Reggio Calabria. In memoria di Khaled al-Asaad, Direttore del sito archeologico di Palmira, martire per la cultura. Quando si assiste a una conferenza non capita spesso di essere travolti da un flusso emozionale che lascia l’uditore, da un lato, “cullato dal racconto” e, dall’altro, quasi ipnotizzato dalle immagini che vengono proiettate. Ciò dipende, senza ombra di dubbio, dal pathos che il relatore riesce a trasmettere ed è assolutamente indipendente dalla sua preparazione tecnica, quanto dal “fervore sentimentale” per l’argomento trattato. Un viaggio che, attraverso l’attento entusiasmo di chi, estimatore di un determinato artista, consente anche all’ascoltatore più “lontano” di apprezzare opere che senza un’adeguata guida apparirebbero solo delle “belle tele di valore”.
Un piccolo miracolo che si è verificato dentro le mura del Chiostro della Chiesa di San Giorgio al Corso grazie a Salvatore Timpano, del Comitato Scientifico del CIS, che, in occasione delle manifestazioni per l’80° anniversario dell’inaugurazione del Tempio della Vittoria, ha regalato all’attenta platea un excursus della vita di Antonello da Messina.
Come è noto sono pochissime le informazioni biografiche attendibili di cui siamo in possesso, e queste sono state reperite per lo più a contrario (grazie, ad esempio, all’indicazione dell’età della morte si è risaliti all’anno di nascita, Vasari) o per il tramite di indicazioni reperite nei documenti (commessa di un “confalonem” 1457).
Senza dubbio gli aspetti della vita di un così grande artista sono importanti ma, certamente, appaiono assai più interessanti le ipotesi relative ai suoi “viaggi di studio”, intesi come il percorso formativo che hanno portato il giovane Antonello a diventare un artista di spessore che ha lasciato un’impronta profonda nel panorama artistico del suo tempo. Uno studio che trova il suo punto di partenza dai confronti tra le tele dello stesso Antonello e di coloro che, direttamente o indirettamente, sono stati a contatto con lui.
È noto che Antonello ha iniziato il suo percorso formativo presso la bottega del Colantonio, ed in questo senso si spiega la suggestione del giovane pittore dagli influssi della Scuola Fiamminga, ancora oggi si pensa di “accantonare” l’ipotesi di un suo materiale viaggio nelle Fiandre, sebbene nessuno possa effettivamente escluderlo.
Probabilmente è proprio nel contesto napoletano (regnante Renato d’Angiò nda) che Antonello trasse il più vigoroso alimento per la sua ispirazione grazie alla visione diretta delle grandi opere di Van Eyck, Van der Weyden. Sebbene bisogna precisare che le ispirazioni fiamminghe rimasero per sempre alla base della sua espressività, intesa come gusto per la rappresentazione “realistica” (la preziosità dei gioielli, delle vesti e delle trame, la ricchezza e la estrema cura dei dettagli – Madonna Salting) una delle fondamentali svolte nel suo percorso di maturazione arrivò nel momento in cui la sua esperienza venne “contaminata” da Piero della Francesca. Questo “incontro” gli consentì di chiarire i concetti della visione prospettica rassodando i volumi delle figure ed, in qualche caso, forzandoli dentro schemi geometrici (San Sebastiano – Dresda). Ecco che le produzioni antonelliane divengono prospetticamente regolari e chiarissime divenendo, per l’attento osservatore, capolavori supremi d’intensità poetica ineguagliabile.
Ma non sfugge l’attenzione del pittore nella rappresentazione dei paesaggi (Crocifissione di Sibiu), visioni attraverso cui la prospettiva lineare mirabilmente si allea a quella aerea formando immagini dal colore avvolgente, denso e profondo talmente sostanzioso che sembra di guardare, seppur con le cautele del caso, una fotografia. Altro elemento fondamentale che è stato “domato” dal pictor è senza dubbio la luce, che sembra essere modellata per incorniciare e fare risaltare quando, e quanto, è necessario i suoi splendidi ritratti (Uomo di Cefalù). La “lettura” delle opere evidenzia anche il ricorrente impiego del simbolismo, teschi, frutta, piante ed erbe che coadiuvano l’autore nella comunicazione del messaggio, o del monito, elemento portante della tela (San Girolamo nello studio).
Attraverso questa analisi ci viene presentato un “nuovo” Antonello da Messina, “un italiano che dipingeva da fiammingo, con la ricchezza del colore e luce dei grandi veneti e la prospettiva geometrica di Piero della Francesca. Il merito del Messinese si trova nell’essere riuscito ad impersonare la “cerniera” tra la cultura dell’Italia centrale e meridionale” assorbendo come una spugna le linee caratteristiche delle diverse scuole con cui è venuto in contatto ma riuscendo a “rielaborare gli stili in un’interpretazione personalissima realizzando un perfetto equilibrio tra l’analitica ricerca fiamminga e la monumentalità solenne della pittura italiana”.
Monica Bolignano