Riace. Lucano accoglie i superstiti dell’ecatombe libica. Stoccate a Oliverio e Falcomatà

Mimmo Lucano

Mimmo Lucano

di Francesco Paolillo

Riace (Reggio Calabria). Presto accoglierà 26 sopravvissuti all’ecatombe libica dello scorso agosto, quando vennero recuperati oltre 200 corpi a largo di Zuwara. Riace è così. Terra di solidarietà, integrazione e inclusione. E’ la formula pensata da Mimmo Lucano, sindaco in trincea che, dal 2004, ha rilanciato il proprio territorio aprendo le porte a rifugiati e richiedenti asilo. Un neo-umanesimo che ha catturato l’interesse di mezza Europa. Lucano non conta più i giornalisti tedeschi che da sempre lo contattano. Infiniti, infatti, sono i reportage pubblicati in decine di riviste estere e mandati in onda in altrettante tv oltre confine. Di recente, il sindaco ha relazionato tre volte a Berlino (una volta ospite del ministero degli Esteri tedesco), a Francoforte e a Monaco di Baviera di fronte ad oltre mille persone. Un costruttore di pace, nel vero senso della parola, apprezzato altrove e, come spesso accade, trascurato nella propria terra.
Lucano ricorda che sta ancora “aspettando una telefonata dal Governatore Mario Oliverio”, nonostante la Regione ultimamente abbia lavorato ad un protocollo incentrato sull’accoglienza. “L’ho chiamato – racconta il sindaco – ricordandogli la legge del 2009 su richiedenti asilo, rifugiati e sviluppo sociale, economico, culturale delle comunità locali e sulle cose buone che si possono costruire intorno a quel provvedimento. Mi promise che m’avrebbe ricontattato. Sono sempre qua”.
E nel calderone delle critiche finisce anche Giuseppe Falcomatà: “Chi? Il sindaco di Reggio? Non l’ho mai visto, né c’ho mai parlato. Non so come sia fatto”. Lucano, inconsapevolmente, smonta uno dei tasselli della campagna elettorale dell’allora aspirante inquilino di Palazzo San Giorgio che voleva gestire il flusso di migranti provando a ripopolare l’entroterra reggino. Ovvero, quello che fa il primo cittadino riacese, con mille difficoltà, da oltre un decennio. Nella sua comunità, infatti, coesistono italiani, eritrei, pakistani, somali, afghani, uomini, donne e bambini fuggiti dalle guerre e dalle miserie. Lavorano al telaio, ai fornelli, nei laboratori di ceramica e del vetro soffiato, portano in giro gli asinelli che qui sono utili alla raccolta differenziata “porta a porta”. Adesso, però, il sindaco vuole alzare l’asticella investendo nell’agricoltura e nella zootecnia: “Vorremmo creare una grossa piantagione di girasoli in un terreno confiscato alla ‘ndrangheta ed estrarne l’olio in modo da avviarne il commercio attraverso la costituzione di cooperative”. Una coltura capace di soddisfare l’estetica del paese e dell’esistenza dell’uomo. Ma soli “non ce la possiamo fare”. “Abbiamo bisogno – dice Lucano – del contributo di tutti quelli che vogliono continuare a far vivere il nostro piccolo grande sogno”.
Per realizzare tutto questo, il Comune fa sponda coi fondi messi a disposizione dalla rete Sprar del Ministero dell’Interno. E se i soldi non arrivano – perché le lungaggini burocratiche spesso non coincidono coi bisogni della quotidianità – Lucano s’è inventato una moneta locale, banconote che i migranti usano per fare la spesa e che funzionano come dei buoni pasto. Quando arriveranno le risorse del Viminale, i commercianti andranno a riscuotere le loro spettanze. Insomma, ancora una volta, da Riace sembra arrivare un monito a quell’Europa avviluppata nel cercare una soluzione ad un fenomeno immane nelle proporzioni che, se gestito attraverso il buon senso e la giusta programmazione, può comunque diventare una risorsa.

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