‘Ndrangheta. Il procuratore Dna Roberti propone: corruzione in aggravante mafiosa 416 bis

da sinistra: Gratteri, Roberti, Cafiero De Raho

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La criminalità organizzata è cambiata. Non spara più, si inabissa per sfuggire alle indagini. La ‘ndrangheta, la più potente organizzazione mafiosa operante sul territorio nazionale, corrompe, avvicina, collude. Con il suo potere economico e militare è capace di influenzare le scelte degli amministratori pubblici, con l’unico obiettivo di accaparrarsi gli appalti pubblici e amplificare la propria ricchezza all’infinito.
Davanti a una criminalità organizzata mutevole, per affinare il suo contrasto, sono necessarie leggi moderne e sempre più efficaci. Ne è convinto Franco Roberti, il capo della Direzione nazionale antimafia che, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso, ha messo nero su bianco qual è una delle emergenze cui dare risposta. Sotto la lente della Dna è finito il fenomeno della corruzione: un grave reato contro la pubblica amministrazione ed un “gravissimo reato contro l’economia”. Per meglio contrastare l’evoluzione delle pratiche corruttive per Franco Roberti c’è una strada semplice da seguire: collocare nell’articolo 416-bis, settimo comma, l’aggravante specifica della corruzione.

Per il capo della Direzione nazionale antimafia, che ha presentato una proposta normativa alla presidente della Commissione Rosi Bindi, la previsione sarebbe da applicare ogni qual volta “si dimostri che la corruzione è stata per l’associazione mafiosa che viene perseguita, lo strumento per acquisire appalti, commesse, vantaggi economici o addirittura per influenzare la scelta dei soggetti che determineranno l’acquisizione di questi benefici”.
Lo Stato deve potenziare i suoi anticorpi perché la corruzione, quando si incrocia con la mafia, “è un reato devastante”. «Quando si incrocia l’associazione mafiosa con la corruzione – spiega Roberti – si constata che la corruzione fa parte a pieno titolo del metodo mafioso. Oggi si spara meno, le statistiche degli omicidi sono precipitate negli ultimi anni, non perché le mafie non esistano più, ma perché le mafie corrompono di più, preferiscono pagare piuttosto che sparare». Per il Procuratore nazionale antimafia, poi, quando «la corruzione quindi fa parte del metodo mafioso, segna l’evoluzione delle mafie nel nostro Paese da quelle che erano a quelle che sono, più inclini a corrompere, a pagare e a riciclare piuttosto che a uccidere e a imporre con la forza di intimidazione».
Una mutazione genetica che non cambia di molto l’essenza della criminalità organizzata, soprattutto di quella calabrese. «Del resto, come dice benissimo la Cassazione su Mafia capitale – conclude Franco Roberti – non è che la forza di intimidazione e il vincolo associativo non ci siano più: c’è nel patrimonio associativo una riserva di violenza, per cui l’organizzazione mafiosa corrompe, avvicina, collude, influenza le scelte dei soggetti che all’interno delle pubbliche amministrazioni possono poi decidere gli appalti e le attribuzioni alle varie imprese di interesse, determina quindi collusione e corruzione e tiene la riserva di violenza come garanzia del rispetto dei patti corruttivi. Questa è la mafia oggi».

Giovanni Verduci

nella foto: Franco Roberti al centro tra Nicola Gratteri (a sinistra) e Federico Cafiero De Raho (a destra)

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