Cosenza. E’ stata presentata ufficialmente oggi pomeriggio alla Libreria Ubik di Cosenza l’edizione 2014 del Premio Sila’49. Il Direttore del premio Gemma Cestari, il Presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini, il Presidente della Giuria Amedeo Di Maio e lo scrittore Emanuele Trevi hanno illustrato “la Decina” dei libri in concorso per la sezione Letteratura e l’articolazione dell’Edizione 2014 Alla presentazione ha preso parte il comitato dei lettori selezionati tra gli utenti della Libreria Ubik, che avrà il compito di orientare, con il proprio parere, la Giuria nella selezione della “Cinquina” dei finalisti. Il lettori Ubik avranno tre mesi di tempo per inviare alla giuria il parere sui libri in concorso.
Il Premio ha la caratteristica di privilegiare le opere e la letteratura attente alla realtà e di rilievo civile, ha frequenza annuale ed è diviso in tre sezioni: Letteratura; Economia e Società; “Sguardo da lontano”, dedicato a saggi e opere realizzati da autori stranieri che abbiano ad oggetto il Mezzogiorno. La Giuria si riserva, inoltre, di anno in anno, la facoltà di assegnare premi speciali alla carriera e all’opera complessiva di autori che abbiano una significativa attinenza con i valori promossi dal Premio.
Anche quest’anno tra luglio e settembre si svolgeranno le presentazione dei singoli libri in concorso. La premiazione dei vincitori di tutte le sezioni del Premio Sila’49 avverrà il 22 novembre 2014. “Quest’anno la Decina delle opere di narrativa in concorso – ha dichiarato Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila’49 – è molto equilibrata; le opere raccontano uno spaccato dell’Italia che dà il senso della voglia di partecipazione alla vita sociale del Paese”. Il presidente Amedeo Di Maio ha valorizzato la vocazione “sociale” del Premio. “Oggi più che mai dobbiamo vivere – – ha spiegato Di Maio – le tre culture: umanistica, sociale e scientifica; e il Premio Sila’46 con le sue tre sezioni interpreta a pieno l’evoluzione e il sentire della società contemporanea”.
Il compito di illustrare i dieci libri finalisti è spettato al critico letterario e giurato del Premio, Emanuele Trevi : “Il Premio sin dalla sua istituzione è stato in grado – ha concluso Trevi – di precorrere i tempi. Gli autori premiati non rappresentano le opere “di moda” in quel determinato periodo ma quasi sempre scrittori che hanno saputo cogliere un aspetto particolare e significativo della realtà, libri che non sono passati in una stagione ma che hanno fatto la storia”.
LA DECINA
- Milena Agus – Luciana Castellina “Guardati dalla mia fame” – Nottetempo
- Giorgio Falco “La gemella H” – Einaudi
- Giovanni Greco “L’ultima madre” – Nutrimenti
- Francesco Pecoraro “La vita in tempo di pace” – Ponte alle Grazie
- Gilda Policastro “Sotto” – Fandango
- Gilda Policastro “Uomini e comandanti”- Einaudi
- Luca Rastello “I Buoni” – Chiarelettere
- Antonio Scurati “Il padre infedele” – Bompiani
- Walter Siti “Exit Strategy” – Rizzoli
- Benedetta Tobagi “Una stella incoronata di buio” Einaudi
Milena Agus – Luciana Castellina “Guardati dalla mia fame” – Nottetempo
È forse la prima volta che un avvenimento, in questo caso un efferato delitto, viene raccontato in uno stesso libro da due voci contrapposte che entrano nella pelle della vittima o dell’aggressore. Nella Puglia del dopoguerra, terra di passaggio dove si incontrano reduci, transfughi, tedeschi e alleati, in occasione di un comizio di Giuseppe Di Vittorio, politico e sindacalista, avviene un linciaggio. Milena Agus e Luciana Castellina entrano nei fatti, ciascuna con la propria passione e la propria ragione, minuziosamente documentate. Milena Agus penetra nel palazzo delle vittime, e le ricrea con la sua smagliante e amorosa immaginazione, mentre Luciana Castellina ricostruisce la storia di quegli anni, assai poco nota, e le circostanze che fecero di una folla di poveri braccianti e delle loro donne dei feroci assassini: una all’interno, l’altra all’esterno, in due superfici che si toccano senza conoscersi, il palazzo e la piazza, e che quando vengono a contatto, esplodono.
