Reggio Calabria. “La ‘ndrangheta ha il pieno dominio del territorio e pertanto su ogni operazione immobiliare, compravendita, e per il fatto che terzi abbiano disponibilità di un fondo, trae guadagni illeciti. Chi dice il contrario, mente sapendo di mentire. Tutti si piegano alle richieste estorsive delle cosche per evitare guai peggiori” . Sono le parole di Domenico Luppino, ex sindaco di Sinopoli e responsabile della cooperativa sociale “Giovani in vita”, a rendere chiaro lo stato di sottomissione che la potente cosca Alvaro è riuscita a imporre su tutto il suo dominio criminale. Qui, in un territorio stretto fra la Piana di Gioia Tauro e la città dello Stretto, gli Alvaro hanno costituito il proprio “principato” e lo governano con la forza dell’intimidazione. La gente è psicologicamente sottomessa, non denuncia perché sa di poter incappare nella feroce vendetta di Nicola Alvaro e della sua famiglia. Agli Alvaro basta una battuta ben indirizzata per ottenere il giusto ritorno. Così tutti pagano per stare sicuri, per non avere problemi di nessun genere, per evitare intimidazioni e danneggiamenti. I proprietari terrieri subiscono la guardiania degli Alvaro sui propri terreni, pagano una tangente e sanno che, prima o poi, quel terreno uscirà dalla propria disponibilità per finire in quella della cosca sinopolese.
E’ questo il quadro che emerge dall’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e condotta dai Carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria. Un’indagine, seguita passo dopo passo dal procuratore Federico Cafiero de Raho e dal suo aggiunto Gaetano Paci, dal colonnello Lorenzo Falferi, comandante provinciale dell’Arma, dal tenente colonnello Vincenzo Franzese (comandante del reparto operativo) e dal tenente colonnello Alessandro Mucci (comandante del nucleo investigativo), che ha portato all’arresto di quattro persone: tre a vario titolo indagate per estorsione aggravata, ed una per associazione mafiosa.
Il costo della guardiania che sarebbe stata imposta da Nicola Alvaro sui proprietari terrieri di Sinopoli, secondo quanto raccontato ai pubblici ministeri da un proprietario finito nella morsa della potente famiglia mafiosa, era di 400/500 euro da pagare trimestralmente. Naturalmente nessun bonifico, solo denaro contante chiuso in una busta o fermato con un elastico. Pagare poco per far pagare tutti, sarebbe stata questa la “politica” degli Alvaro. Un meccanismo che non sarebbe mai inceppato, neppure quando “Cola” è finito dietro le sbarre. Chi finiva nel mirino della cosca, infatti, non smetteva di pagare l’obolo trimestrale, cambiava solo il destinatario finale. Con il capo famiglia dietro le sbarre ad assolvere il compito di cassiera del clan, per gli investigatori dell’Arma, sarebbe stata Grazia Violi: la moglie di Nicola Alvaro.
Oggi, però, qualcosa si è inceppato in questo meccanismo perverso. Le cosche patiscono continui “tradimenti” da parte di picciotti che scelgono di vestire la maglietta dello Stato. La gente inizia a non sopportare più queste vessazioni, prova a ribellarsi. Magari non denuncia ma, quando viene chiamata dai magistrati, risponde senza reticenza alle domande poste dagli investigatori e dagli inquirenti.
Il gip Nicolò Marino nella sua ordinanza ha ripreso un passo della richiesta del Pm per mettere in luce il comportamento di uno dei proprietari che sarebbero stati taglieggiati dagli Alvaro. “E’ stato un bell’esempio di cittadino – si legge nelle carte dell’inchiesta – perché ancorché non abbia mai spontaneamente denunciato le vessazioni dalla ‘ndrangheta subite, per l’evidente timore di subire pesanti atti ritorsivi, convocato dall’Autorità giudiziaria, pur esternando il suo timore, non si è trincerato dietro un secco no o un non ricordo, come spesso avviene allorquando, in questa terra, i magistrati prendono contatti diretti con le vittime di reato”. Ed ancora: “non denuncia, ma appositamente convocato e avvertito dell’obbligo giuridico di dire il vero, non è reticente né rende dichiarazioni non veritiere. Alle domande del Pm risponde nitidamente, con precisione e con dovizie di particolari, non sottacendo la difficile condizione di essere cittadino calabrese in Calabria”.
Cittadino di una terra in cui si subisce, quasi mai si denuncia, ed “il più delle volte si nega di subire”. Una terra che sta provando a cambiare, anche attraverso il comportamento di chi, come il proprietario terriero sentito dai magistrati della Dda reggina, “non denuncia ma, se non altro, non occulta”.
Giovanni Verduci