Roma. Carabinieri smantellano un gruppo di matrice camorristica attivo nella Capitale: 61 arresti

Carabinieri, Roma

Carabinieri a Roma

Roma. I Carabinieri del Comando Provinciale di Roma e dei Comandi dell’Arma territorialmente competenti (rende noto un comunicato stampa dell’Arma che riceviamo e pubblichiamo) hanno eseguito una vasta operazione anticrimine per dare esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip presso il Tribunale di Roma su richiesta della Procura della Repubblica di Roma – Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di 61 persone indagate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce, commessi con l’aggravante delle modalità mafiose di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 e per essere l’associazione armata.

PREMESSA
L’operazione è stata eseguita a conclusione di un’indagine del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale Carabinieri di Roma che ha portato all’individuazione di un’organizzazione per delinquere di matrice camorristica operante nella zona sud-est di Roma in varie attività illecite, che sarebbe stata capeggiata, fino al suo arresto per associazione mafiosa e omicidio, da Domenico Pagnozzi, attualmente detenuto in regime di 41 bis. Nell’ordinanza di custodia cautelare viene riconosciuta la sussistenza del reato di associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis del codice penale per i componenti del sodalizio.
Sono in corso arresti e perquisizioni in varie località in Roma e provincia, Frosinone, Viterbo, L’Aquila, Perugia, Ascoli Piceno, Napoli, Caserta, Benevento, Avellino, Bari, Reggio Calabria, Catania e Nuoro.

L’INDAGINE “TULIPANO”
Il provvedimento restrittivo si basa sulle risultanze acquisite dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Roma nell’ambito dell’indagine convenzionalmente denominata “Tulipano” sviluppata nel periodo 2008–2012 e riguardante la presenza in Roma di un’organizzazione criminale di matrice camorristica asseritamente capeggiata da Domenico Pagnozzi e operante con metodiche tipiche delle associazioni di cui all’art. 416 bis c.p. in varie attività illecite, tra le quali, il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, le estorsioni, i reati contro la persona, il riciclaggio e il reimpiego di risorse economiche di provenienza illecita in attività imprenditoriali.
Gli elementi acquisiti nel corso di tale indagine sono stati ulteriormente integrati grazie all’indagine “Frutta e Verdura” sviluppata nel periodo 2009–2010 sempre dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo Carabinieri di Roma e riguardante attività di usura, estorsione, spaccio e traffico di sostanze stupefacenti riconducibili a soggetti collegati all’associazione mafiosa asseritamente capeggiata da Domenico Pagnozzi e con alcuni esponenti di rilievo della cosca Pelle della ‘ndrangheta di San Luca (Reggio Calabria).
In considerazione delle evidenti connessioni tra i contesti criminali oggetto delle due indagini, i due procedimenti penali sono stati unificati.
Il corposo quadro probatorio acquisito a carico degli indagati, si basa su attività tecniche e dinamiche, analisi documentale, dichiarazioni etero–autoaccusatorie di una vittima, e rilevanti riscontri acquisiti sul campo che hanno già consentito, nel tempo, di arrestare 19 persone, per un totale di 80 arresti complessivi, procedendo al sequestrando armi e ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti di vario genere (come il sequestro di circa 450 Kg tra hashish, marijuana e cocaina).

Tra gli interventi più rilevanti eseguiti dai Carabinieri nel corso delle indagini sul contesto criminale in argomento, si segnalano i seguenti:

– 04.04.2009: a Roma, arresto di G.S., presunto esponente apicale dell’omonimo clan della camorra napoletana, all’epoca resosi irreperibile per sottrarsi a un provvedimento restrittivo e nascostosi in un appartamento in zona Trastevere;

– 17.11.2009: a Roma, arresto in flagranza di reato di G.M. e R.P., con il sequestro di 360 Kg di hashish;

– 29.07.2010: a Napoli, arresto di Domenico Pagnozzi, all’epoca resosi irreperibile, benché sorvegliato speciale;

– 26.01.2011: a Binasco (MI), arresto in flagranza di reato di L.D.A. con il sequestro di 44 kg di hashish destinati al mercato locale;

– 04.03.2011: a Roma, arresto in flagranza di reato di G.C. (cl. 80), R.D.S. (cl. 69), A.D.S. (cl. 62) e S.F. (cl. 78) responsabili dei reati di sequestro di persona a scopo di estorsione e lesioni personali commessi in danno di M.C. e V.M.R.M. (cl. 68), al fine di ottenere il pagamento di 350.000,00 euro verosimilmente richiesti per una transazione di stupefacenti;