Giorgio Falco “La gemella H” Einaudi
La voce de La gemella H non è solo quella di Hilde: è un crepaccio che inghiotte le parole di tutti. La storia comincia nel 1933, a Bockburg, cittadina bavarese, dove nascono le gemelle Hinner, Hilde e Helga. Il padre Hans dirige il giornale locale, e spinto dall’ambizione vive sino in fondo gli anni del Terzo Reich, qui narrati da una prospettiva del tutto inedita: la merce. I debiti per la casa, la rincorsa all’automobile lussuosa, l’appropriazione della villetta del vicino ebreo, che dà inizio a una seria di speculazioni immobiliari, prima in Germania poi in Italia. Dal bagnino della piscina di Merano alle commesse della Rinascente nel dopoguerra milanese, fino alle sonnolenti stagioni balneari della Riviera romagnola, il racconto di «due mondi che si uniscono per sempre».
La storia di tre generazioni della famiglia Hinner, che dalla Germania di Hitler arriva all’Italia dei giorni nostri. A parlare è Hilde, testimone della sua stessa esistenza, ribelle inerte nel mondo progettato dal padre, dai padri. La sua voce, ora laconica ora straripante, narra ottant’anni di vicende private intimamente intrecciate al Novecento, «all’alba dei grandi magazzini», al turismo di massa, all’ossessione del corpo. Fino a innescare un cortocircuito che fa esplodere il nostro presente, denudandolo come mai prima era stato fatto. Se I Buddenbrook ripercorreva la decadenza di una famiglia tedesca dell’Ottocento, La gemella H non può che registrare il giornaliero «assecondare il flusso di eventi travestiti da soldi» di una famiglia ossessionata dai beni e compromessa con il Male. Decisa a dimenticare, pur di salvarsi.
Giovanni Greco “L’ultima madre” Nutrimenti
Le vite degli individui sono rette parallele che s’incontrano all’infinito, in un orizzonte illusorio, sono impulsi che corrono avanti e indietro, s’inseguono, talora s’intravedono o si sognano reciprocamente, più spesso si mancano.
María è una mite casalinga di un barrio povero di Buenos Aires, vedova di un muratore di origini italiane. Gli uomini che hanno preso il potere in Argentina hanno fatto sparire i suoi due figli, i gemelli Pablo e Miguel, insieme a tante altre persone dissolte nel nulla. María cerca una risposta, vuole la verità, e per questo viene imprigionata, torturata, esiliata. La sua vicenda si sovrappone a quella di Mercedes, figlia e moglie di due militari di quella giunta che reprime nel sangue ogni forma di opposizione. Anche Mercedes è madre di due gemelli, Nacho e Mari. I bambini le sono stati consegnati alla nascita, figli di un’attivista politica arrestata e poi scomparsa. Sono cresciuti in una famiglia che non è la loro, all’oscuro di tutto.
Nato come spettacolo sul tema dei desaparecidos, frutto di un’inchiesta condotta sul campo a Buenos Aires, L’ultima madre è un potente affresco ispirato ai grandi romanzi della letteratura sudamericana: destini che procedono asimmetrici nel tempo e nello spazio, ma indissolubilmente intrecciati, personaggi che appaiono a un angolo di strada o svaniscono senza lasciare traccia, che si ergono a divinità del male, mutano pelle come serpenti, impazziscono, frugano disperatamente nei bassifondi dell’animo alla ricerca della propria identità. Quell’identità negata a molti negli anni bui della dittatura e che solo alcuni hanno potuto recuperare grazie al lavoro straordinario delle nonne di plaza de Mayo.
