Reggio Calabria. Nel nobile intento di ridestare la sensibilità di una società in letargo, attraverso l’azione rigenerante della poesia, l’Associazione Anassilaos ha organizzato una maratona di incontri che continueranno ad allietare l’estate reggina che volge quasi al termine. Introdotto dalla prof.ssa Pina De Felice, e magistralmente “analizzato” dalla prof.ssa Francesca Neri, all’interno dell’intima cornice del Chiostro di San Giorgio al Corso, abbiamo avuto il piacere di conoscere l’ultima produzione del poeta Rocco Nassi, originario di Bagnara. Con la raccolta “U ricriju r’u me’ cori” (Disoblio Edizioni), presenta degli spaccati caratteristici dei luoghi e momenti di sentimentale, e – a tratti – amara, riflessione.
Perché esprimersi in dialetto? E perché utilizzare un codice linguistico antico per comunicare?
Perché il dialetto è il custode dell’animo popolare che racchiude la cultura identitaria delle genti di un determinato luogo; il dialetto quindi, seguendo il filone letterario della seconda parte del XX secolo, diviene lo strumento di riabilitazione della memoria storica ed etnica. Solo attraverso la stesura dialettale, Rocco Nassi, riesce, infatti, ad esprimere l’amore per la sua terra, “sugnu nu stortu che parra d’amore”, decantando la bellezza selvaggia del paesaggio della terra Calabra, la semplicità delle sue genti, il legame indissolubile con il mare, inteso come maestro di vita, ed il timore per il futuro.
Il poeta, spettatore dei cambiamenti che la comunità di Bagnara ha attraversato nella trasformazione da società rurale a società globalizzata, invita alla riflessione sul futuro attraverso la visione disincantata del mondo da parte di un «io» “figghiolu” accompagnato nel suo viaggio di osservazione ed analisi dal Nassi – uomo adulto.
Un percorso che individua nel «’mparai» un punto saldo di riferimento per la riflessione sulla presa di responsabilità nei confronti di se stesso, del prossimo e rispetto al mondo, ma al tempo stesso pervadendo il lettore da una sottesa aura di ottimistica speranza «a da passà a nuttata!». Il fermo-immagine su alcuni momenti, su alcune sensazioni e sentimenti possono essere resi solo attraverso la lingua che appartiene a quel determinato ambito, ecco che, in questi termini, il dialetto viene inteso come una “lingua privata”, intima ma, soprattutto, libera dalle gabbie della “grammatizzazione”, una tale modalità espressiva consente un’analisi ricca di una “corporalità” descrittiva di cui la lingua sorella, italiana, è quasi assolutamente priva.
Nonostante il fatto che la lingua dialettale possa però sembrare libera dalle “catene” che affliggono la scrittura, dalla lettura dei versi si evince in modo più che evidente una ricerca di perfezione, metrica e di stile che denota un percorso di studio appassionato ed approfondito. Il lettore viene accompagnato dalle accurate note del Prof. Martino, che guida abilmente alla comprensione del testo, laddove i passaggi possono apparentemente sembrare più ostici.
Rocco Nassi ha “il merito” di non essere un poeta di professione, è un appassionato e in piena ed assoluta consapevolezza sceglie di scrivere in dialetto perché solo attraverso questa modalità espressiva trova la gioia nel comunicare. Non nuovo al panorama poetico moderno, ha infatti vinto il 1° premio – sezione vernacolo – nella manifestazione “Poesia d’Estate” edizione 2014, con “Bagnarota”, ripetendo il podio quest’anno con una video-poesia.
Monica Bolignano