– 18.04.2011: a Roma, arresto del fratello di Domenico Pagnozzi e all’epoca irreperibile, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla Procura della Repubblica – DDA di Napoli per i reati di estorsione e rapina perpetrati nella Provincia di Benevento ai danni artigiani locali;

– 30.10.2013, presso la casa circondariale di Spoleto (PG), notifica a Domenico Pagnozzi dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere disposta dal gip presso il Tribunale di Roma, poiché ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio di Giuseppe Carlino, commesso nel 2001 a Torvajanica (Roma). Per tale delitto Pagnozzi è stato poi condannato all’ergastolo.

LA FEDERAZIONE “SENESE-PAGNOZZI” OPERANTE A ROMA

L’associazione per delinquere di matrice camorristica individuata nel corso dell’indagine “Tulipano” era asseritamente capeggiata, fino al suo arresto, dall’uomo di origine campana Domenico Pagnozzi (nato a Napoli il 20.03.1959, secondo gli inquirenti noto come “Mimì o’professore” o “Ice – occhi di ghiaccio”, già presunto elemento di spicco dell’omonima famiglia camorristica di stanza a San Martino Valle Caudina (Avellino), condannato per associazione di tipo mafioso e, di recente, all’ergastolo per omicidio, in atto detenuto al regime speciale di cui all’art. 41 bis.) e gravita nell’ambito della variegata e composita compagine criminale operante sotto l’egida di Michele Senese (nato ad Afragola in provincia di Napoli il 18.11.1957, domiciliato a Roma, noto come “o’ pazzo”. Negli anni 70 e primi anni ’80 Michele Senese, secondo gli inquirenti, era un esponente di rilievo del clan Moccia di Afragola, federatosi alla “Nuova Famiglia” di Carmine Alfieri nel corso della guerra di camorra contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo che, come noto, portò alla morte di circa 700 persone in poco più di due anni. In seguito, Michele Senese si trasferì a Roma in qualità, sempre secondo l’accusa, di organo operativo della Nuova Famiglia, contribuendo alla ricerca dei cutoliani da eliminare, rifugiatisi nella capitale. Sebbene l’affiliazione del Senese ai citati clan camorristici e la sua partecipazione a numerosi omicidi sia stata accertata in vari procedimenti, grazie anche al contributo dichiarativo di numerosi collaboratori di giustizia, negli anni, Senese ha riportato varie assoluzioni per incapacità di intendere e di volere. Dal 26.06.2013 Senese è detenuto poiché ritenuto mandante dell’omicidio di  Giuseppe Carlino avvenuto in Torvajanica in data 16.09.2001, delitto il cui esecutore materiale è risultato Domenico Pagnozzi e per il quale entrambi sono stati condannati all’ergastolo.), quest’ultimo in passato appartenente al clan Moccia di Afragola e militante nella Nuova Famiglia della camorra di Carmine Alfieri, il quale, trasferitosi a Roma negli anni ‘80, dopo la dissoluzione della Banda della Magliana, ha per anni imposto il suo potere criminale su buona parte della città, affermandosi quale leader indiscusso di un agglomerato criminale capace di aggregare sia soggetti di origine campana da anni stabilitisi a Roma, che pericolosi criminali locali e di operare sul territorio avvalendosi del metodo mafioso tipico delle organizzazioni camorristiche.
