Cosenza. Festa della Madonna del Pilerio, l’omelia di Mons. Salvatore Nunnari Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano

Eccellenza, carissimi Presbiteri, Diaconi, Religiosi e Religiose, miei cari Seminaristi, fratelli e sorelle amati dal Signore, autorità civili e militari. Ringrazio Lei, onorevole signor Sindaco, per il dono votivo del cero, segno della filiale devozione di Cosenza alla Celeste Patrona ed anche per il messaggio che da questo vetusto tempio, cuore della nostra città, ha voluto rivolgere a noi tutti figli di questo territorio.
Un richiamo forte a tutti e a ciascuno a sentirci responsabili della crescita umana e solidale della nostra Città. Accolga il mio incoraggiamento per il suo quotidiano impegno assieme alla sua giunta ma anche il mio doveroso invito nell’individuare e operare alcune scelte indispensabili per dare una svolta alle situazioni della nostra Cosenza, assumendo come metro di valutazione dei programmi, delle scelte e delle azioni, la capacità di rovesciare la piramide, cioè il guardare le cose dal punto di vista di chi sta in basso nella scala sociale.
In questo tempo di crisi capisco bene che ciò costituisce passione e tormento per voi amministratori che non avendo sempre i mezzi e gli strumenti necessari per operare, mettete però la buona volontà per non trascurare ciò che è possibile condividendo con i poveri, gli ultimi e gli emarginati vicinanza e solidarietà.
Fratelli e sorelle in Cristo, dal discorso del Signor Sindaco dobbiamo sentirci provocati a vivere la nostra testimonianza cristiana fra la gente “per farci carico di tutti i problemi umani che accompagnano la vita di un popolo, per assicurare il contributo che la chiesa può e deve dare” (C.C.C. 44)
Parto da una premessa che assumo da un passo della lettera agli Ebrei: (13, 12 – 13) “Per santificare il Popolo con il suo sangue Cristo patì fuori dalla porta della Città. Usciamo dunque verso di Lui fuori dall’accampamento”. Se per attuare la salvezza Cristo ha dovuto patire “fuori le mura della Città, per continuare la sua missione evangelizzatrice, la chiesa è chiamata a uscire fuori dall’accampamento.
Sta qui il punto di partenza e di fondazione non soltanto sociologica ma teologica, dell’apertura delle nostre parrocchie al territorio. Si corre altrimenti il rischio di trasformarle in “tenda” nella quale ci si rassicura, ma nello stesso tempo ci si rinchiude mentre compito e responsabilità del cristiano è “andare fuori della porta della città” entrando in relazione con gli uomini, la dove concretamente essi si trovano, cioè i luoghi della quotidianità, come ci è stato indicato dal Convegno di Verona.
Guardando la realtà odierna delle nostre parrocchie, in particolare qui a Cosenza, non possiamo privilegiare e assolutizzare l’attuale modello. Parlando di parrocchia intendo fare riferimento non tanto a una istituzione giuridica, quanto a una realtà vitale all’interno della quale si possa realmente porre il rapporto tra cristiani e società, al di là di un’azione di pura sacramentalizzazione.
Un rapporto problematico è come realizzare l’apertura delle nostre parrocchie al territorio. Ciò non è semplice né facile, intanto perché la parrocchia vive oggi una crisi d’identità, sia per il numero di presbiteri e religiosi, sia per effetto dei mutamenti culturali in atto. Non è difficile cogliere un certo disagio nel suo modo di porsi nei confronti del territorio.
È avvertita una marginalità della presenza cristiana e ciò crea un primo aspetto di tale disagio. Ciò che nel passato era apparso centrale, oggi appare periferico, gli stessi presbiteri che erano punto di riferimento della società sono oggi una delle tante presenze, tutto ciò che nella parrocchia trovava un proprio luogo, dallo sport al teatro per esempio, si svolgono ormai fuori da essa. Mi sembra per ciò provvidenziale l’istituzione degli oratori parrocchiali che in questi ultimi anni ritornano ad essere una proposta seria e concreta, che dove sono sorti continuino a dare buoni frutti.