Giovanni Greco racconta l’oltraggio con una lingua meticcia, che dà forma plastica all’oralità, muovendosi in un arco di tempo che va dall’Argentina degli anni Settanta ai nostri giorni, ma che affonda le radici nella storia europea del Novecento (l’Italia dei migranti, i campi di concentramento nazisti, i moti studenteschi parigini, la caduta del muro di Berlino), tra violenza di stato e realismo magico, tra aneliti di rivolta e voluttà del tango.
Francesco Pecoraro – “La vita in tempo di pace” – Ponte alle grazie
L’ingegner Ivo Brandani è sempre vissuto in tempo di pace. Quando il libro comincia, il 29 maggio 2015, Ivo ha sessantanove anni, è disilluso, arrabbiato, morbosamente attaccato alla vita. Lavora per conto di una multinazionale a un progetto segreto e sconcertante, la ricostruzione in materiali sintetici della barriera corallina del Mar Rosso: quella vera sta morendo per l’inquinamento atmosferico. Nel limbo sognante di un viaggio di ritorno dall’Egitto, si ricompongono a ritroso le varie fasi della sua esistenza di piccolo borghese: la decadenza profonda degli anni Duemila, i soprusi e le ipocrisie di un Paese travolto dal servilismo e dalla burocrazia, il sogno illusorio di un luogo incontaminato e incorruttibile, l’Egeo. E poi, ancora indietro nel tempo, le lotte studentesche degli anni Sessanta, la scoperta dell’amore e del sesso, fino ad arrivare al mondo barbarico del dopoguerra, in cui Brandani ha vissuto gli incubi e le sfide della prima infanzia. Chirurgico e torrenziale, divagante e avvincente, “La vita in tempo di pace” racconta, dal punto di vista di un antieroe lucidissimo, la storia del nostro Paese e le contraddizioni della nostra borghesia: le debolezze, le aspirazioni, gli slanci e le sporcizie, quel che ci illudevamo di essere e quel che alla fine, nostro malgrado, siamo diventati.
Gilda Policastro “Sotto” Fandango
Alba e Camilla condividono l’aspirazione a una carriera universitaria, ma devono scontrarsi con le logiche dei superiori, oltre che coi drammi grandi e piccoli dell’esistenza privata. La prima è più giovane, ha un talento inespresso, una certa svagatezza esistenziale. Il suo fascino sta nell’irresolutezza, nella fragilità fisica accompagnata a un’intelligenza malinconica, nell’ambizione frenata dalle debolezze sensuali. L’altra ha passato i trent’anni, è una madre con le forme da pin-up e i capelli fiammeggianti: in lei la determinazione feroce diventa arma di seduzione compulsiva e al tempo stesso di autodistruzione. L’incontro con Ludwig, il professore a fine carriera, è per entrambe l’ingaggio di una competizione fatale: tra di loro e per la conquista di un potere inafferrabile. Sotto è il luogo ideale dell’ambiguità e della disperazione: una storia di rivalità indotte e di crudeltà inflitte e subite, nel segno della narrazione senza freni, della esplorazione libera delle passioni, dello svelamento delle meschinità dei rapporti umani. Con questo secondo romanzo Gilda Policastro percorre i lati più impalpabili e oscuri dell’autorità e del dominio con uno stile estremo e fuori dal comune che la colloca tra gli scrittori più inconfondibili dei suoi anni.
