Bene o male, purché se ne parli. Si può sintetizzare così, prendendo in prestito un celebre detto popolare, la definizione “attention whore”, appellativo ben poco ortodosso con cui si indica chi cerca disperatamente di mettersi al centro dell’attenzione sul web, indipendentemente dalla fama che ne riceverà in cambio.
Almeno è questa la definizione contenuta su Urbandictionary.com, la guida semi ufficiale allo slang del web. Ma se ci si limita a una traduzione letterale (“ragazza in cerca di attenzione”), allora l’espressione assume una sfumatura ben più colorita e sessista, benché il termine valga, indistintamente, per uomini e donne e descriva un fenomeno piuttosto diffuso: quello della ricerca spasmodica di attenzione nel flusso costante della Rete.
Colpa di manie di protagonismo ed egocentrismo? E’ gente che non ha niente da fare e riversa un’ondata interminabile di parole e commenti su web? Non solo, anzi il più delle volte l’attention whore ha a che fare con il protagonismo e con la logorrea solo per questione di necessità. Perché se è vero che il bisogno di attenzione e di amore da parte dell’individuo è secondo solo al cibo e a un tetto sulla testa, come insegna la piramide di Maslow e la sociologia, è inconfutabile che quello che più importa a chi si insinua in tutte le conversazioni, accende la miccia delle polemiche e solleva vespai di commenti, in realtà spesso e volentieri è una cosa sola: attirare il maggior numero di click.
Il perché è presto detto. Su Internet la principale strategia di monetizzazione è legata ai numeri di click sul proprio sito e il successo o l’insuccesso di un progetto vengono valutati semplicisticamente sulla base del numero di utenti che si riescono a coinvolgere, dei likes su Facebook, dei follower su Twitter. E poco importa come viene costruita l’audience o cosa la Rete pensa di te. Tutto fa brodo, purché se ne parli.
In questa attitudine (o faremmo meglio a chiamarla strategia?) che sembra ribaltare le basilari regole della conversazione, si sta diffondendo con sempre maggiore frequenza l’uso indiscriminato dell’arma della critica usata per costruire artificialmente e scientificamente l’attenzione di una platea il più vasta possibile. Le critiche spesso sono soggettive, poggiano su valutazioni personali e non sempre confutabili, e poi solleticano la morbosità, la cattiveria gratuita, l’invidia e gli istinti più bassi e inconsapevoli dell’uomo. E questo vale dal panettiere come su Internet, anzi è vero a maggior ragione su Internet, dove basta un nick name, un profilo falso o l’anonimato per sparare a zero su chiunque ci capiti a tiro.
Anzi, non mancano addirittura i brand, le aziende o i personaggi famosi che cercano di costruirsi un profilo accattivante comportandosi da moralizzatori, da critici feroci, per celare la loro natura di attention whore.
Per cui,quando ci imbattiamo in un caso particolarmente evidente e aggressivo di criticoni da web, non stiamo a chiederci se la persona o il brand sia in cerca di coccole, di attenzione o di consenso. Niente di così romantico: nel migliore (o peggiore, dipende dal punto di vista) dei casi cerca solo click. E il minimo che possiamo fare per non stare al loro gioco…è andare avanti senza dare troppa importanza!
Alessia Cotroneo
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