‘Ndrangheta. Relazione Dia: controllo sul “mercato interno” e affari su quello “estero”

Direzione investigativa antimafia

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Reggio Calabria. La ‘ndrangheta, holding criminale per eccellenza, guarda al “mercato interno” per tenerlo sotto asfissiante controllo, ma punta a quello “estero” per fare affari e moltiplicare all’infinito le sue capacità finanziarie. Il suo “bilancio consolidato”, come scrivono gli 007 della Direzione investigativa antimafia nel rapporto sull’attività di controllo del fenomeno criminale calabrese riferita al secondo semestre del 2015 da poco presentato in Parlamento, dipende in larga parte dai proventi derivanti dalle attività criminali svolte lontano dalla propria regione d’elezione e, soprattutto, dalla “voce estero”.
Pugno duro e guanto di velluto. Il doppio volto delle cosche calabresi non è più un mistero. La crescita esponenziale del tesoro dei boss per la Dia ha una base solida nella “rete relazionale” che le cosche sono riuscite ad intessere con “professionisti, operatori economici ed esponenti del mondo della finanza”. Colletti bianchi “disponibili a prestare la propria opera per agevolarne gli interessi”. Per gli investigatori della Dia, poi, sarebbero due le macro aree di particolare interesse della ‘ndrangheta: l’accumulazione dei capitali, attraverso la gestione sempre più moderna e pervicace del narcotraffico internazionale, ed il riciclaggio dei proventi accumulati in maniera illecita. Antico e moderno si fondono insieme per volere dei “mammasantissima” calabresi. Boss sempre più acculturati, capaci di relazionarsi lontani dalla propria terra di origine con professionisti e investitori di lingua diversa, muovono milioni di euro ogni giorno con abilità riconosciuta. Un’apertura mentale, poggiata sulle solide basi dell’identità, che ha consentito ai capi cosca di “dialogare” fuori regione con i rappresentanti delle altre mafie presenti in Italia, riuscendo a creare “solide convergenze affaristico – criminali”.
“Ecco allora – si legge nella relazione della Dia – che Paesi come la Germania, il Canada e gli Stati Uniti, per citarne alcuni , e più vicino a noi, regioni come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Lazio, diventano non solo aree di destinazione degli stupefacenti, ma veri e propri spazi di radicamento, in cui gli interessi delle diverse cosche si consolidano ed in cui è possibile attingere a figure professionali altamente qualificate, in grado di creare artifici contabili e finanziari per eludere i controlli e per riciclare capitali in attività commerciali ad alta redditività”.
Germania, Canada e Stati Uniti, insieme alla Francia, alla Spagna, a Malta e San Marino, alla Svizzera e all’Australia, sono solo alcune della “basi commerciali” della ‘ndrangheta. Forse quelle ormai storicizzate. Dalla relazione della Dia, infatti, emerge con chiarezza che la criminalità organizzata calabrese ha allungato i propri tentacoli in Austria, in Africa, nel Belgio e nei Paesi Bassi. In Colombia, poi, ha radicato i propri rapporti con i locali cartelli del narcotraffico finendo per assumere un “ruolo primario nei traffici internazionali verso l’Europa” che, da qualche tempo, trovano una sponda importante nell’arcipelago di Capo Verde e degli Stati africani del Golfo di Guinea prima di approdare nei porti di Gioia Tauro o di Genova.
Anche gli Emirati Arabi e il Libano, invece, sarebbero entrati nelle mire dei boss calabresi, nel primo caso per la legislazione molto stingente in materia di estradizione collegata al reato di associazione mafiosa e, invece, nel secondo per il segreto bancario che fa dello Stato medio orientale un “territorio offshore di prim’ordine in virtù del sistema bancario fortemente capitalizzato e sicuro per la privacy dei clienti”. La droga, infine, sarebbe il punto di contatto e di espansione sul territorio nazionale della ‘ndrangheta oltre i confini registrati da numerose inchieste giudiziarie. Con i capi mafia campani, pugliesi e della vicina Basilicata i boss calabresi, ormai da tempo, hanno firmato un contratto di cooperazione “strutturata” in relazione al traffico di sostanze stupefacenti.

Giovanni Verduci

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