Giulio Questi “Uomini e comandanti” Einaudi
Questo libro è una specie di miracolo: pensavamo di aver già letto la migliore letteratura sulla Resistenza, quella scritta dai diretti protagonisti, ma non avevamo ancora scoperto la voce viva, limpida, smaliziata e potente dei racconti di Giulio Questi. Ex partigiano poi regista di culto, oggi novantenne film-maker di cortometraggi che spopolano in rete, Giulio Questi ha partecipato giovanissimo alla guerra di liberazione tra Val Seriana e Val Brembana, e di quell’esperienza ha scritto nell’immediato dopoguerra dando vita a racconti portentosi, crudi e umanissimi, veramente folgoranti, amati tra gli altri da Elio Vittorini, che li pubblicò sul «Politecnico». Su quei temi l’autore è tornato cinquant’anni dopo, a completare una raccolta che vede ora per la prima volta la luce. In mezzo, tutta una vita piena di incontri e avventure, ma soprattutto di cinema: attore, sceneggiatore e regista, negli anni Sessanta ha girato Se sei vivo spara, uno spaghetti-western poi osannato da Enrico Ghezzi e Quentin Tarantino, in cui l’esperienza resistenziale trova un’originalissima trasfigurazione. Con uno sguardo «fenogliano» (proprio con Fenoglio, poco prima della sua morte, Giulio Questi stava ragionando su una trasposizione cinematografica di Una questione privata), questi racconti ci restituiscono tutta la complessità di una scelta morale, vitale e violenta insieme, riuscendo a mescolare magistralmente realismo e visionarietà. La Resistenza di Giulio Questi è lontana da ogni retorica: nelle sue storie a volte feroci, ma sempre accese dall’ironia e dall’intelligenza, la guerra e la giovinezza si sovrappongono in una grande avventura che comprende il terrore e la sconsideratezza, il coraggio, la dignità, la fame, il freddo, la casualità dei gesti e l’impellenza dei desideri. Ma ci sono anche racconti onirici, d’indagine psicologica, che trascinano il lettore nel tempo e nello spazio, fin nella Colombia di Gabriel García Márquez, continuando in fondo a raccontare i fantasmi dell’animo umano, le sue crepe e anche la sua inesauribile vitalità.
Luca Rastello “I buoni” Chiarelettere
I BUONI lottano per salvare il mondo. Le loro crociate si chiamano «progetti», il loro dio è la legalità. A guidarli c’è don Silvano. Lui è l’uomo santo con il maglione consumato e lo sguardo sofferente che predica sulla strada e nel palazzo, vicino agli ultimi e ai politici, alle rockstar, ai galeotti e ai magistrati. È nel suo tempio che approda Aza, ragazzina dei cunicoli, esile e fortissima, scampata a un passato di fogna e violenza con la forza dell’ambizione: a lei Silvano onnipotente ha concesso una lingua nuova, una casa, una carriera, persino un amore. Le ha dato la vita. Pazienza allora se il tempio è cartongesso, se la lotta è solo nei toni con cui si pronunciano parole di conciliazione: Aza dovrà tenere stretta la corda che la lega a don Silvano fino a scorticarsi le mani. Anche quando, attorno, ogni cosa comincia a precipitare. Luca Rastello ha scritto un romanzo lucidissimo e feroce, capace di mettere a fuoco ciò che è sotto i nostri occhi e che pure – per negligenza o istinto di conservazione–non vogliamo vedere. Ma non c’è retorica che possa reggere alla verità della letteratura. E a sentirci scoperti, alla fine, siamo noi: il nostro bisogno di convivere con il male fingendo di combatterlo, la necessità di accettare un mondo che ci stritola, abitandolo sotto anestesia.
Antonio Scurati “Il padre infedele” Bompiani
“Forse non mi piacciono gli uomini.” Il giorno in cui tua moglie, all’improvviso, scoppia a piangere in cucina, è una piccola apocalisse. Uno di quei giorni in cui la tua vita va in frantumi ma giunge, anche, per un attimo, a dire se stessa. E allora Glauco Revelli, chef di un ristorante blasonato, maschio di quaranta anni, padre di una figlia di tre, va alla ricerca della propria verità di uomo. Dall’ingresso nell’età adulta, l’innamoramento, la costruzione di una famiglia, la nascita e l’accudimento di una figlia, fino al disamore della moglie (che gli si nega dal momento del parto) e al ritorno feroce degli insaziabili demoni del sesso, tutto è passato in rassegna dal suo sguardo implacabile e commosso. Con “Il padre infedele” Antonio Scurati scrive il suo libro più personale, infiammato dal tono accorato della confessione e, al tempo stesso, il romanzo dell’educazione sentimentale di una generazione.
