Reggio Calabria. Volevano “mangiarsi Roma” e per farlo avrebbero dato vita a una rete di politici amici. La cosca “Raso–Gullace–Albanese”, per i magistrati della Dda di Reggio Calabria e gli investigatori dello Sco della Polizia di Stato e della Squadra mobile di Reggio Calabria, poteva contare sul senatore Antonio Caridi per risolvere i propri problemi e incrementare i propri affari. E’ un’intercettazione telefonica fra alcune delle persone indagate nell’inchiesta “Alchimia” ad aprire questo scenario agli investigatori. Sullo sfondo c’è Roma e gli appalti milionari che ruotano attorno alla Capitale, dai trasporti ai rifiuti. “Nella famiglia – si legge nelle carte dell’inchiesta – tutti erano al corrente e consapevoli delle manovre corruttive in atto nei confronti dei politici”.
Per prendersi Roma la cosca, secondo gli inquirenti reggini, avrebbe potuto contare sulla disponibilità di Antonio Caridi, senatore calabrese, e del deputato Pino Galati (per i quali il gip ha rigettato la richiesta di misura cautelare con diverse motivazioni, nel primo caso perché le accuse sarebbero assorbite da quelle della recente operazione Mamma Santissima, nel secondo caso invece il gip non ha ritenuto sussistenti gli elementi per accogliere la richiesta della DDA che ipotizza il reato di corruzione aggravata).
L’ipotesi accusatoria per l’ex assessore regionale alle Attività produttive è molto più grave. Per i magistrati che hanno curato l’inchiesta “Alchimia” fra il politico e la ‘ndrangheta ci sarebbe un “complesso, dinamico e consolidato ménage”. In questo senso i pubblici ministeri della Distrettuale antimafia sono stati caustici, il senatore sarebbe un “politico di ‘ndrangheta”. Tanto che, argomentano i pm, quando il rappresentante della cosca contatta “l’amico Caridi”, quest’ultimo risponde “sono ai vostri ordini”.
La cosca della Piana di Gioia Tauro si sarebbe spesa elettoralmente per sostenere la carriera politica dell’ex assessore comunale di Reggio Calabria. Tanto da minacciare licenziamenti fra i dipendenti delle aziende guidate e, all’esito del conteggio dei voti raccolti da Antonio Caridi alle regionali del 2010 nei seggi di Cittanova e delle discrepanze fra i voti promessi e quelli ottenuti, procedere a “punizioni” professionali nei confronti di coloro che non avevano rispettato “l’ordine di voto”.
Per gli uomini di Renato Cortese e Francesco Rattà, infine, il senatore reggino (che attende le decisioni della giunta per le autorizzazioni in merito alla richiesta di arresto avanzata all’esito dell’inchiesta “Mamma santissima”) era “a disposizione” delle cosche.
Giovanni Verduci