Operazione Cripto: dettagli, nomi e foto dei 18 arrestati della cosca Caridi-Borghetto-Zindato

Reggio Calabria. I Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 19 soggetti accusati, a vario titolo, di appartenere alla ‘ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata cosca Caridi-Borghetto-Zindato, operante nei quartieri Ciccarello, Rione Modena e San Giorgio Extra di Reggio Calabria. Il provvedimento cautelare emesso dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria è scaturito dall’indagine condotta dalla Compagnia di Reggio Calabria diretta dal maggiore Pantaleone Grimaldi, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ed ha interessato presunti vertici e accoliti della cosca, a vario titolo accusati dei reati di:
associazione di tipo mafioso; associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti; concorso in detenzione e porto in luogo pubblico di diverse armi da fuoco, aggravati dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso.
L’indagine ha consentito di svelare la perdurante operatività della cosca Caridi-Borghetto-Zindato, accertando che Domenico Antonio Laurendi, benché in carcere, coinvolgeva il suo intero nucleo familiare per impartire ordini e direttive facendo leva sullo stretto legame con i vertici della cosca, e prodigandosi nell’opera di assistenza e di sostegno alle famiglie dei detenuti ad egli affidati da rigide disposizioni dei capi cosca. Tale opera di assistenzialismo appare in piena sintonia con quanto già emerso in altri procedimenti, in cui si è accertato che, nell’ambito di ogni famiglia di ‘ndrangheta, esistano figure deputate a distribuire parte dei proventi delle attività illecite alle famiglie dei sodali ristretti in carcere.
Emerge in maniera indubbia dall’indagine come le famiglie di quest’ultimi siano perfettamente consapevoli del meccanismo esistente, sapendo a chi rivolgersi per ottenere somme di denaro a loro destinate.
L’indagine, quindi, permette, nel suo complesso, di ricostruire gli assetti interni alla cosca, gli equilibri esistenti e di individuare veri e propri accordi volti a stabilire chi è incaricato di consegnare il denaro e chi, invece, è deputato a riceverlo, rivelando come le somme di denaro utilizzate per il sostentamento dei detenuti vengano procurate attraverso la consumazione di altri delitti, quali il traffico di sostanze stupefacenti e i reati contro il patrimonio.
L’indagine prende le mosse a seguito della scomparsa e la successiva uccisione con conseguente occultamento del cadavere di Marco Puntorieri avvenuta nel settembre 2011. Puntorieri, soggetto prossimo al gruppo mafioso citato, era stato condotto in un luogo di campagna isolato e quindi ucciso, secondo la sentenza del processo celebrato in primo grado, da Domenico Ventura con l’ausilio di Natale Cuzzola e Domenico Condemi, tutti presunti organici alla stessa cosca.
L’indagine definisce la complessità della struttura organizzativa della cosca di ‘ndrangheta. Essa è costituita da plurimi cerchi concentrici che dal fulcro decisionale si dipartono verso l’esterno, con un progressivo mutamento del legame fiduciario tra gli associati che, in andamento centrifugo e progressivo, perde le caratteristiche di relazione solidale e condivisa, perché è inquinata, sempre di più, dalla forza intimidatoria del vertice che, anche all’interno della medesima consorteria, costituisce uno dei principali collanti del vincolo associativo. Non solo, ma l’allontanarsi dal centro decisionale della struttura associativa, accentua tra i sodali la consumazione di condotte e comportamenti antagonisti tra loro, in un clima di costante fibrillazione e diffidenza, stimolato dalla necessità di mantenere una visibilità ed una fedeltà al vertice associativo che è il connotato saliente che rassicura e tranquillizza la componente periferica dell’associazione.
Le indagini svolte su Domenico Laurendi ed i suoi familiari hanno consentito di conoscere meglio le dinamiche associative. In particolare si è accertato che i vertici associativi, ed in particolare (Francesco Zindato, il fratello Gaetano Andrea, Eugenio Borghetto, Paolo Latella, Domenico Ventura) godessero di costanti, periodici emolumenti da parte degli altri sodali, grazie alla consumazione di svariati reati connessi al traffico di stupefacenti o contro il patrimonio, in questo modo si procuravano le risorse necessarie a garantire le esigenze dei detenuti. Attraverso questo sistema i vertici della cosca mafiosa controllavano anche la gran parte della microcriminalità operativa sul loro territorio di competenza traendone un diretto beneficio economico.
La figura centrale intorno alla quale si sviluppa l’indagine è Domenico Laurendi, prossimo a Domenico Condemi, cognato insieme a Natale Cuzzola di Eugenio Borghetto detto Gino. Il suo ruolo per come emerge dalle attività era quello, in seno alla cosca, di far fronte alle consegna di somme di denaro necessarie ai più stretti congiunti del Condemi in quel momento detenuti (Eugenio Borghetto, il fratello Cosimo e Paolo Latella).
La consegna delle somme doveva essere costante e periodica “mese per mese glieli devi dare”.
Il Laurendi, inoltre, ha rapporti di natura privilegiata con Francesco Zindato, alias Checco, rapporti già conclamati nell’anno 2008 dove in una circostanza era emerso come fosse il suo accompagnatore.
Il gruppo si approvvigiona di risorse economiche attraverso il traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, reperite sui mercati illeciti di Platì e Roccaforte.
L’indagine, inoltre, consente di svelare che Carmela Nava, detta Melina, madre dei fratelli Zindato, a causa della detenzione dei figli, svolge il compito di gestire concretamente sul territorio le dinamiche dell’omonima cosca, ricomponendo i dissidi insorti tra i sodali direttamente riferibili al gruppo governato dai figli, nonché gestendo le contrapposizioni e le frizioni con gli altri gruppi di ‘ndrangheta federati con quello Zindato.

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