Sebbene di matrice camorristica, il clan Senese deve essere considerato un’organizzazione criminale “autoctona”, strutturata secondo un modello tipico della malavita organizzata romana e operante prevalentemente nell’area sud della Capitale, ove ha la sua roccaforte nelle zone della Tuscolana e di Cinecittà; l’autorevolezza e il carisma di Michele Senese, derivante dalla sua sanguinaria militanza camorristica, ne fa comunque un punto di riferimento per tutti gli ambienti criminali romani e gli consente di esercitare la sua influenza sull’intera città, in virtù dei rapporti di non belligeranza nel tempo instaurati con gli altri esponenti apicali della criminalità organizzata romana. In tale ambito, stante la sua caratura delinquenziale, Domenico Pagnozzi ha operato per anni in collaborazione diretta con Senese, atteggiandosi a suo “reggente” nei periodi di detenzione di quest’ultimo.
Sebbene l’esistenza di un clan Senese attivo a Roma non abbia ancora avuto un riconoscimento giudiziale, numerosi collaboratori di giustizia hanno indicato Michele Senese quale punto di riferimento sulla capitale per i clan campani, come è stato peraltro accertato nelle recenti indagini del Nucleo Investigativo Carabinieri di Roma sull’omicidio di Giuseppe Carlino, perpetrato a Torvajanica (RM) il 10.09.2001, sulla base delle quali, il 31 ottobre 2014, la Procura della Repubblica di Roma – D.D.A. ha ottenuto la condanna all’ergastolo di Michele Senese e Domenico Pagnozzi, il primo quale mandante e il secondo quale esecutore materiale del delitto (l’esecuzione del Carlino sarebbe stata disposta dal Senese al fine di vendicare l’assassinio del fratello Gennaro Senese, commesso a Roma il 16.09.1997 dai fratelli Carlino e punire questi ultimi per avere determinato un’esposizione debitoria del sodalizio di matrice camorristica capeggiato dal Senese nei confronti di altri gruppi criminali attivi nel narcotraffico internazionale, riaffermando in tal modo il prestigio e la forza intimidatrice della citata associazione per delinquere). Nell’ambito del procedimento Carlino è stata infatti riconosciuta la sussistenza dell’aggravante di cui di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, poiché il delitto fu perpetrato per agevolare l’attività dell’associazione mafiosa del Michele Senese. La realizzazione dell’omicidio Carlino contribuì infatti in modo significativo a rafforzare il prestigio criminale mafioso di Michele Senese e del suo gruppo sul territorio romano, consolidando ulteriormente il rapporto di alleanza tra questi e il gruppo camorristico di Domenico Pagnozzi con cui, secondo alcuni collaboratori di giustizia, vi era da tempo un accordo che prevedeva lo “scambio di favori di sangue” di cui la compagine camorristica romana del Senese si avvaleva per reperire i killer necessari per compiere gli omicidi sulla Capitale (sul punto il collaboratore di giustizia Clemente Massaro). Ebbene se grazie all’omicidio Carlino, il clan Senese ha potuto affermarsi tra le realtà criminali dominanti nel panorama della malavita organizzata romana, la stretta alleanza tra Michele Senese e Domenico Pagnozzi ha portato quest’ultimo a consolidare la sua presenza criminale sulla Capitale e a realizzare, in Roma, un suo autonomo gruppo criminale di matrice camorristica, federato al clan Senese e capace anche di rappresentare gli interessi dell’alleato nei periodi in cui l’azione di contrasto di autorità giudiziaria e Forze dell’Ordine ha determinato la temporanea disarticolazione della struttura posta agli ordini diretti di Michele Senese.

