di Monica Bolignano
Reggio Calabria. Il progetto Chiese Aperte è iniziato nel 2013 e viene finanziato con il contributo dell’8xmille. E’ l’arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova che – attraverso l’Ufficio Beni Culturali – programma le iniziative finalizzate alla custodia, tutela e valorizzazione degli edifici di culto di rilevante interesse storico. Il progetto Chiese Aperte ha una durata limitata solo ai mesi estivi, si concluderà nella prima decade di settembre, e solo per i giorni di venerdì e sabato ed in orari prestabiliti; la visita guidata agli edifici è gratuita e si è potuta realizzare grazie alla partecipazione dei volontari dell’Associazione Did.Ar.T. che, adeguatamente preparati, si occupano di accogliere i visitatori e di accompagnarli alla scoperta di questi tesori.
In occasione della quarta edizione della manifestazione sono state inserite nell’itinerario due nuove fermate, entrambe di notevole fascino: le rovine della chiesa medievale di San Giovanni extra muros e la preziosissima chiesetta di Sant’Antonio Abate che si trova ad Archi, l’unica testimonianza di architettura medievale rimasta a Reggio Calabria.
Attraversato il Quartiere Cep, superato il ponte dell’Autostrada i visitatori si troveranno improvvisamente catapultati in un luogo congelato dal tempo: una lussureggiante collinetta che sembra essere rimasta cristallizzata nel lontano passato; lungo il morbido pendio le giovani querce si affacciano silenziose sullo sterrato facendo da robusta cornice al divertito frinire dei grilli. Il fragore delle sterpaglie calpestate non distoglie l’attento occhio dalla familiare e ruspante vegetazione fatta di possenti agave che si arrampicano decise sui dossi terrosi. Nascosta, alla fine del sentiero, si intravede una piccola costruzione. Percorrendo la ripida stradina – il visitatore – si troverà spontaneamente ad indugiare rimanendo progressivamente senza fiato: rapito dal suggestivo panorama dello Stretto, che, da un lato, gli riempirà i polmoni e, dall’altro, gli stordirà la vista con i suoi colori accesi. Ma, se riuscirà a riprendersi da questo turbinio di emozioni, ecco che si troverà di fronte una deliziosa chiesetta.
La minuscola chiesa di Sant’Antonio Abate colpisce, a prima vista, per la semplicità e la pulizia delle sue linee, e – subito dopo – per la magia che emana: sembra essere avvolta da una sorta di irresistibile fascino magnetico tipico delle misteriose costruzioni medievali.
Abbiamo tanti dati storici su questo edificio – dichiara entusiasticamente la guida volontaria Maria Novello – la sua fondazione risale al XII secolo, come attestano due diplomi di Giovanna d’Angiò del 1363.
A quell’epoca la zona era molto importante, non solo perché era ricchissima d’acqua, ma anche perché nelle vicinanze si svolgeva la famosa fiera di Scaccioti, la fiera del bestiame.
Abbiamo anche notizie dettagliate degli arredi, grazie alla documentazione risalente alle annuali visite pastorali di monsignor Annibale d’Afflitto (1565-1599) durante le quali – continua la Novello – si provvedeva a redigere una sorta di inventario.
Nonostante la sua posizione strategica – la chiesetta veniva infatti chiamata la sentinella dello Stretto – che consentiva ai monaci di avvistare per tempo le navi nemiche, dando loro la possibilità di scappare lungo il sentiero fino a Terreti per mettersi al riparo nell’abbazia basiliana, l’edificio sacro non fu al riparo dai numerosi saccheggi dei pirati: venne danneggiata dal pascià Mustafà nel 1558, incendiata durante la famosa incursione turca del sultano Mamud del 1594; solo la fervente devozione dei fedeli per Sant’Antonio permise la ricostruzione con il denaro raccolto con le elemosine.
Mano a mano che la fiera di Scaccioti perse importanza la piccola chiesa divenne meno appetibile ma i monaci continuavano a vivere lì; sebbene le strutture originarie nell’arco dei secoli sono andate perdute i recenti studi hanno dimostrato che la chiesa originaria aveva sembianze molto diverse.
Oggi, oltre alla chiesa, sono aperte al pubblico le suggestive cripte settecentesche con volta a botte, in realtà sono tre, sebbene solo due sono visitabili, la terza cripta – e tutti i suoi misteri – è sigillata da una pesantissima lastra di marmo: la lastra di reimpiego – continua la guida – risale al 1634 e non è originaria della chiesa, reca un’iscrizione che ricorda il restauro del seggio dei nobili in Reggio.
Scendendo lungo le ripidissime scale – quindi – il visitatore si troverà dentro le antiche cripte e potrà respirare a pieni polmoni l’aria del passato. Le cripte sono rimaste del tutto integre, comprese le nicchie che ospitavano i resti mortali dei monaci; è interessante sottolineare che i corpi venivano delicatamente riposti ed attaccati per il collo con una catena alla parete, lì – dopo che erano stati cosparsi di liquidi ad alto contenuto alcolico – venivano lasciati scarnificare dal decorrere del tempo in modo del tutto naturale, fino alla completa mummificazione; i fluidi corporei della decomposizione colavano dentro una canaletta che corre fino al muro settentrionale e che probabilmente arriva ad un pozzo di raccolta esterno che non è ancora stato ritrovato, ma che certamente si trova nelle immediate vicinanze; da un’accurata osservazione della struttura si evidenzia che questa ha dei canali di areazione, pertanto è lecito supporre che i monaci – aiutati anche dagli incensi – potevano continuare a frequentare quei locali nonostante la presenza dei loro confratelli defunti.
La chiesetta è stata completamente restaurata nell’ultimo decennio del XX secolo, ma gli interventi sono stati di vera riqualificazione tanto che sono rimasti integri ed a vista sia gli archi che alcune porzioni del muro originario realizzato in pietrame e mattoni, tutti costruiti con materiale proveniente dalle immediate vicinanze. Di gran pregio, per valore storico, è l’originale acquasantiera di marmo che risale al XVII secolo.
A questo punto non rimane altro da fare che tornare nel mondo reale, ai giorni nostri, e dirigerci verso la tappa successiva … senza dimenticare che il progetto rimane operativo solo per i prossimi due weekend.
(photo Marco Costantino)
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