Reggio Calabria. Vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso, all’estorsione, all’intestazione fittizia di beni, aggravati dalle modalità “mafiose”, i reati a vario titolo contestati dai sostituti pm Rosario Ferracane, Giuseppe Lombardo, Luca Miceli e Stefano Musolino, ai sette indagati nell’ambito dell’operazione Fata Morgana che sono stati sottoposti dalla Procura della Repubblica Direzione distrettuale antimafia a fermo di indiziato di delitto.
I sette indagati sono Paolo Romeo, nato a Reggio Calabria, cl. 47; Natale Saraceno, nato a Reggio Calabria, cl. 63; Giuseppe Chirico, nato a Reggio Calabria, cl. ’60; Antonio Marra, nato a Reggio Calabria, cl. ’55; Emilio Angelo Frascati, nato a Reggio Calabria, cl. ’56; Antonio Idone, nato a Cannitello di Villa San Giovanni, cl. 51; Domenico Marcianò, nato a Reggio Calabria, cl. 83.
L’accusa di associazione mafiosa
Nel dettaglio, il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso (la contestazione riguarda l’anno 2014 e con condotta permanente fino alla primavera del 2015) è ipotizzato, con le aggravanti dell’associazione armata e dell’utilizzo della attività delittuosa per finanziarie le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere o mantenere il controllo, nei confronti di: Frascati, Marra, Saraceno, Chirico e Marcianò.
Secondo i magistrati della DDA diretta dal procuratore capo Federico Cafiero De Raho, Frascati Emilio Angelo, avrebbe fatto parte della cosca Libri e, al termine della guerra di mafia si sarebbe posto quale imprenditore espressione della ‘ndrangheta nel settore della grande distribuzione alimentare e, più in generale, dell’imprenditoria, sganciato dall’ambito territoriale e criminale originario;
Chirico Giuseppe, si sarebbe posto quale imprenditore espressione della ‘ndrangheta nel settore della grande distribuzione alimentare, e in particolare avrebbe usufruito di un costante e continuativo appoggio della cosca Tegano e della cosca Condello, operante nel quartiere di Gallico, per poi ampliare gli interessi anche al di fuori del quartiere di Gallico, infiltrandosi nel settore delle aste immobiliari;
Saraceno Natale, avrebbe fatto parte già della cosca De Stefano–Tegano, quindi al termine della guerra di mafia si sarebbe posto quale commercialista e consulente al servizio dell’imprenditoria espressione della ‘ndrangheta o ad essa contigua;
Marra Antonio sarebbe uno stabile e continuativo consigliere di Frascati Emilio Angelo, al fine di garantirne la capacità di espansione e di infiltrazione dei sistemi economici ed imprenditoriali;
Marcianò Domenico, sarebbe il dirigente della ramificazione della cosca Condello dedita al controllo del territorio, alla pratica dell’intimidazione, al collegamento con altri pari esponenti di altre cosche, alla detenzione delle armi.
L’accusa di intestazione fittizia di beni del Circolo Pescatori Poseidon
Il reato di intestazione fittizia di beni, aggravato dalle finalità mafiose, è ipotizzato (sino all’anno 2014) nei confronti di Romeo, Saraceno, Marra e Idone.
Secondo l’accusa i quattro, in concorso tra loro, Romeo in qualità di gerente e dirigente sostanziale dell’associazione, Saraceno quale suo consigliere, Marra quale concorrente morale coinvolto nella individuazione del soggetto a cui intestare il ruolo di rappresentante dell’associazione, e Idone quale procacciatore di finanziamenti dagli enti locali, avrebbero attribuito fittiziamente la rappresentanza formale del Circolo Pescatori Poseidon A.S.D.,con sede in Reggio Calabria in via Arenile Gallico, a soggetti terzi, al fine di celare il ruolo di determinatore delle scelte e degli indirizzi dell’associazione e la sua riferibilità sostanziale alla persona di Paolo Romeo, condannato in via definitiva per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ed eludere così la misura di prevenzione inibitoria.
Fatti aggravati, sostiene la Procura, in quanto funzionali ad agevolare l’infiltrazione della ‘ndrangheta nelle relazioni profittevoli con la Pubblica Amministrazione e con la politica, consentendo al Circolo Pescatori Posidonia A.S.D. di percepire lauti contributi pubblici, grazie ai quali svolgere attività che consentivano a Paolo Romeo di restare baricentrico nella vita politica e nelle relazioni con gli enti locali, influenzandone le scelte e le determinazioni, in maniera osmotica agli interessi ed alle strategie della ‘ndrangheta di cui egli sarebbe referente di massimo rango, stabilmente dedito, anche, a tale compito.
L’accusa di intestazione fittizia di beni della “Center Fruit srl”
Il reato di intestazione fittizia di beni, con l’aggravante della finalità mafiosa, è ipotizzato (la contestazione è per un fatto del 25 febbraio 2015) nei confronti di: Saraceno e altri due indagati, M.S. e D.A.. Secondo l’accusa, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, M.S. per il tramite e il contributo professionale di Natale Saraceno, commercialista di fiducia di M.S. e di D.A., si sarebbe attribuito fittiziamente la titolarità del 99% delle quote della “Center Fruit srl”, in cui sarebbe stato socio occulto D.A., genero di Pasquale Tegano.
L’accusa di estorsione
Il reato di estorsione, aggravato dalla finalità mafiosa, è ipotizzato nei confronti di Romeo, Chirico e Idone. Romeo nella qualità di dirigente sostanziale del Consorzio dei commercianti della Perla dello Stretto, di cui formalmente era consulente; Chirico nella qualità di consorziato, Idone nella qualità di project manager incaricato. Secondo l’accusa i tre in concorso avrebbero costretto una coppia di coniugi titolari di un esercizio commerciale sito all’interno del centro commerciale Perla dello Stretto, a sottoscrivere un atto di modifica del consorzio, conseguendo un ingiusto profitto.
Fabio Papalia