sena” (a dicembre del 2012) che proponeva, per i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, una provvidenza per le emergenze di 20 milioni di euro”.
“Un terzo caso da non sottovalutare – rammenta il presidente di Confindustria – riguarda le transazioni attive che il comune ha fatto con alcuni grossi creditori, come Enel che ha rinunciato al 20% del suo credito, e agli interessi, in cambio di un accordo per un piano di rientro in 5 anni. Per questo motivo, rendere esecutivo il dissesto porterebbe la revoca di questo atto transattivo, in quanto Enel tornerebbe a richiedere il suo credito per intero (7-8 milioni di euro più gli interessi). In totale, dai grossi creditori, il comune perderebbe seccamente circa altri 20 milioni di euro. Di contro i vantaggi che questa decisione comporterebbe, sono quelli relativi alla sospensione degli atti esecutivi e dei pignoramenti. In questo momento il valore monetario di questa sospensione è di 8 milioni di euro che però risulta relativamente utile, vista la disponibilità economica presente nelle casse comunali”.
“Un conto – afferma Cuzzocrea – era dichiarare lo stato di dissesto un anno fa, quando ancora non erano state attivate le procedure per il rientro dal debito, ma in questo momento non ha alcun senso alla luce delle ingenti somme erogate a favore del comune per far fronte al precedente stato. Tra l’altro i tributi sono già portati alla soglia massima e con lo stato di dissesto non è possibile attivare nuovi mutui. Un altro fatto è legato ai tanti investimenti attuati con il project financing, detto anche partenariato privato. Uno tra tutti riguarda la depurazione cittadina che, con 70 mln di euro, prevede lo spostamento del depuratore di Ravagnese e la costruzione di quello di Gallico. Questa procedura verrebbe bloccata col dissesto, perché non riceverebbe credito dalle banche e il criterio del rating arriverebbe al gradino più basso. Ponendo per assurdo l’avviamento della procedura di dissesto, questo comporterebbe: la costituzione della massa attiva, verrebbe effettuata una procedura parallela con la nomina dei commissari liquidatori e il successivo pagamento dei crediti in percentuale (non per intero) alla costituzione della massa attiva rispetto alla massa passiva. Se il creditore non accetta questa procedura può richiedere l’intero capitale, più gli interessi, una volta che il Comune torna in bonis. L’ultimo problema, non per importanza, riguarda l’atavica diffidenza rispetto al modo con cui lo Stato si approccia alla nostra comunità. Infatti dopo che i commissari operano sul nostro territorio da oltre un anno e avendo prodotto un piano di rientro, la bocciatura di quest’ultimo – conclude Cuzzocrea – non farebbe che incrementare tale diffidenza”.
Prosegue poi l’avvocato Galluzzo:” Qui c’è una sorta di contrasto tra la Corte dei Conti e il legislatore nazionale, non è un problema dei commissari. Il legislatore nazionale ha previsto la situazione del dissesto, ma è ben diversa dalla situazione di fallimento che determina il pagamento del creditore tramite moneta fallimentare. Il dissesto comporta che non si possano fare azioni esecutive e che ci sia il blocco temporaneo degli interessi”.
“In passato – prosegue Galluzzo – il dissesto non aveva limiti temporali (quando accadde al comune di Scilla e ad altri comuni), oggi invece non è così. Il fatto di avere posto un termine alla procedura di dissesto (5 anni), il creditore , se vuole, può accettare un accordo transattivo e ha diritto, una volta conclusasi la procedura, di esigere l’intera somma con capitale e interessi per cui non porterebbe ad un reale vantaggio. In conclusione, il Comune ha i soldi per pagare tutti i creditori, al di là dei suoi meriti (o demeriti), per cui non ci sono i presupposti per un dissesto. Si perdono inoltre, a parte i soldi che dovrebbero arrivare e che ancora non sono arrivati(sono una perdita finanziaria), anche i soldi relativi alle transazioni dove sono stati presi degli impegni che si è obbligati a rispettare (sono una perdita economica). Quindi ci troveremo davanti ad una perdita secca di 100 milioni di euro, 80 di tipo finanziario e 20 di tipo economico. Tutto questo sarebbe plausibile se si trattasse di un’amministrazione elettiva, ma non è questo il caso. Qui non è una questione tecnica, si sta facendo un danno alla città nell’ambito di un contrasto tra un organo amministrativo statale e un organo giurisdizionale statale”.
“Un ultimo e fondamentale aspetto della situazione cittadina – conclude Galluzzo – riguarda una bassissima capacità, da parte del comune, di riscossione dei tributi. Nei fatti, la riscossione coattiva dovrebbe essere fatta dalla Reges che invece si ferma alla notifica di precetto e delega la suddetta riscossione ad Equitalia che ,per legge, non può più riscuotere per conto dei comuni. Siamo nella situazione in cui riscuotiamo solo il 30% dei tributi. La preoccupazione nostra è che il dissesto provocherebbe la morte della città. L’unico modo che hanno i commissari per evitare tale situazione, è fare ricorso giurisdizionale alle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, e alla luce di tutto questo non fare ricorso sarebbe grave”.
Gianluca Chininea