L’ASSOCIAZIONE MAFIOSA DI DOMENICO PAGNOZZI A ROMA

Domenico Pagnozzi ha riportato numerose denunce per omicidio, partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione di armi da guerra e clandestine ed estorsione aggravata. Negli anni ’80, militò insieme a Michele Senese nella federazione camorristica denominata Nuova Famiglia capeggiata da Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, partecipando alla c.d. guerra di camorra contro la N.C.O. (Nuova Camorra Organizzata) di Raffaele Cutolo. In tale ambito, Pagnozzi era vicino al clan dei “casalesi” di Antonio Bardellino che gli affidò il controllo della zona di San Martino Valle Caudina in provincia di Avellino, fino a Benevento. In seguito, egli è stato riconosciuto giudizialmente capo e organizzatore di un’associazione di tipo camorristico denominata “clan Pagnozzi” operante nella Valle Caudina, a Montesarchio, S. Agata dei Goti, Airola, Benevento e nella Valle Telesina e territori limitrofi.
L’indagine “Tulipano” ha evidenziato come una volta stabilitosi a Roma, Domenico Pagnozzi avrebbe qui costituito un proprio gruppo mafioso, del tutto autonomo rispetto a quello da lui capeggiato nella Valle Caudina e operante nella zona sud-est di Roma, coesistendo, in condizioni di autonomia operativa e di alleanza con il gruppo Senese, in virtù della comune matrice camorristica e della stretta vicinanza tra i due capi.
Anche l’organizzazione mafiosa capeggiata a Roma dal Pagnozzi è caratterizzata dall’integrazione tra elementi di origine campana e noti criminali romani, tanto da poter essere considerata anch’essa una realtà criminale “autoctona” che si avvale però della connotazione camorristica del suo capo e di alcuni suoi affiliati per accrescere la propria forza intimidatrice sul territorio della capitale, ove il gruppo criminale è noto come “i Napoletani della Tuscolana”; del resto, pur mutuando alcune delle caratteristiche della camorra, a Roma anche il Pagnozzi ha dovuto adottare un modus operandi più discreto al fine di adeguarlo alle peculiarità del tessuto sociale romano, profondamente diverso rispetto a quello di origine del metodo mafioso.
Per alimentare la componente napoletana del gruppo criminale romano, Pagnozzi attingeva dalla schiera di soldati del sodalizio da lui capeggiato in Campania, facendo trasferire nella capitale le persone da lui ritenute più idonee e rimandando indietro coloro che fossero risultati non adeguati all’incarico.
L’indagine ha consentito di monitorare il periodo immediatamente successivo alla temporanea uscita di scena di Michele Senese e del gruppo di suoi fedelissimi, arrestati nel 2009 con l’operazione “Orchidea” del Ros e la conseguente ascesa di Domenico Pagnozzi quale “reggente” del contesto criminale e curatore degli interessi del Senese stesso. In sostanza il Pagnozzi avrebbe occupato con la propria struttura criminale il vuoto generatosi sul territorio a seguito dell’arresto di Senese.
Nell’ordinanza di custodia cautelare viene riconosciuta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione all’associazione mafiosa promossa e capeggiata da Domenico Pagnozzi per 13 persone, che costituiscono il nucleo centrale di suoi fedelissimi, a cui si affianca la più ampia struttura del clan dedicata al traffico di sostanze stupefacenti, i cui 29 componenti individuati sono indagati del delitto di cui all’art. 74 del DPR 309/90. Entrambe le strutture sono risultate dotate di indiscusse gerarchie, rigide regole di comunicazione interna finalizzate a impedire la rilevazione della struttura criminale ad opera delle forze dell’ordine e da chiare ripartizioni dei compiti tra gli affiliati. Indiscussa la leadership del Pagnozzi.
Il traffico di sostanze stupefacenti e l’alimentazione di alcune piazze di spaccio della capitale costituisce certamente uno dei settori criminali di maggiore interesse per il clan Pagnozzi il quale ricorre sistematicamente all’intimidazione e alla violenza per risolvere le vertenze insorte con i clienti ai minori livelli della catena di distribuzione del narcotico e, al contempo, del carisma camorristico del Pagnozzi per regolare i rapporti con gli altri gruppi criminali, anche di tipo mafioso, operanti nel settore del narcotraffico. Nel corso dell’indagine è stato infatti documentato come il clan Pagnozzi rifornisse le piazze di spaccio delle zone di “Quarticciolo – Centocelle”, “Borghesiana – Ponte di Nona” e “Tor Pignattara – Pigneto” e sono state accertate numerose estorsioni e gravi atti intimidatori realizzati dai componenti del sodalizio al fine di imporre il volere del clan e di recuperare i proventi del traffico di droga.

Inoltre si è accertato come il clan Pagnozzi avesse rapporti di affari criminali con altre consorterie, anche di tipo mafioso, alcune operative sulla Capitale, altre in Campania e in Calabria. In particolare:

– clan Perreca di Recale (CE), tradizionalmente legato da un rapporto di alleanza con le famiglie Senese e Pagnozzi;

– clan camorristici Mazzarella-Formicola di Napoli, Panico di Sant’Anastasia (NA), Amato-Pagano di Napoli-Secondigliano, Pesacane di Boscoreale (NA);

– ’ndrina Albanese-Raso-Gullace di Cittanova e Laureana di Borello (RC);

– ’ndrina Molè di Gioia Tauro (RC);

– la ‘ndrina Pelle di San Luca [RC] a cui Domenico Pagnozzi risulta legato da vincolo di comparaggio con Antonio Pelle [cl. 67 in atto latitante];

– gruppo criminale facente capo alla famiglia Casamonica, operativo nella città di Roma e tradizionalmente attivo nel traffico di sostanze stupefacenti;

– gruppo criminale di Franco Gambacurta, operativo a Monte Spaccato.

Tra gli affiliati al clan Pagnozzi, indagati ex art. 416 bis c.p. merita una particolare menzione M.C., soggetto legato a personaggi della c.d. “destra eversiva” romana, da anni stabilmente inserito in contesti plurisoggettivi dediti al narcotraffico internazionale e, per tale ragione, attivo per conto del gruppo criminale nella gestione delle importazioni di droga.

