di Alessandro De Virgilio *
Reggio Calabria. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è stato in Calabria due volte in tre mesi, annunciando una presenza assidua in fondo allo Stivale, in linea con un analogo impegno assunto con le popolazioni di Campania e Sicilia, le regioni, insieme con la nostra, più sofferenti per la crisi economica e per la presenza pervasiva delle mafie. A Reggio il premier ha annunciato l’istituzione di una cabina di regia presso la presidenza del consiglio “sulle specificità calabresi”; si è impegnato a concretizzare in tempi brevi una misura finalizzata a dare una boccata d’ossigeno al mondo del lavoro asfissiato dal blocco dei fondi destinati agli ammortizzatori in deroga; ha sventolato sotto gli occhi di amministratori regionali e sindaci la ricca torta comunitaria, quasi a esorcizzare lo spettro di un’Europa matrigna capace solo di imporre lacrime e sangue. Ha parlato chiaro e senza incamminarsi su percorsi lessicali tortuosi. Ammontano, ha fatto rilevare il premier, a oltre 185 miliardi gli euro messi a disposizione del sud Italia per colmare i ritardi storici accumulati rispetto ai paesi europei più avanzati, aggiungendo che se le Regioni non li spendono il capro espiatorio non può essere trovato né a Bruxelles né a Berlino.
A Scalea, il 13 marzo scorso, la piazza lo aveva accolto freddamente se non in modo ostile, salutandone l’arrivo con una salva di fischi, analogamente a quanto era avvenuto in quegli stessi giorni in altre situazioni. A Reggio, ieri, ho sentito qualche fischio, ma la gran parte delle due-trecento persone che lo attendevano davanti alla prefettura con le bandiere dei sindacati lo ha invocato e, quando si è avvicinato a loro, lo ha applaudito, senza grande entusiasmo, ma con la convinzione, mi è sembrato, di avere davanti un interlocutore disposto ad ascoltare ed in grado di rispondere. Renzi, insomma, ispira fiducia. Non avveniva, penso, dai tempi della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi.
Il modello politico “blairiano” incarnato dall’ex sindaco di Firenze non mi entusiasma. La superficialità con cui liquida i sindacati e l’appiattimento sulla Confindustria non sono consoni ad una formazione politica che, come il Pd, aderisce all’internazionale socialista e che nel simbolo evidenzia il logo del Pse. Non condivido le critiche di chi gli rinfaccia l’accordo, peraltro assai precario, con Berlusconi sulle riforme, ma su questo terreno il governo procede senza un quadro di riferimento, a contrattazione privata e spesso al ribasso, com’è avvenuto in riferimento alla legge elettorale. Seguendolo nelle due visite effettuate nella nostra regione, tuttavia, ho ricavato l’impressione di trovarmi davanti a un politico atipico, lontano dagli schemi e dalle consuetudini a cui la palude italiana ci ha abituati. Il premier rifiuta l’approccio dei giornalisti, come a rimarcare che l’agenda della politica non deve essere dettata dai giornali; non si fa accerchiare dal tradizionale codazzo di portavoce e portaborse – sebbene non manchi mai chi sgomita per marciare al passo con il capo – non rifiuta e anzi cerca il contatto con i cittadini trasmettendo l’impressione di una personalità convinta di ciò che dice e fa. Sono impressioni, certo. La prova del fuoco è nei risultati. Prendo però atto del fatto che la sua presenza in giro per l’Italia suscita speranza. Di questi tempi non è poco.
* Giornalista, autore del libro “Le Quattro giornate di Catanzaro”