Walter Siti “Exit Strategy” Rizzoli
“Come se ne esce?” è la domanda che risuona più spesso in questi anni. Non solo dalla crisi economica ma dalla paralisi politica e istituzionale, e anche da quella vocazione al consumo superfluo e al piacere pronto-cassa che dopo aver caratterizzato gli anni ruggenti del berlusconismo rischia ora di lasciare sul campo tanti smarriti e depressi. In questo romanzo che seziona i giorni come un diario, Siti affronta la questione partendo da un’esperienza personale: racconta la propria uscita da un’ossessione erotica che sembrava eterna, e la propria conversione a qualcosa che sembra rappresentare il suo contrario, dal cielo drogato dei corpi artificiali alla terra di un amore umano troppo umano. A fare da contrappunto ci sono i capitoli della berlusconiade: dal sole in tasca al mesto tramonto, dal tintinnio delle farfalline al cane Dudù. Ritratto spietato dell’immobile frenesia italiana e insieme sincera autoanalisi di un tentativo di liberazione (con un simbolico trasloco da Roma a Milano e un addio altrettanto simbolico al mondo dei reality), il libro non offre ricette miracolose ma suggerisce che una via d’uscita esiste, almeno nel privato, e che le ossessioni si possono, se non sconfiggere, almeno addomesticare. “Exit strategy” è un romanzo che vive la vita del protagonista e dell’autore permettendo a chi legge un percorso di analogia chiudendo il cerchio della Trilogia autobiografica con un’ultima disperata tentazione: la serena, responsabile misura.
Benedetta Tobagi “Una stella incoronata di buio” Einaudi
Manlio lavora in fabbrica fin da ragazzo; Livia studia per diventare insegnante. Quando si incontrano e si innamorano, decidono di condividere tutto: leggono e studiano insieme, insieme discutono di politica, viaggiano, ridono, lottano. Anche la mattina del 28 maggio 1974, in piazza della Loggia, sono insieme. Per puro caso, però, quando la bomba scoppia, Manlio sopravvive. Livia no. Livia muore con i loro migliori amici, Clem e Alberto, anche loro insegnanti, anche loro giovani impegnati in politica. Perdono la vita altre cinque persone, «non vittime, ma caduti consapevoli» che quella mattina di pioggia si ritrovano in piazza per il loro impegno antifascista. Da quel giorno, per Manlio Milani inizia una seconda vita tra aule di tribunali, aspettando una giustizia che non è mai arrivata, collezionando frammenti di una verità sempre incompleta. Benedetta Tobagi (il cui padre è stato ucciso il 28 maggio 1980, esattamente sei anni dopo la strage di Brescia) decide di sedersi accanto a Manlio, per provare, udienza dopo udienza, a raccontare la sua storia e quella di chi, come lui, ha vissuto quell’intensa stagione di lotte politiche e di risate, di discussioni estenuanti e di scioperi, di serate fra amici, di bombe e sotterranei tentativi di golpe. Di paura e speranze. E quando trentasei anni dopo ascolta con Manlio l’ennesima sentenza di assoluzione: «Tutti assolti per non aver commesso il fatto», capisce cosa vuol dire provare rabbia e impotenza verso chi ha nascosto e manipolato la verità. Con sguardo lucido e partecipe, l’autrice compie un viaggio nei misteri recenti della storia italiana, rivisitando il capitolo rimosso della violenza neofascista, pronta, ancora una volta, a cercare di capire cosa furono quegli anni e a fare in modo che una strage non si riduca semplicemente a un luogo e una cifra: il numero dei morti. Una strage è l’incontro con il male. Necessario è dunque continuare a interrogarsi su come è possibile sopravvivere alla ferita dell’ingiustizia che si somma alla violenza, e al senso di colpa che tormenta, paradossalmente, i sopravvissuti ma non i carnefici.