M.C. godeva della piena fiducia del Pagnozzi che gli aveva affidato anche il ruolo di cassiere del clan e il compito di curare parte delle attività di riciclaggio e reinvestimento nell’economia legale dei proventi delle attività criminali del sodalizio. L’indagine ha consentito di fare luce sulle modalità di riciclaggio dei narco proventi tramite il circuito bancario, grazie a funzionari compiacenti, mediante il commercio di preziosi e orologi di pregio e in investimenti nell’economia legale. M.C. inoltre, avvalendosi di E.M., aveva ricevuto il compito dal clan di procedere in forma occulta all’alienazione del consistente patrimonio mobiliare e immobiliare del narcotrafficante romano G.V., assassinato da ignoti il 22.01.2005 a Roma e fittiziamente intestato a terze persone, circostanza che consente di ricondurre tale personaggio e la sua eliminazione nel contesto criminale Senese-Pagnozzi.
L’attività imprenditoriale nel settore dei giochi di intrattenimento ha rappresentato per il clan di Pagnozzi un’opportunità per affermarsi sul territorio e, nel contempo, ricercare nuove fonti di guadagno in grado di fornire una parvenza di liceità anche alle ingenti somme di denaro ricavate dalle altre attività delittuose che rappresentavano il core business dell’organizzazione. L’attività investigativa ha intercettato il tentativo di organizzare in modo imprenditoriale, ed il più possibile monopolizzante, il controllo della distribuzione delle slot machines in molti esercizi commerciali della zona Tuscolana – Cinecittà, ricorrendo a condotte di illecita concorrenza con violenza e minaccia, avvalendosi della forza intimidatrice riconosciuta al clan, attività che il PAgnozzi ha perseguito tramite i sodali, S.C. e F.S.
La capacità del clan Pagnozzi di inserirsi subdolamente in contesti di economia sommersa mediante l’esercizio della propria forza intimidatrice e con l’uso della violenza, acquisendo il controllo occulto di attività imprenditoriali e di risorse economiche, mediante operazioni di recupero crediti con modalità estorsive, emerge dalla significativa vicenda di un imprenditore romano vittima di usura, costretto a trasformarsi in spacciatore per fare fronte ai propri debiti e, una volta ridotto definitivamente sul lastrico, a scappare da Roma per paura di essere eliminato dal clan.
L’uomo che oggi fa il pastore, nascosto in una località lontana dalla capitale, ha reso dichiarazioni all’Autorità Giudiziaria, raccontando come i napoletani della Tuscolana, presentandosi come esponenti del clan Senese e del suo “reggente” Domenico Pagnozzi [“Mimmo – occhi di ghiaccio”] lo avevano estromesso dalla gestione del suo locale notturno sito nel quartiere romano di Settecamini a seguito dei debiti da lui contratti con A.C. usuraio della zona che si era rivolto al clan per ottenere un intervento che imponesse il recupero forzoso dei crediti vantati.

ALTRI CONTESTI CRIMINALI
I riscontri al racconto del dichiarante hanno inoltre consentito di fare luce sia sulla vasta attività di usura gestita da A.C. nella zona sud-est di Roma, che sui traffici di cocaina in cui il dichiarante si era inserito per reperire il denaro necessario per pagare i propri debiti, ricorrendo, fra l’altro, a un canale di fornitura di stupefacenti gestito da Antonio Pelle, elemento di spicco dell’omonimo clan calabrese attualmente latitante.

SEQUESTRI
Nel corso della mattina i Carabinieri di Roma hanno anche proceduto al sequestro, ai fini della confisca ex artt. 16, 18, 20, 22 e 24 D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, di beni riconducibili ad alcuni indagati, in esecuzione di decreti di sequestro emessi su richiesta della D.D.A. di Roma dal locale Tribunale– Sezione per l’Applicazione delle Misure di Prevenzione nei confronti delle Persone Pericolose:

– 12 esercizi commerciali (tra cui 3 bar, un distributore di gas, un locale notturno, 2 autosaloni, 2 ristoranti, una rivendita di prodotti per animali, un negozio di orologi, un negozio di rivendita di frutta e verdura)

– 30 immobili, di cui 28 a Roma e provincia, uno a San Martino Valle Caudina (AV) ed uno a Isola di Capo Rizzuto, per un valore stimato di 4,8 milioni di euro;

– 222 rapporti finanziari/bancari;

– 72 veicoli, per un valore stimato di 766 mila euro;

– 20 società titolari di parte dei suddetti beni (per un valore complessivo delle quote societarie pari a circa 2.245.000,00 euro).

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