A proposito di leggi speciali per il Mezzogiorno

di Alessandro De Virgilio *

Reggio Calabria. Di leggi speciali e interventi straordinari il Sud e la Calabria ne hanno sperimentati diversi. In linea di principio sono contrario a misure di questo tipo perché non si sono rivelate mai realmente decisive, perché hanno sempre svolto una funzione parzialmente sostitutiva e non aggiuntiva rispetto alle risorse ordinarie e sopratutto perché non sciolgono il vero nodo, rappresentato dalla mancanza di una classe dirigente e di una burocrazia capaci di guidare i territori verso uno sviluppo reale e non parassitario.
Il “decreto per Reggio Calabria“, poi trasformato in legge (la 246) , per esempio, finalizzato al risanamento del tessuto urbano della città ed al rilancio dell’occupazione, destinò alla più grande città della regione risorse pari a circa 600 miliardi di lire. Varato nel 1989, è rimasto in larga parte inattuato. Quei soldi scatenarono fra i partiti politici e le consorterie mafiose appetiti documentati in diverse inchieste della magistratura e produssero ben pochi effetti migliorativi sulla realtà urbana alla quale erano destinati. A intorbidire il clima ci fu il delitto Ligato, da molti osservatori inserito nel clima di mobilitazione dei cartelli politico-mafiosi che si organizzavano per spartire la torta in vista dell’arrivo dei finanziamenti statali. Fra le opere che il decreto avrebbe dovuto finanziare, c’è il mercato agroalimentare nel rione Pellaro, un’incompiuta che avrebbe dovuto rappresentare la “punta di diamante” del decreto in quanto destinato a riqualificare una vasta area della città. Nel luglio scorso il presidente della Confindustria reggina, Andrea Cuzzocrea, è intervenuto sull’argomento denunciando lo scandalo della mancata attuazione della legge 246, sollecitando iniziative finalizzate all’impiego dei fondi stanziati.

Ma la madre di tutte le leggi speciali è l’intervento straordinario per il Mezzogiorno. Fu concepito nel Dopoguerra per contribuire a superare lo storico ritardo delle regioni meridionali rispetto alle altre aree del Paese. Nel 1950 il governo De Gasperi istituì l’ente preposto alla sua attuazione, la Cassa per il Mezzogiorno, il cui schema ricalcava quello delle agenzie di sviluppo locale create negli Usa durante la fase del New Deal.
La Cassa realizzò effettivamente opere soprattutto nelle aree rurali, prive allora di opere basilari come gli acquedotti. Sottoposta a un fuoco di critiche e di accuse di sperpero del denaro pubblico secondo la collaudata visione – non del tutto infondata- che condanna ogni intervento destinato al Meridione, fu soppressa per essere sostituita nel 1986 da un altro provvedimento, la legge 164. La nuova misura fece rimpiangere la Cassa per il Mezzogiorno perché si rivelò ancor meno incisiva ed ancor meno immune agli appetiti della politica e delle mafie. L’insorgenza del fenomeno leghista nel Nord Italia determinò l’abbandono definitivo dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, con l’abolizione del relativo ministero, e il varo della legge 488 del 1992. La nuova legge introduceva l’intervento pubblico nelle aree depresse del Paese estendendolo alle aree del Nord Italia colpite dalla deindustrializzazione. Chi, come me, svolge il mestiere del cromista, annota praticamente tutti i giorni gli effetti della legge 488 a cui attingono sobente imorenditori del Nord che, col pretesto di investire al Sud, creano aziende fantasma destinate a succhiare denaro pubblico e a lasciare sul territorio meridionale impianti mai completati ed arredati di ferraglia dismessa dagli stabilimenti del triangolo industriale. Truffe che sovente finiscono all’attenzione della Guardia di Finanza e della magistratura.
Un’altra considerazione trova supporto in un rapporto Svimez di qualche anno addietro che documentò come l’intervento straordinario nel Mezzogiorno sia stato in realtà non aggiuntivo ma solo in minima parte sostitutivo dell’intervento ordinario. Lo stato italiano, dal Dopoguerra ai giorni nostri, ha investito meno dell’1% delle risorse di bilancio annuali nel Sud del Paese, eccezion fatta per una sola annualità. Per farla breve, nelle regioni del Nord strade, ponti, acquedotti ecc., sono stati realizzati con fondi del bilancio ordinario, mentre nel Sud, quando sono state realizzate, ciò è avvenuto in una logica di intervento “straordinario”. A ciò va aggiunta l’inefficieenza degli enti territoriali meridionali, con in testa le Regioni, che non hanno saputo esprimere la necessaria competenza progettuale, con il risultato che i soldi sono spesso tornati al mittente. Un ragionamento analogo potremmo impostare sui fondi comunitari.
In questi giorni, l’onorevole Rosy Bindi continua a propone leggi speciali per la Calabria. In attesa che definisca i termini della sua idea (fondi destinati alle imprese, alle infrastrutture o misure eccezionali con la criminalita?) una riflessione sul passato può aiutare a non ripetere gli errori.

* Giornalista, autore del libro “Le Quattro giornate di Catanzaro”

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