Soprattutto il messaggio cristiano, accolto o non accolto, non è più l’unica proposta di senso agli uomini di oggi ma soltanto una delle tante proposte in una società pluralista a più influenze culturali, filosofiche e religiose. C’è il pericolo di difendersi arroccandosi in se stessi. Sentirsi aggrediti e rinserrare le fila, farsi prendere dalla sindrome di considerare amici “chi è dentro” e nemici “chi è fuori”.
Per associazioni e movimenti cattolici il pericolo può diventare più grave se dentro questi movimenti ci si considera dei privilegiati rispetto ai cristiani comuni.
Ho salutato il questi giorni il nuovo consiglio diocesano di Azione Cattolica eletto dall’Assemblea dei Soci, nominando il nuovo Presidente presentatomi in una terna di nomi nella persona del Prof. Giuseppe Schiumerini.
Nella lettera loro inviata ho chiesto “di essere nelle nostre parrocchie una proposta concreta e visibile attraverso il cammino formativo, lo stile di servizio e di testimonianza”.
È quello che raccomando a tutti gli altri movimenti ecclesiali in comunione piena con il Vescovo così come il Papa Francesco ha raccomandato nell’incontro del 1° Febbraio al cammino neocatecumenale.
Fratelli e sorelle, sento oggi, nella solennità della celebrazione del patrocinio di Nostra Signora del Pilerio, di dover affidare a Lei questi nostri problemi e la nostra speranza di poter attuare quanto il Signore ci chiede nell’oggi della nostra storia. In questo anno pastorale a Lei dedicato le chiediamo di essere nostra guida e maestra nel nostro impegno a rinnovare il progetto pastorale di presenza sul territorio e di vicinanza agli uomini attuando così l’antico sogno di don Mazzolari: “Nella parrocchia la Chiesa fa casa con l’uomo”.
È Lei che ci da la cifra del suo agire nell’evento dell’Incarnazione quando la Parola di Dio riempie il suo cuore e feconda il suo grembo.
Il suo “Si” a Dio, la piena disponibilità al suo progetto, non la distoglie dalla preoccupazione della notizia appena ricevuta che sua cugina Elisabetta “è già al sesto mese della sua gravidanza”.
La ritroviamo in fretta sulla strada, in cammino, sospinta dall’urgenza dell’amore, “caritas Christi urget nos”, direbbe San Paolo, affrontando la difficoltà del cammino, la montagna non fa da barriera al suo proposito. Nulla e nessuno la trattiene: lascia la serenità della povera casa di Nazareth, dove la contemplazione del mistero appena annunciato doveva essere celebrato nel silenzio, c’è un servizio da rendere, un annuncio di gioia da portare, una grazia da comunicare un canto di lode da elevare al Signore per le grandi cose che ha operato.
Maria icona della fede diventa per noi la stella dell’Evangelizzazione, il segno luminoso della carità.
Sulla strada come lei, cari fratelli e sorelle sospinti dall’urgenza dell’amore.
La strada, ricordiamocelo, può essere per noi un luogo privilegiato dell’incontro, soprattutto inatteso, con gli uomini della distanza ma non del rifiuto preconcetto. Attendono da noi credenti di sapere che Dio centra nella vita, non è lontano e indifferente, non è nemico oscuro della gioia ma ne è la perenne sorgente, non è concorrente geloso della libertà ma ne è la più sicura garanzia, che Egli è dalla parte dell’uomo e che nulla è più stupefacente di un’esistenza comune e di un cuore semplice che vive con Lui.
Ma se Dio centra con la vita diciamo allora che ognuno centra con la vita degli altri.
E questo capovolge i rapporti, il modo di guardarci, di stare insieme, superando ogni forma di intolleranza e permettendo di accogliere fratelli e sorelle che per disperazione approdano sui nostri lidi e sul nostro territorio, col desiderio di trovare una integrazione rispettosa e serena.
E questo sarà il modo più bello di onorare e celebrare la madre, di dare un senso vero alla nostra processione e alla nostra festa. Maria cammina con noi, sentendoci figli suoi e fratelli e sorelle in cammino con Lei verso la casa comune del Padre.

 

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