Roma. Si è celebrata innanzi alla V sezione penale del Supremo Collegio l’udienza per la discussione del ricorso proposto da Natale Paolo Alampi (difeso dagli avvocati Marco Tullio Martino e Domenico Neto) contro il provvedimento emesso dal Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, che aveva confermato il titolo custodiale nell’ambito del processo “Alta Tensione 2”. Si tratta della seconda pronuncia favorevole che incassa la difesa dell’imputato: qualche mese addietro, infatti, la I sezione penale della Corte di Cassazione aveva annullato un primo provvedimento emesso dai giudici reggini in quanto il titolo coercitivo (applicato per una fattispecie estorsiva ai danni di un imprenditore) doveva essere dichiarato inefficace per decorrenza del termine di fase ai sensi dell’art. 297 cpp. Secondo gli avvocati Neto e Martino, sussisteva un rapporto di connessione qualificata tra la condotta associativa – oggetto di diversa misura custodiale nell’ambito di altro procedimento – e quella estorsiva sfociata nel nuovo mandato di cattura.
Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, giudicando la questione dopo il rinvio del Supremo Collegio, aveva confermato la legittimità del titolo custodiale superando le censure ed i principi di diritto tracciati da quest’ultimo, sostenendo (peraltro) di poter valutare la posizione processuale dell’Alampi spaziando ad ampio raggio sul materiale investigativo e decidendo sulle sorti “cautelari” a prescindere dai dettami statuiti dalla Corte di legittimità.
Proposto nuovo ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, i legali hanno rimarcato la persistente lacunosità delle argomentazioni compendiate nell’ordinanza impugnata, rilevando l’assenza di ragioni che avessero indotto il Tribunale a confermare l’ordinanza restrittiva senza neppure superare, risolvendoli, i dubbi segnalati dal Supremo consesso.
All’udienza camerale celebratasi il 9 aprile, l’avv. Neto ha evidenziato che le vicende inerenti la seconda misura restrittiva fossero comunque ampiamente desumibili dagli atti del primo procedimento; quindi, il termine di fase avrebbe dovuto decorrere dall’emissione del primo titolo coercitivo. Condividendo i rilievi difensivi e su conforme richiesta della Procura Generale, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale con rinvio per un nuovo esame, ribadendo che il criterio della desumibilità dagli atti, in tema di contestazione a catena, dovesse essere inteso come possibilità di ricavare dagli elementi investigativi disponibili al tempo di emissione della prima ordinanza coercitiva anche quelli che giustificavano l’adozione della seconda, indipendentemente dall’effettiva compiuta elaborazione di essi, al tempo di applicazione della prima misura, e della tempestiva apprensione della loro rilevanza rispetto all’ulteriore fatto oggetto di altro provvedimento coercitivo.
Alla luce dei principi appena tracciati, il Tribunale della libertà di Reggio Calabria dovrà pronunciarsi ex novo aderendo all’indirizzo interpretativo indicato dalla Suprema Corte.
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