‘Ndrangheta. Operazione Sistema Reggio: concorrenza a suon di bombe

Reggio Calabria. La concorrenza a Santa Caterina si regolava con le bombe, le minacce e le intimidazioni. Due bar distanti poco più di cento metri non potevano esistere e la sfida non si faceva sulla qualità del prodotto o sui prezzi scontati, la partita si giocava a stretto contatto con i vertici delle famiglie mafiose che dominano la zona nord di Reggio Calabria. La storia dell’ex “Bar Malavenda”, storica vetrina ubicata a Santa Caterina, è sintomatica di come si muove l’economia a Reggio Calabria. Chi vuole aprire un’attività commerciale, prima di ogni cosa deve sapere smuovere i “Santi” giusti. Se, poi, la nuova attività deve aprire i battenti a pochi passi da quella in mano a un altro casato, allora la cosa si complica. Si deve aprire una trattativa con i “signori” del posto, si deve trovare la “quadra giusta” e scomodare anche i mammasantissima della ‘ndrangheta, come è successo per la vicenda dell’acquisizione dell’ex “Bar Malavenda” che ha visto l’interessamento e registrato il placet dell’avvocato Giorgio De Stafano: “il massimo” della criminalità organizzata reggina.
La vicenda, ricostruita dai magistrati della Dda reggina nelle carte dell’inchiesta “Sistema Reggio”, ha visto come protagonisti prima Antonino Nicolò (ritenuto dall’accusa vicino ai Serraino), il quale dopo un duplice attentato ha ceduto in locazione il bar a Carmelo Salvatore Nucera (quest’ultimo definito dagli investigatori una sorta di imprenditore colluso) e Mario Vincenzo Stillitano (ritenuto dall’accusa un soggetto vicino ai Condello). Nicolò prima e Nucera poi avevano scelto di investire nel recupero dell’ex “Bar Malavenda”, mentre l’altro – di fatto gestore del “Fashion Cafè” – non ne voleva sapere di avere concorrenti in zona anche per un contrasto sorto con il precedente titolare dell’esercizio commerciale di via Santa Caterina.
E’ la loquacità della figlia di Carmelo Salvatore Nucera, intercettata in ambientale dagli uomini della Squadra mobile di Reggio Calabria, ad aprire la pista investigativa giusta per capire le dinamiche criminali della zona nord della città. “Non vuole, lui non vuole – dice la donna riferendosi al diniego di Mario Vincenzo Stillitano alla riapertura dell’ex Malavenda – perché là sopra il bar, ha detto non se ne devono più aprire, perché ci deve essere solo lui”. E’ sempre la ragazza a far capire ai magistrati della Dda reggina che la vicenda era stata chiusa dal padre e quale fosse stata la via seguita per dirimere i dissidi. “Siccome ha parlato con gente molto più importante di lui – dice mentre le microspie piazzate dalla Mobile registrano tutto – non contano niente. Mio padre se ne fotte, lui lo apre lo stesso”. “La giovane – si legge nelle carte dell’inchiesta – sottolineava che il padre ormai ne aveva fatto una questione di orgoglio personale, al punto che di fronte al rifiuto dei germani Stillitano il Nucera era intenzionato ad aprire il nuovo locale ed aveva disposto alla figlia di portare avanti la sua causa anche se il padre fosse rimasto vittima di un agguato mortale, avendole lasciato non solo i capitali necessari per avviare il bar ma anche quelli per vendicarsi dell’eventuale omicidio del genitore”.
Il piano per la vendetta era pronto, l’imprenditore aveva messo da parte dieci mila euro per assoldare un “serial killer” e giustiziare la concorrenza. “E ora è diventata una sua cosa … e deve aprire anche se dicono di no – si legge infine nell’ordinanza di custodia cautelare – e se lo ammazzano m’ha detto che lo devo aprire lo stesso… che mi ha lasciato i soldi. Mi ha detto ci sono i soldi da parte e lo devi aprire lo stesso … e voglio la vendetta … ti lascio 10.000 euro e vai da un serial killer per farli ammazzare”.

Giovanni Verduci

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