Reggio Calabria. Il “Sistema Reggio” era complesso e sottile allo stesso tempo. Le cosche avevano deciso come spartirsi la città senza farsi la guerra e, soprattutto, senza attirare le attenzioni di magistratura e forze dell’ordine. Niente bombe, per intimidire gli imprenditori e “farli ragionare” bastava la fama da duro del reggente di turno. La zona nord della città dello Stretto non poteva sfuggire al controllo dei De Stefano e dei Condello, anche in assenza dei boss ristretti al carcere duro o dei luogotenenti finiti dietro le sbarre.
I commercianti, in cerca di “garanzie ambientali” come sottolineato dagli investigatori della Squadra mobile nell’ordinanza di custodia cautelare notificata all’alba, sapevano a chi rivolgersi per operare tranquillamente nella zona di Santa Caterina. Le famiglie di ‘ndrangheta, invece, sapevano come muoversi per non fare rumore.
A spiegarlo è il giovane collaboratore di giustizia Enrico De Rosa. La pressione intimidatrice veniva esercitata senza clamore, in maniera moderna e sottile. “Il lavoro che facevano – come ha spiegato Enrico De Rosa al sostituto procuratore Stefano Musolino che lo ha interrogato – è ancora più sottile, perché loro entravano dentro le aziende, loro entravano dentro le strutture, loro si facevano amici le persone che stavano da lì a poco per estorcere, quindi erano proprio loro, quindi loro erano una cosa molto più sottile”. Un lavoro di fino, un atteggiamento da “principi del rione”, parola di Enrico De Rosa. Bastava semplicemente la fama da cattivo del boss di turno. Niente intimidazioni eclatanti, per lavorare in pace a Santa Caterina bastava parlare con la persona giusta e accordarsi sul prezzo della mazzetta da versare.
Giovanni Verduci